Psichiatri a convegno

Salute mentale: un ragazzo su due abbandona le cure dopo i 18 anni

Un italiano su due a rischio, con incidenza e prevalenza in aumento nel mondo intero in particolare di ansia e depressione. Gli psichiatri italiani, riuniti nel loro 50esimo congresso nazionale dedicato a complessità, cambiamento, sostenibilità, si interrogano sulla disciplina del futuro e sulle sfide organizzative e cliniche che li aspettano

di Nicla Panciera

La psichiatria si occupa di malattie che, pur nella diversità dei sintomi, sono molto complesse dal punto di vista organico e colpiscono decine di milioni di persone nel mondo bisognose di aiuto. Secondo l’Oms si arriva a un miliardo e ciononostante lo stigma si mantiene alto. Si va dalle depressioni e ai disturbi dell’umore e quelli da dipendenze da sostanze fino a schizofrenia e disturbo bipolare. L’ultimo Global Burden of Disease l’aumento più netto delle malattie non trasmissibili ha riguardato i disturbi di salute mentale, ansia e depressione rispettivamente del 63% e del 26%, con una crescita nell’incidenza e nella prevalenza. Con costi umani e sanitari.

Nel nostro paese, complessivamente il rischio di ammalare dei disturbi d’ansia è sul 12%, con un 5% di episodi di depressione maggiore acuta, 5% di depressione cronica, più i disturbi bipolari intorno al 2%. L’incidenza delle fobie sociali è sul 5%, degli attacchi di panico il 4%, i disturbi post-traumatici da stress sulla popolazione generale sono intorno al 2-3%, ma naturalmente nelle popolazioni speciali che hanno subito eventi traumatici inevitabilmente questo data aumenta, poi ci sono i disturbi da uso di sostanza la cui incidenza è sull’11% di cui il 50% sono dovuti all’alcol e il restante 50%  tutte le sostanze insieme.

Dati imponenti che suggeriscono come un italiano su due sia a rischio. Ma quali sono le altre sfide che la psichiatria ha già affrontato o su cui sta lavorando? Lo abbiamo chiesto Antonio Vita, ordinario di psichiatria dell’Università di Brescia, direttore del Dipartimento di salute mentale e dipendenze dell’ASST Spedali Civili di Brescia e vicepresidente dalla Società Italiana di Psichiatria, riunita nel suo 30° congresso nazionale a Bari. L’edizione di quest’anno, intitolata “Psichiatria agenda 2030: complessità, cambiamento, sostenibilità”, affronterà le attuali criticità come la presa in carico dei giovani e delle popolazioni fragili, come carcerati e migranti, le buone pratiche messe in atto negli altri paesi, attuali temi etici come quello del consenso informato e del fine vita, gli avanzamenti nella conoscenza delle basi biologiche delle malattie e il traguardo sperato di una psichiatria di precisione.

Antonio Vita

Dalla neuropsichiatria infantile alla psichiatria dell’adulto

«Una sfida importante è considerare le malattie psichiatriche in una visione longitudinale, superando la frammentazione dei servizi esistente nel passaggio dall’infanzia ed età adolescenziale all’età adulta e poi, anche, fino alla terza età. Dal punto di vista organizzativo, serve un percorso integrato tra le varie fasi della cura» ci spiega Vita. Il 75% delle malattie mentali, infatti, esordiscono prima dei 25 anni, il passaggio critico è tra i 17 e i 18 anni.  Eppure, da uno studio pubblicato sul BMJ Mental Health è emerso che in Italia solo il 12% delle transizioni avvengono con successo, il valore più basso in Europa. Nel 22% dei casi non si conoscono gli sviluppi e solo per il 26% viene mantenuta la continuità della cura. «Garantire la presa in carico della persona significa abolire quel gap tra neuropsichiatria infantile e psichiatria dell’adulto, passaggio nel quale perdiamo una certa fetta di pazienti. Ciò ha delle conseguenze in particolare sui disturbi ad esordio adolescenziale per i quali la tempestività di trattamento e di intervento consente un rallentamento della progressione e un miglioramento nella prognosi». Dal punto di vista della prevenzione, infine, «è cruciale agire tempestivamente sulle popolazioni a rischio collaborando ad esempio con la scuola lavorando alla promozione di stili di vita corretti e comunicando il rischio delle sostanze stupefacenti».

L’alleanza tra psichiatria e neurologia

Pur con grandi difficoltà rispetto allo studio di organi più accessibili, la ricerca sul cervello ha portato alla comprensione di alcuni principi di funzionamento e meccanismi comuni a molte malattie psichiatriche e neurologiche, con una conseguente apertura al dialogo tra psichiatria e neurologia. Questa è un’altra sfida su cui lavorare. «Così come lavoriamo alla saldatura tra la neuropsichiatria infantile e la psichiatria dell’adulto, analogamente serve un collegamento tra psichiatria e neurologia» spiega Vita. «La salute del cervello deve, infatti, intendersi in modo unitario. Il substrato è comune in molte malattie neurologiche e psichiatriche e ciò è evidente a livello sia di ricerca sia di clinica. Volendo fare due esempi della “cerniera” che unisce questi due ambiti, si pensi ad esempio ai disturbi cognitivi, tipicamente associati a danni del sistema nervoso centrale ma presenti spesso anche nei disturbi mentali, o alle sindromi depressive e ansiose, che sono tipicamente etichettate come disturbi mentali ma sono spesso il segno o una complicanza di danni neurologici». Lavorre sul cosiddetto Fattore C, come lo definisce Vita, è di aiuto anche in fase riabilitativa, dove è possibile migliorare la qualità della vita del paziente lavorando non tanto sulla riabilitazione di singole funzioni ma sull’acquisizione di strategie cognitive e comportamentali.

La personalizzazione

Come già è accaduto in altre discipline mediche, anche qui il percorso verso la personalizzazione è iniziato e la psichiatria sta cercando sempre più di «individuare i fattori biologici, genetici e ambientali che concorrono a definire le caratteristiche specifiche dell’individuo, quelle rilevanti che concorrono alla risposta ai trattamenti e all’evoluzione di malattia» spiega Vita. «Potremmo definire questo insieme la “fisionomia unica e peculiare” del paziente a cui ci dobbiamo adattare il più possibile».

La disciplina va verso un approccio multidimensionale, che guarda nell’insieme ai vari aspetti biologici, genetici, sociali e ambientali e alla loro interazione

Antonio Vita

La complessità

Thomas Insel, già direttore dell’istituto nazionale di salute mentale Nimh americano, ha di recente ammesso come la psichiatria non sia riuscita a migliorare la vita del paziente come fatto da altre discipline mediche. Si sono cercate caratteristiche genetiche, aree cerebrali, biomarcatori, ma alla fine la complessità delle malattie psichiatriche non si dipana. «Abbiamo criteri molto precisi per fare le diagnosi e per distinguere una variante delle funzioni normali da quello che diventa patologico» spiega Vita. Una diagnosi è sempre un’etichetta ombrello che racchiude diverse realtà. «Una tale visione categoriale ha forse limitato l’individuazione di biomarcatori e la caratterizzazione dei disturbi nei singoli individui. Ora la disciplina va verso un approccio multidimensionale, che guarda nell’insieme ai vari aspetti biologici, genetici, sociali e ambientali e alla loro interazione per individuare dei nuclei omogenei su cui sia la ricerca sia la clinica possono dare risultati migliori di quanto non sia accaduto finora».

L’integrazione e il sociale

Una sfida che se vinta porterebbe grandi benefici alla qualità della vita dei pazienti psichiatrici è, spiega Vita, «l’integrazione dei trattamenti farmacologici, che oggi ci sono e hanno spesso un’ottima efficacia, con gli interventi sociali, che mirano al recupero della persona nel suo ambiente di vita, nel suo contesto sociale». Il paziente psichiatrico va sempre «coinvolto e reso attivamente partecipe di un progetto di cura e di vita che diventa il suo, altrimenti il successo del trattamento è a rischio». Un’ultima grande sfida riguarda la terza età, fase importante e delicata della vita di una persona, in cui «sono molto frequenti i disturbi cognitivi, di tipo neurologico e metabolico, e le comorbidità che richiedono un approccio multidisciplinare. Questo ci fa capire l’importanza non solo di sviluppare ulteriori competenze su questa fascia d’età nel nostro ambito, ma anche di mettere in atto collegamenti con le altre aree della medicina: dalla collaborazione tra discipline e specialisti il paziente anziano non può che ricavarne una miglior presa in carico».


Photo by Anima Visual on Unsplash

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