Sessualità & Sindrome di Down
Pensami adulto: così sarà più facile fare spazio all’amore
CoorDown lancia la "fase due" del progetto “L’amore ha bisogno di spazio” dedicato all'educazione alla sessualità di giovani con sindrome di Down, famiglie e operatori. Nei primi due anni di lavoro è emerso quanto sia ancora forte la resistenza dei genitori: «Siamo partiti con 80 famiglie, siamo arrivati in fondo in 15. La precondizione per parlare di sessualità è che le famiglie riconoscano come adulto il proprio figlio o figlia», dice Antonella Falugiani, coordinatrice del progetto
Come superare i tabù sessuali e dare dignità e ascolto ai desideri dei ragazzi con sindrome di Down affinché possano vivere liberamente la propria sessualità? Da anni CoorDown cerca di dare una risposta a questo tema, anche se le difficoltà e i pregiudizi sono ancora tanti. Antonella Falugiani, ex presidente di CoodDown e attualmente coordinatrice del progetto “L’amore ha bisogno di spazio” avviato nel 2022, ricorda che «quando abbiamo lanciato la campagna c’è stata una reazione che non ci aspettavamo, benché fossimo preparati alle critiche. Ci è stato detto che non c’era alcun bisogno di affrontare il tema perché le persone con sindrome di Down non ci pensano e che stavamo aggiungendo noi un problema mai sollevato esplicitamente». Questo però, precisa Falugiani, «non è assolutamente vero, perché le persone con sindrome di Down vivono la propria sessualità, come tutti noi. Non sono persone asessuate e hanno il diritto e il bisogno come tutti di innamorarsi».
Il desiderio di conoscersi
«Il bisogno di confrontarsi e di esprimere i propri desideri c’è eccome tra i ragazzi delle 60 associazioni legate a CoorDown», conferma Anna Pretolani, psicologa che da 15 anni coordina progetti di educazione affettiva e sessuale per persone con disabilità intellettiva nella cooperativa Vite Vere Down Dadi di Padova. «Sono percorsi molto apprezzati dai giovani perché si sentono liberi di esprimere desideri, dubbi e paure, senza giudizi o preconcetti. I desideri sono gli stessi di tutti i loro coetanei: provare emozioni nuove e piacevoli, trovare un fidanzato o una fidanzata, vivere delle relazioni di coppia e avere una propria intimità senza essere continuamente controllati». Gli argomenti che si affrontano durante i corsi sono diversi, prosegue Pretolani: «Spesso i giovani amano parlare delle loro relazioni amicali o amorose, delle difficoltà che hanno nel gestirle, dell’impossibilità di vedersi riconosciuta la libertà di poter scegliere chi frequentare e quando. Sono anche molto incuriositi dall’aspetto prettamente fisico che riguarda la conoscenza del proprio corpo e del corpo dell’altro, perché troppo spesso diamo per scontato che abbiano acquisito conoscenze e competenze di cui nessuno ha mai parlato a loro in modo semplice e chiaro».
Quando abbiamo lanciato la campagna c’è stata una reazione che ci aspettavamo, benché fossimo preparati alle critiche. Ci è stato detto che non c’era alcun bisogno di affrontare il tema perché le persone con sindrome di Down non ci pensano e che stavamo aggiungendo noi un problema che loro non avevano mai sollevato esplicitamente
Antonella Falugiani, coordinatrice del progetto per CoorDown
Il percorso formativo
Il progetto di formazione “L’amore ha bisogno di spazio” ha dato ai ragazzi innanzitutto un’opportunità di ascolto e di espressione dei propri desideri. «Per prima cosa abbiamo coinvolto direttamente le famiglie delle nostre associazioni, incontrandole e cercando di far capire quanto è importante parlare di questo tema e prepararsi. Prepararsi non significa avere una formazione da operatori: un genitore può anche non saper rispondere alle domande sulla sessualità, ma deve essere convinto del diritto del proprio figlio o della propria figlia a vivere una propria sessualità», spiega ancora Falugiani.
In parallelo è stata attivata la formazione degli operatori. Solo a quel punto è stato elaborato il percorso da intraprendere con i giovani adulti con sindrome di Down e disabilità intellettive, dove «ovviamente la sessualità non è intesa solo con l’atto sessuale. È una cosa molto soggettiva: per qualcuno la sessualità può essere solamente una carezza o una passeggiata insieme mano nella mano. Alcune persone effettivamente non hanno in mente un atto sessuale, ma desiderano una vita di coppia. Che poi possa arrivare anche il sesso è un altro discorso».
La sessualità è una cosa molto soggettiva: per qualcuno può essere solamente una carezza o una passeggiata insieme mano nella mano. Alcune persone effettivamente non hanno in mente un atto sessuale, ma desiderano una vita di coppia
Antonella Falugiani, coordinatrice del progetto per CoorDown
Per ora infatti, sottolineano da CoorDown, la maggior parte dei giovani che ha partecipato al percorso sono single: «Di coppie reali composte da persone con sindrome ce ne sono ancora pochissime. Dobbiamo guardare alla realtà: quello che capita spesso è che, tra due famiglie, una è propensa a seguire il percorso e l’altra no e quindi la coppia “si scoppia”. Oppure sono i genitori a decidere quando e dove i ragazzi si devono vedere o per quanto tempo. Nella maggior parte dei casi la situazione è questa, poi certo ci sono delle eccezioni. Quello che voglio dire è che nel parlare di “sessualità” non dobbiamo pensare a persone con sindrome di Down che si sposano o vanno a vivere insieme. Sì, ci saranno: ma 3 o 4 su 5-6mila ragazzi. Il lavoro sulla sessualità per noi va fatto prima di arrivare ad essere coppia», precisa Falugiani.

Le famiglie
Un elemento con cui nei due anni del progetto CoorDown ha dovuto fare i conti è la resistenza delle famiglie: «Siamo partiti con 80 famiglie che hanno fatto la formazione e siamo arrivati a conclusione del progetto in 15 famiglie. Questo è un campanello d’allarme, perché senza la partecipazione e il coinvolgimento delle famiglie diventa impossibile per i figli avere la libertà di vivere la propria sessualità». I motivi alla base dell’allontanamento? «Le persone si sono sfilate dal progetto per tanti motivi: per la paura di affrontare il tema ad esempio».
Siamo partiti con 80 famiglie che hanno fatto la formazione e siamo arrivati a conclusione del progetto in 15 famiglie. Questo è un campanello d’allarme
Antonella Falugiani, coordinatrice del progetto per CoorDown
Anche Pretolani afferma di aver toccato con mano le difficoltà da parte dei genitori dei giovani con sindrome di Down: «Le famiglie hanno il compito più difficile, perché nella nostra generazione c’è ancora molto forte il tabù della sessualità, è un argomento di cui raramente si parla con i figli. Abbiamo l’idea che sia una cosa naturale, che emergerà spontaneamente al momento giusto e che i ragazzi se la caveranno. In realtà non è così per nessuno, tantomeno per le persone con disabilità intellettiva. Occorrono dei percorsi educativi, come per tutti gli aspetti di vita della persona con disabilità intellettiva».

Per affrontare un percorso di questo tipo, prosegue la psicologa della cooperativa Vite Vere Down Dadi, la precondizione necessaria è che le famiglie devono riconoscere come adulto il proprio figlio o figlia, «anche se magari non corrisponde all’immagine stereotipata che noi abbiamo di adultità. Una persona è adulta anche se non lavora, anche se non è indipendente e anche se gli piacciono ancora i cartoni animati». Un secondo passo è «educarli ai comportamenti adeguati, favorire le frequentazioni di altre persone, rendere esplicito ciò che nel linguaggio comune non lo è», continua Pretolani. Ma la cosa più difficile in assoluto per le famiglie è capire che «possono affiancare il giovane nella sua ricerca di sessualità, gli possono dare supporto a vivere bene la propria affettività e sessualità con tutto quello che comporta, ma non devono mai decidere al posto suo».
La precondizione necessaria è che le famiglie devono riconoscere come adulto il proprio figlio o figlia, anche se magari non corrisponde all’immagine stereotipata che noi abbiamo di adultità
Anna Pretolani, psicologa della cooperativa Vite Vere Down Dadi
Gli operatori
Agli operatori spetta un altro lavoro: «La formazione all’educazione sessuale è un aspetto fondamentale sia per chi lavora direttamente nel progetto, sia per tutti gli altri educatori/formatori/insegnanti», spiega Pretolani. «Questo perché la sessualità non è un argomento che può essere trattato “a parte”, ma fa parte della quotidianità di ognuno di noi. Tutte le figure educative dovrebbero essere in grado di dare risposte coerenti, semplici e sincere in base alla persona che hanno di fronte». Il piano formativo del progetto “L’amore ha bisogno di spazio”, infatti, tra il 2022 e il 2024 ha previsto anche per gli operatori 40 ore di formazione su tutti i temi che ruotano attorno ai temi affettivo-sessuali.

I temi che sono emersi negli incontri sono numerosi e complicati: la possibilità di dire no a un rapporto sessuale, la contraccezione, gli abusi, l’omosessualità delle persone con sindrome di Down o disabilità intellettive. Nuove frontiere del dibattito e case history che verranno presentate sabato 20 settembre a Rimini nel convegno nazionale di CoorDown dal titolo “L’amore ha bisogno di spazio 2.0”.

Il secondo capitolo del progetto
In questa occasione verrà presentata anche la seconda parte del progetto di educazione all’affettività e alla sessualità, che durerà altri due anni e riguarderà in primo luogo gli operatori. «Il secondo step della formazione ha l’obiettivo di avere degli operatori formati inseriti in ogni realtà associativa della nostra rete, che abbiano le competenze per poter parlare con le famiglie e poter formare i giovani adulti in modo poi da proporre un progetto ognuno al presidente della propria associazione» spiega Falugiani.

«Nell’edizione 2.0 del progetto cercheremo quindi di concretizzare la formazione fatta negli anni precedenti passando all’attuazione pratica, tramite la discussione di casi-problema così da dare gli strumenti per costruire un progetto nella realtà in cui ciascun operatore opera. Sarà un processo in divenire e partecipativo», conclude la coordinatrice del progetto.
Le foto dell’articolo sono tratte dalla campagna di comunicazione di CoorDown sul tema del diritto all’affettività
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