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Fundraising

Reputazione, la falsa illusione che la crisi Ferragni non toccherà il non profit

«È un errore pensare che questa crisi riguardi solo Chiara Ferragni e il suo brand o al più il mondo degli influencer», afferma Barchiesi, esperto di reputazione online. Per non pagare un prezzo salato al caso Ferragni, il non profit deve rivendicare con chiarezza la propria differenza: ora

di Sara De Carli

Chiara Ferragni

L’impatto del pandoro gate sul non profit è appena iniziato e le donazioni non ne saranno indenni. Anzi, questo tsunami potrebbe «danneggiare in maniera molto seria» il Terzo settore che – come la Ferragni – di patrimonio reputazionale vive.

Lancia l’allarme Andrea Barchiesi, fondatore e ad di Reputation Manager, esperto di reputazione online. Per lui la “crisi Ferragni” non è solo pesantissima per l’influencer (pesa intorno a 7.3 nel sistema di analisi della reputazione che ha messo a punto, in cui per avere un termine di paragone, grandi tragedie come quella del ponte Morandi o il naufragio della Costa Concordia erano attorno a 9.2) ma si riverbera, come in un sistema di vasi comunicanti, su moltissimi altri ambiti.

Il non profit si sta cullando nell’illusione che questa crisi non lo riguardi perché – si sa – il Terzo settore “è differente”. Sono affermazioni autoreferenziali. Dentro ci sono tutti i distinguo del mondo, ma fuori i distinguo non arrivano

Andrea Barchiesi, esperto di reputazione online

«È un errore pensare che questa cosa riguardi solo Chiara Ferragni e il suo brand o al più il mondo degli influencer», afferma Barchiesi. «Invece mi pare che il non profit si stia cullando un po’ in questa illusione, pensando che questa crisi non lo riguardi perché – si sa – il Terzo settore “è differente”, perché nel Terzo settore la trasparenza e la rendicontazione delle donazioni sono la prassi, perché se il Terzo settore fosse stato coinvolto tutto questo non sarebbe successo… Sento fare affermazioni di questo tipo, ma sono affermazioni autoreferenziali. Sono evidenti dentro il Terzo settore, ma fuori non lo sono per nulla. Fuori la beneficienza è beneficienza, nessuno sa che c’è modo e modo per farla. Dentro ci sono tutti i distinguo del mondo, ma fuori i distinguo non arrivano, non ce n’è nemmeno la percezione: allo stesso modo in cui per un veterinario la differenza tra due razze di cani è evidentissima, mentre una persona comune vede soltanto due cani».

Un “manifesto” per rivendicare la differenza

Torniamo quindi alla crisi reputazionale di Chiara Ferragni e al suo possibile riverbero sul giving.  «La reputazione è questione di percezione e include evidentemente il tema della fiducia. Un concetto importante è che la reputazione è sempre un sistema di reputazioni e anche il Terzo settore è inserito qui dentro. Quando c’è una crisi reputazionale è come se si sollevasse un’onda in una vasca: ci sono sfere grandi e sfere piccole, sfere vicine all’epicentro e sfere lontane ma la vibrazione si trasferisce a tutti. Il Terzo settore anzi, essendo legato a triplice filo alla fiducia, è il soggetto più esposto di tutti: nel non profit non acquisto un bene o un servizio, c’è solo la volontà di fare del bene e di generare un cambiamento, nel momento in cui questo viene messo in dubbio cosa resta?», spiega ancora Andrea Barchiesi.


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Altri tre elementi di cui tener conto sono il fatto che la reputazione è un sistema che si basa su euristiche (banalmente, siamo programmati per generalizzare le nostre esperienze, per estendere il concetto), è strutturalmente asimmetrico (un buon comportamento ripetuto nel tempo non sposta più di tanto la fiducia, mentre un cattivo comportamento che si verifica anche solo una volta ha un impatto immediato) ed è risonante (tutto resta).

Mentre le aziende si sono sfilate subito, il non profit è stato in silenzio mentre avrebbe potuto sottolineare chiaramente la sua differenza. Ci vorrebbe un manifesto chiaro, semplice, diretto che spieghi perché il non profit è differente

Andrea Barchiesi, esperto di reputazione online

«Mentre le aziende si sono sfilate subito, il non profit è stato in silenzio mentre avrebbe potuto – e ancora può farlo, trasformando la crisi in opportunità – sottolineare chiaramente la sua differenza. Avrebbe dovuto andare in tv nei giorni più caldi per raccontare la sua diversità, il fatto che i testimonial il non profit non li paga, che qui tutto è tracciato e rendicontato, che la trasparenza è un principio cardine con prassi consolidate. Per il non profit è il momento di fare una grande operazione di comunicazione e di marketing in cui sia lui a dare le carte. Ci vorrebbe un manifesto chiaro, semplice, diretto, che spieghi perché il non profit è differente. Fuori, lo ripeto, questa differenza non arriva e in parte è anche responsabilità del non profit che non riesce ancora a raccontarsi nel modo adeguato: ma se non si riesce a rivendicare questa differenza, la crisi della fiducia colpirà anche qui. Anche perché se i clienti si rivelassero dubbiosi su queste iniziative e non le apprezzassero più, le aziende si tireranno indietro».

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In foto Chiara Ferragni, credit Panoramic/LaPresse


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