Welfare culturale

Partecipazione attiva, un vocabolario in dodici parole

Si chiama "Parole di partecipazione attiva" il documento corale che la Fondazione Compagnia di San Paolo ha realizzato in collaborazione con l'agenzia per la trasformazione culturale cheFare in un percorso durato due anni. La pubblicazione verrà presentata in tre città italiane (Venezia, Roma e Reggio Calabria) per discutere pratiche e teorie di un desiderio crescente di prendere parte, esserci, in relazione con la politica e con l’associazionismo

di Daria Capitani

La partecipazione attiva è qualcosa che riguarda il fare molto più che il dire. Si nutre di azione e attivazione, eppure genera interrogativi. Che cosa si intende per partecipazione? Ci date una definizione? Sono le due domande che la Fondazione Compagnia di San Paolo si è sentita ripetere spesso negli ultimi quattro anni dai territori e dalle realtà che ogni giorno si occupano di welfare culturale. Un bisogno di significato che è figlio di un desiderio crescente di prendere parte, esserci, in relazione con la politica e con l’associazionismo.

È nato da qui Parole di partecipazione attiva, un documento corale che la Fondazione ha realizzato in collaborazione con l’agenzia per la trasformazione culturale cheFare in un percorso durato due anni. Il primo innesto risale al 2023, con un lavoro di mappatura delle pratiche e definizioni più rilevanti per le organizzazioni che in Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta si occupano proprio di partecipazione attiva.

Dal fare al dire

«Quelle due domande ci sono servite non tanto per arrivare a una definizione scolpita nella roccia quanto per attivare un processo collettivo sul tema». Matteo Bagnasco, responsabile Obiettivo Cultura della Fondazione Compagnia di San Paolo, ha seguito da vicino tutto il percorso: «L’idea era quella di restituire il valore semantico del nostro lavoro attraverso un processo collettivo che riuscisse a far emergere sfumature e contraddizioni».

Matteo Bagnasco, responsabile Obiettivo Cultura della Fondazione Compagnia di Sanpaolo.

L’esperimento ha funzionato: «Rileggerci e analizzare il nostro cammino è stato come muoversi in un terreno in parte nuovo. Ci ha permesso di intersecare tanti temi che vanno oltre quello che più tradizionalmente siamo portati a definire come cultura». Dopo una giornata a porte chiuse con 13 alleati strategici e il personale della Missione Favorire Partecipazione attiva, la fase successiva si è svolta insieme ai rappresentanti di 55 organizzazioni e pubbliche amministrazioni. «Abbiamo molto insistito per mantenere l’aggettivo “attiva”», continua Bagnasco. «In inglese “attending” e “participate” hanno due significati molto diversi: quello che ci premeva sottolineare della partecipazione è il coinvolgimento nel dare un ruolo alle persone, non racchiuderle in un ruolo e basta».

Anche i singoli territori hanno contribuito al percorso: «Una grande metropoli, un’area interna montana o la periferia di una grande città portano ognuna una declinazione diversa di che cosa intendiamo per partecipazione. La definizione stessa è parte del processo: le parole chiave sono una mappa che ci aiuta a orientarci nella costruzione degli strumenti di intervento».

Tra sintassi e vocabolari nuovi

Perché c’è bisogno di riflettere sul tema della partecipazione attiva oggi? Per il presidente e direttore scientifico di cheFare Bertram Niessen, «assistiamo a una contrazione impressionante delle forme democratiche così come le abbiamo conosciute dal Dopoguerra a oggi. Osserviamo una crisi delle forme di rappresentanza su base verticale e orizzontale, ma allo stesso tempo, un po’ fuori dai radar, si moltiplicano tantissime nuove forme di partecipazione. Dai patti di collaborazione alle forme di amministrazione condivisa alle tante forme spontanee e pulviscolari come le social street. Fioriscono moltissime esperienze che stanno un po’ nel mezzo, partono spontanee e poi tendono a strutturarsi cercando una sostenibilità economica, spazi di prossimità che diventano centri culturali e modelli tradizionali di partecipazione che si innovano e trasformano per adattarsi alla realtà contemporanea». In questo contesto, «c’è bisogno da un lato di scoprire e fare ricerca su mondi che adottano sintassi e vocabolari molto diversi per chiamarsi e riconoscersi. Dall’altro lato, è importante, per quanto possibile, dar loro voce».

Bertram Niessen, presidente e direttore scientifico di cheFare.

Parole di partecipazione ha interpellato in totale 70 stakeholder: comuni, associazioni, università, centri di ricerca e di formazione, soggetti istituzionali nazionali, organizzazioni di secondo livello e fondazioni di origine bancaria. «Quello che le accomuna è la tensione verso il bene collettivo», dice Bagnasco. «Il tema della partecipazione attiva non è un accessorio nella loro agenda. Soprattutto per chi lavora nel Terzo settore e nelle amministrazioni pubbliche, è un fattore chiave di successo nei processi e nelle politiche».

12 lemmi, tre tappe

Alleanze e collaborazione. Cambiamento e continuità. Co-responsabilità. Coinvolgimento e accessibilità. Collettivo e rappresentanza. Conflitto. Intelligenza collettiva e impatti. Intergenerazionalità. Potere. Rischio e sostenibilità economica. Strumenti. Tempi. Sono i 12 lemmi di cui si compone Parole di Partecipazione, una pubblicazione che è un organismo vivo, scritto da intellettuali ed esperti. Il documento si è messo in viaggio per un ciclo di incontri in tre città italiane per discutere pratiche e teorie della partecipazione attiva con policy maker, ricercatori e organizzazioni sociali e culturali attive sui territori. Venezia, Roma e Reggio Calabria sono le tre tappe con focus su Cultura e partecipazione, Spazi e partecipazione, Legalità e partecipazione

Le parole di domani

Con quali parole risponderemo alle sfide del futuro? Per Niessen serviranno cura («perché viene dai territori e attraversa le generazioni») e pace: «A volte ci sembra una parola troppo grande in anni così complessi, ma non ci può essere pace senza una forma pratica di partecipazione attiva in grado di attraversare i conflitti e costruire relazioni». Bagnasco dice «equità, declinata sotto tanti punti di vista: economico, territoriale, culturale, digitale, di accessibilità e di inclusione. È uno dei fari della nostra visione: riguarda tutta la Fondazione, non soltanto chi si occupa di welfare e politiche sociali». E aggiunge fiducia: «Costruire partecipazione attiva significa anche arginare quel sentimento di sfiducia nelle istituzioni e paura del futuro che rischia di indebolire le relazioni sociali».

Abbiamo attivato un processo collettivo. La definizione stessa è parte del processo: le parole chiave sono una mappa che ci aiuta a orientarci nella costruzione degli strumenti di intervento

Matteo Bagnasco, responsabile Obiettivo Cultura Fondazione Compagnia di San Paolo

A ognuno dei 12 lemmi è stato affiancato il commento di un ricercatore che si occupa di partecipazione. Hanno contribuito: Fabrizio Barca (Forum Diseguaglianze Diversità), Liborio Sacheli (ex Visionary), Catterina Seia (Cultural Welfare Center), Massimo Cuono (Biennale Democrazia), Claudio Paolucci (Università di Bologna), Ivana Pais (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), Gabriele Magro (Young Advisory Board CSP 21-24), Chiara Faggiolani (Università degli Studi “La Sapienza” di Roma), Elena Granata, (Politecnico di Milano, vicepresidente della Scuola di Economia Civile), Tecla Livi (senior policy analyst), Teresa Pedretti (sociologa) e Valentina Porcellana (Università di Aosta).

Le date del tour

28 novembre: Cultura e Partecipazione, Museo M9 a Mestre (via Giovanni Pascoli 11), ore 14,30, Venezia

20 gennaio: Spazi e Partecipazione, Acri (via del Corso 267), ore 10, Roma

24 febbraio: Legalità e Partecipazione, Parco Ecolandia – Area Terra presso La Nave di Teseo Sala Sinelli (via Scopelliti, Località Arghillà), ore 10, Reggio Calabria

La copertina del report.

Le fotografie sono state fornite da Fondazione Compagnia di San Paolo

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