Dipendenze
Quando l’azzardo è donna
L’azzardo è un fenomeno che riguarda anche e sempre di più la popolazione femminile. E sempre di più le donne più giovani. Dialogo con Fulvia Prever, psicologa e psicoterapeuta, esperta dell'approccio di genere per il gioco patologico

Se ancora oggi, pensando a chi gioca d’azzardo, ci immaginiamo un uomo, è normale. Anche se questa proiezione non corrisponde alla realtà. Ormai, infatti, chi azzarda non è più solo o soprattutto maschio. L’azzardo è un fenomeno che riguarda anche e sempre di più la popolazione femminile. Donne e azzardo insomma è una notizia in divenire ed è un tipico caso in cui il percepito confonde il reale. Eppure, non dovrebbe essere una novità. Sono infatti almeno 20 anni che il gioco d’azzardo riguarda in maniera progressivamente rilevante le donne, sempre più target di riferimento per questo mercato in continua espansione. Anzi, l’azzardo è un eccellente esempio di quanto il mercato sia in grado di modificare nel profondo le abitudini di una intera popolazione, livellando le differenze su bisogni indotti.
Giocatrici online sempre più giovani
Oggi il rischio di ammalarsi di dipendenza da azzardo è sostanzialmente uguale sia per le donne che per gli uomini. Dopo il Covid, infatti, anche nei Paesi mediterranei è avvenuto quello che era già successo nel nord Europa: le donne azzardano sempre di più online e l’età delle giocatrici si è abbassata di parecchio. Prima invece l’azzardo era appannaggio per lo più di over cinquantenni che preferivano giochi fisici come il bingo, le lotterie istantanee (per esempio il Gratta&Vinci) o le slot machine nei bar, soprattutto il luoghi dove poter anche socializzare.
Lo sa molto bene Fulvia Prever, psicologa e psicoterapeuta, fondatrice del primo gruppo rivolto a donne con problemi di gioco d’azzardo in Italia ed esperta internazionale, specializzata nel trattamento delle dipendenze comportamentali. Pioniera nel nostro Paese degli studi dell’approccio di genere, rispetto al gioco d’azzardo femminile, ha messo insieme contributi clinici e di ricerca, storie e dati nei libri: Donne e disturbo da gioco d’azzardo: Una prospettiva al femminile su trattamento e ricerca che raccoglie contributi internazionali sul gioco d’azzardo problematico femminile, e Behavioral Addiction in Women: an International Female Perspective on Treatment and Research. Il primo è un lavoro unico che Prever ha condotto insieme alla collega Henrietta Bowden-Jones, fondatrice e direttrice della National Problem Gambling Clinic nel Regno Unito, il primo servizio del Servizio Sanitario Nazionale per il trattamento dei giocatori d’azzardo patologici e delle loro famiglie. Il secondo libro invece allarga il contesto dell’approccio di genere non solo all’azzardo, bensì a tutte le dipendenze comportamentali che toccano la popolazione femminile, insieme alle colleghe Brandt e Blycker dell’università di New York e Rhode Island (Usa).
Medicina di genere e gender gap nelle dipendenze
Come spiega Prever, seppur da quasi 30 anni si parla di medicina di genere, nei fatti oggi le pratiche di cura in molti campi della clinica sono ancora il più delle volte standardizzate sui parametri maschili. Questo accade anche per la cura delle dipendenze comportamentali, fra cui il gioco d’azzardo patologico. Eppure, le donne giocano d’azzardo per motivi diversi rispetto agli uomini. Si ammalano dunque in modo diverso e perciò dovrebbero essere curare con modalità e protocolli specifici.
La medicina di genere, infatti, ci dice «che l’approccio usato nella diagnosi, nella terapia e nella cura di certe malattie non può essere identico per gli uomini come per le donne. È ormai assodato per quel che riguarda la medicina nel campo della salute fisica. Per qualche motivo però nella salute mentale tale approccio non è mai stato davvero considerato. Comincia ad esserlo soltanto negli ultimi anni, ma ancora timidamente. D’altronde, se tutto ciò è vero per la salute fisica, perché non dovrebbe esserlo anche per la salute mentale e le dipendenze?». Il gioco d’azzardo patologico è a tutti gli effetti una dipendenza comportamentale, dunque una malattia mentale.
La buona notizia è che oggi anche «la ricerca scientifica inizia a dirci in maniera specifica che un intervento di genere è fondamentale» e non più rimandabile.
Tra uomini e donne non c’è lo stesso azzardo…
I motivi che spingono a giocare d’azzardo sono sempre diversi e molto personali, tuttavia esistono specificità di genere. Per le donne l’azzardo rappresenta sostanzialmente un’evasione dalla realtà, tanto da diventare un vero e proprio “antidepressivo” come ci spiega Fulvia Prever: «Sicuramente per le donne l’azzardo è un sistema di coping, ossia uno strumento per fronteggiare il dolore e la sofferenza relativi a situazioni di violenza psicologica, fisica, fino all’abuso, del passato o del presente. D’altronde l’aspetto della violenza è trasversale nella popolazione femminile ed è molto presente ancor più nelle donne con un problema di addiction».
Ma non solo: «L’azzardo è anche una sorta di “valium” per reggere alle fatiche quotidiane e allo stress che molto spesso sono legati all’assistenza di familiari fragili. Nella mia esperienza terapeutica ho infatti rilevato che una certa incidenza dell’azzardo problematico nelle donne caregiver, ossia quelle preposte alla cura 24 ore su 24 di un coniuge, figlio, genitore… malato o disabile. Si tratta di un dato significativo, riscontrato anche in altre culture caratterizzate da un forte mandato di cura del ruolo femminile. Dunque il gioco d’azzardo per le donne è, come dico spesso, uno dei migliori antidepressivi… almeno fino a quando non diventa problematico». L’evasione fintamente ludica garantisce infatti una momentanea fuga dalla realtà.
Non è lo stesso per gli uomini che invece giocano per lo più in cerca dell’adrenalina, della competizione e della sfida; preferiscono infatti i giochi di abilità, primi fra tutti le scommesse, mentre le donne cercano giochi d’azzardo «che le facciano stare in una sorta di bolla di sapone, in cui staccare dalla vita quotidiana» come le slot machine, il bingo, le lotterie stantanee.
… ma il mercato sta riducendo le differenze
Il profilo delle donne con il problema di gioco d’azzardo sta cambiando verso un target sempre più giovane, soprattutto a causa della diffusione dell’online. In particolar modo, oltre ai giochi tipici dei casinò online come le slot machine, si stanno diffondendo il poker e le scommesse che fino a poco tempo fa era appannaggio quasi esclusivamente del target maschile.
Un trend in linea con quello che sta accadendo all’estero: «Per esempio in Argentina le scommesse sportive sono diventate appealing per molte donne, giovani e giovanissime. L’America Latina vive di riflesso rispetto agli Usa che negli ultimi anni hanno promosso moltissimo le scommesse sportive online pensate e comunicate in modo specifico per le giovani attraverso social e influencer». Si tratta di un’apertura a nuovi mercati, complice un imponente battage pubblicitario che segue le medesime logiche di ingaggio anche al di qua dell’Atlantico, a partire da Francia e Inghilterra. Noi ci stiamo adeguando rapidamente.
D’altronde l’online garantisce massima privacy, oltre alla possibilità di giocare ovunque e in qualsiasi momento. Il tema della privacy in particolare è centrale, se parliamo di donne. Se da una parte la normalizzazione dell’azzardo ha rotto i confini di genere fra i più giovani, per le donne over 35/40 esiste ancora un forte stigma sociale: «Le donne fanno molta più fatica degli uomini a chiedere aiuto, perché provano forte vergogna e senso di colpa. Inoltre, molto spesso non sono sostenute dalla famiglia. Abbiamo spesso a che fare con mariti o compagni che, abituati ad essere oggetto di cura, non sono in grado o non vogliono prendersi in carico la malattia della compagne. Piuttosto le accusano di non essere buone madri». L’arma dei figli è sempre la prima a venire caricata, quando si vuole puntare il dito contro la vittima, scambiandola per la colpevole.
Un altro motivo per cui le donne sono molto restie a chiedere aiuto – tanto da non avere dati completi sui numeri delle giocatrici problematiche e patologiche in Italia – sono anche fattori esterni la famiglia come la scarsa disponibilità di servizi specifici sul territorio e la loro poca pubblicizzazione.
Quale cura per le donne
Se fin qui abbiamo capito che le donne azzardano per motivi diversi e in modo diverso rispetto agli uomini, è chiaro che anche la cura dovrà essere diversa, ossia pensata apposta per loro. Fulvia Prever è stata la prima in Italia a comprenderlo e a mettere in pratica un approccio terapeutico che si è rivelato efficace, anche attraverso il confronto con le colleghe e i colleghi di altri Paesi.
«Abbiamo sperimentato quanto per le donne con problemi di dipendenza da azzardo sia fondamentale uno spazio di sole donne a cui potersi rivolgere e dove sentirsi accolte e ascoltate senza nessuna pressione, aspettativa e giudizio. So che che per le donne è davvero molto difficile affrontare il problema, anche perché spesso il tempo che si ha a disposizione per la cura si se stesse è poco, perché la vita quotidiana va avanti inesorabile, perché le pressioni sono incessanti e tutto questo rappresenta proprio il motivo che spinge a giocare». Un paradosso. Uno dei tanti a cui l’azzardo ci mette di fronte.
Ecco perché Fulvia Prever attua «un tipo di terapia che permette alle donne di parlare soprattutto della loro vita, non solo del gioco, ma anzitutto di quello che sta dietro, di quello che angoscia, che preoccupa; questo all’interno di un gruppo di genere, gratuito, di sole donne, che dà la possibilità concreta di affidarsi e riconoscersi nella sofferenza, ma anche nelle risorse. Crediamo che questa sia la via d’entrata per potere poi ragionare sui meccanismi che tengono agganciate all’azzardo. Allora, io credo che sia primariamente l’aspetto della relazione affettiva il nucleo centrale che scatena il gioco al femminile e che perciò può portare anche alla cura. Affrontare i nodi relazionali in un ambiente e con persone che sanno comprenderli e scioglierli, abbiamo visto che funziona».
Foto: Pexels
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