Famiglia

Quanti zeri nei nuovi dati sulle adozioni internazionali

Sono 242 le adozioni concluse in Italia tra gennaio e giugno 2025, in lieve aumento (+3,4%) rispetto allo stesso periodo del 2024. Le notizie positive del report pubblicato dalla Commissione Adozioni Internazionali, però, finiscono qui. Su 47 enti autorizzati presenti nel file, ben 14 hanno avuto zero adozioni nel primo semestre del 2025 e altri 14 ne hanno concluso meno di cinque. E su 64 Paesi con cui l’Italia ha relazioni in materia, in ben 39 le adozioni concluse sono state zero. Da dove ripartire?

di Sara De Carli

mani bambina indiana

È un’immagine desolante quella riportata dalla Commissione Adozioni Internazionali rispetto alle adozioni concluse nel primo semestre del 2025. La notizia buona – perché tale è il fatto che un bambino che ieri non aveva una famiglia oggi invece ce l’ha – è che sono 242 le adozioni concluse in Italia tra gennaio e giugno. Si registra pure un lieve aumento (+3,4%) rispetto allo stesso periodo del 2024, quando se ne le adozioni concluse furono 234. Le percentuali francamente dicono poco, si tratta alla fine solo di otto adozioni in più, ma intanto il primo semestre 2024 segnava rispetto al primo semestre 2023 un -5,6%, per cui questo segno “più” ce lo portiamo a casa con gioia.

Nelle tabelle pubblicate sul sito della Commissione per le Adozioni Internazionali colpiscono però altri due numeri. Il primo è che su 47 enti autorizzati presenti nel file, ben 14 hanno avuto zero adozioni nel primo semestre del 2025 e altri 14 hanno concluso meno di cinque adozioni (da una a quattro, per intenderci). Il secondo è che su 64 Paesi con cui l’Italia ha relazioni in materia di adozioni internazionali, in ben 39 le adozioni concluse sono state zero. A fronte di tutto ciò, ci sono circa 1.600 coppie in attesa, che nell’adozione ci credono.

La CAI sottolinea i segnali positivi che arrivano dal Brasile (12 adozioni nei primi sei mesi del 2025, a fronte delle 19 adozioni di tutto il 2024 e delle 10 del 2023), dal Burundi (16 adozioni già concluse nei primi sei mesi dell’anno, contro le 14 complessive del 2024) e dalla Polonia (8 adozioni nei primi sei mesi del 2025, rispetto alle 4 registrate in tutto il 2024). Al contrario, prosegue la Cai in una nota, «si osserva una flessione nelle adozioni provenienti da Paesi tradizionalmente caratterizzati da numeri più elevati, come Colombia, Filippine e Vietnam e nei Paesi di recente apertura, come la Sierra Leone, che dopo un avvio incoraggiante, ha evidenziato un calo». In quest’ultimo Paese si registrano due adozioni concluse nei primi sei mesi del 2025, contro le 18 complessive del 2024. Ungheria e India si confermano tra i principali Paesi di provenienza dei minori adottati. Le adozioni concluse in Ungheria sono state 49 (contro le 100 complessive del 2024) e quelle in India 48 (contro le 88 complessive del 2024).

Leggere il sistema adozioni solo in chiave quantitativa è sbagliato, ce lo diciamo da anni e resta vero. Eppure questi numeri non fanno che ribadire la necessità di ripensare il sistema in modo radicale, riportando a galla tutte le domande sulla sostenibilità non più futura ma presente del sistema, attorno a cui tutti gli attori si interrogano da anni.

Per la primavera 2026 la CAI ha annunciato un’Assemblea Generale degli Enti Autorizzati, per rilanciare l’efficacia e la credibilità del sistema italiano delle adozioni. Per arrivarci con proposte concrete, ha avviato quattro tavoli di lavoro: costi, special needs, ruolo della cooperazione internazionale, coordinamento tra soggetti. Riflessioni a cui dovrebbero aggiungersi anche quelle fatte dalle persone con background adottivo.

Le fusioni

«Riemerge il tema della numerosità degli enti a fonte di un numero di adozioni concluse che non sta mostrando inversione tendenza e il tema della sostenibilità – che significa garantire un accompagnamento alle famiglie e relazioni stabili e forti nei Paesi esteri per realtà che, lo ricordo, sono enti del Terzo settore e non ricevono contributi pubblici», commenta Daniela Russo, responsabile adozioni internazionali del Ciai.

Dal 23 dicembre scorso IA-International Action (già International Adoption), un ente che proprio nel 2024 ha festeggiato i quarant’anni di vita, è entrato in Ciai con una operazione di fusione per incorporazione: una delle poche che in questi anni si sono viste tra gli enti autorizzati, pur essendo quella della fusione una delle strade sollecitate dalla CAI stessa. «L’esperienza che abbiamo appena vissuto ci fa dire, anche a posteriori, che questa dovrebbe essere la direzione: fusione, incorporazione, alleanze… ciascuno trovi la forma più adatta ma un sistema come quello attuale, con questi numeri, non è più sostenibile», dice.  

La seconda riflessione è su «quello che i numeri non ci dicono, cioè chi sono questi bambini. Lo diciamo da tempo, si sta andando verso adozioni di bambini grandi, che vuol dire 8/10 anni. Dei due maggiori Paesi di provenienza, Ungheria e India, dell’India abbiamo un’esperienza diretta e l’età dei bambini è sui 9, 10, anche 11 anni. Le adozioni di bambini grandi non sono necessariamente più difficili, ma presentano senza dubbio specificità e complessità. Preparare le famiglie e i bambini stessi è quindi un tema importante, su cui si sta lavorando molto anche con la CAI».

Un sostegno a 360 gradi alle famiglie

In Colombia, un altro Paese che Ciai conosce bene, i numeri sono calati: «Lì ormai l’adozione nazionale è la prima risposta, i bambini che vengono segnalati per l’adozione internazionale sono altamente complessi e spesso non si riesce a trovare famiglie disponibili», racconta Russo.

Il tema di fondo è sempre lo stesso: non si può più pensare che le famiglie che adottano restino sole. C’è bisogno di un sostegno e di un accompagnamento non solo prima dell’adozione, ma anche dopo. Ed è apprezzabile che la CAI, anche nei tavoli di lavoro in corso in vista dell’Assemblea degli enti autorizzati, abbia confermato questo orientamento

Daniela Russo, responsabile adozioni internazionali Ciai

«Con questo non voglio sminuire la disponibilità delle famiglie italiane, che anzi c’è ed è molto generosa. Le adozioni di bambini con special needs sono molte Italia, anche in situazioni molto complesse, ma i bambini con questo tipo di bisogni sono davvero tanti. Il tema di fondo è sempre lo stesso: non si può più pensare che le famiglie che adottano restino sole. C’è bisogno di un sostegno e di un accompagnamento non solo prima dell’adozione, ma anche dopo. Ed è apprezzabile che la CAI, anche nei tavoli di lavoro in corso in vista dell’Assemblea degli enti autorizzati, abbia ribadito l’intenzione di dare agevolazioni, contributi e sostegni alla famiglia, non solo nella fase pre adottiva ma anche dopo, di tipo economico e non solo. Di questo hanno bisogno oggi le famiglie che adottano, di un accompagnamento a 360 gradi».

Non solo “dare una famiglia”

«I numeri sono un indicatore imprescindibile per una famiglia che si approccia all’adozione internazionale, ma va detto anche che oggi si parla di numeri talmente esigui per cui forse ha poco senso focalizzarsi sul singolo Paese, dove due o tre adozioni in più o in meno ormai cambiano gli equilibri» annota Marco Rossin, responsabile adozioni internazionali di Avsi.

I numeri però tratteggiano uno scenario generale, che deve tenere conto anche del numero di persone in attesa di diventare di diventare genitori con l’adozione internazionale: «Un numero che, verosimilmente, se pensiamo alle coppie che sono realisticamente dentro il percorso adottivo, con la prospettiva di concluderlo, in realtà è inferiore alle circa 1.600 coppie con procedure pendenti, perché in quel dato ci sono anche coppie che hanno dato mandato su Paesi fermi da anni. Questo ridimensiona ulteriormente le prospettive future dell’adozione internazionale», afferma Rossin.

In questo scenario «diventa difficile continuare a pensare all’adozione internazionale come strumento di protezione a se stante. La CAI per prima nella preparazione della prossima assemblea degli enti autorizzati, tra le varie macro tematiche che ha attenzionato ha inserito quella dell’adozione internazionale come strumento di cooperazione, perché si rende conto che l’adozione internazionale vista esclusivamente come possibilità di trovare dei genitori ad un bambino è limitante per quello che lo scenario oggi è. L’adozione internazionale è destinata ad essere parte di un sistema più ampio e più complesso di protezione dell’infanzia, che opera sia in Italia sia nei Paesi di origine dei bambini».  

Foto di Viswanath D su Unsplash

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