Le strategie di Bruxelles
Sanzioni, l’Europa cerchi la sponda della Lega araba
Al momento di adottare misure restrittive Bruxelles deve mettere in conto la possibilità concreta che Washington remi contro. Il prossimo banco di prova sono le sanzioni proposte dalla Commissione europea contro Israele che, se approvate dal Consiglio, verranno ostacolate o controbilanciate dagli aiuti americani. Perché siano efficaci urge il coinvolgimento di altri attori mediorientali, in primo luogo della Lega araba
David O’ Sullivan (in foto) è un diplomatico europeo di lungo corso pressoché sconosciuto al grande pubblico. Eppure occupa una posizione cruciale per quanto riguarda l’attuazione della politica estera dell’Unione. Dal gennaio del 2023, su nomina della Commissione Europea, O’ Sullivan ricopre l’incarico di “Inviato Speciale per l’Implementazione delle Sanzioni dell’Ue”, con il compito di garantire un dialogo costante e di alto livello con i Paesi terzi per evitare l’elusione o l’aggiramento delle misure restrittive che sono state imposte alla Russia dall’inizio della sua guerra contro l’Ucraina. Venerdì scorso Ursula Von der Leyen ha annunciato un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Federazione Russa, il diciannovesimo, che, per entrare in vigore, dovrà essere approvato dal Consiglio, ovvero i 27 Paesi Membri. Oltre a colpire ancora il settore energetico i nuovi provvedimenti hanno l’obiettivo di tappare le falle del settore finanziario che Mosca sfrutta per bucare le disposizioni adottate fino ad oggi da Bruxelles.
Quello delle sanzioni è uno degli strumenti chiave a disposizione dell’Ue in materia di politica estera. Priva di hard-power, cioè di una forza militare, l’Ue cerca di sfruttare il proprio peso economico-commerciale nelle relazioni internazionali per promuovere i valori e difendere gli interessi su cui è stata edificata la casa comune europea. Con risultati altalenanti, discutibili, incongruenti o a impatto limitato ma almeno prova ad andare oltre le sterili affermazioni di principio che lasciano il tempo che trovano se a queste non fanno seguito fatti concreti.
Per anni le organizzazioni non governative (ong) hanno condotto una campagna volta ad ancorare l’azione esterna dell’Ue a una solida base etica. Ogniqualvolta si verificano violazioni dei diritti umani, stravolgimenti delle norme democratiche o infrazioni agli standard ambientali in Paesi terzi legati all’Ue da accordi commerciali le ong sono in prima fila a denunciarli all’opinione pubblica.
Questa campagna pressante ha indotto l’Unione ad adottare nel 2020 il “Regime globale di sanzioni dell’Ue in materia di diritti umani” che consente all’Ue di prendere misure mirate nei confronti di persone, entità e organismi – compresi soggetti statali e non statali – responsabili di gravi abusi dei diritti umani in tutto il mondo, o coinvolti in tali atti o ad essi associati. Sono più di trenta i Paesi soggetti a sanzioni inclusi nella lista dell’Unione. Nell’elenco figurano regimi totalitari e autocrazie come Bielorussia, Corea del Nord, Iran e Afghanistan oltre a grandi potenze come Cina e, appunto, Federazione Russa. Spesso le sanzioni hanno una valenza simbolica, in particolare quelle che congelano i beni o negano il visto di ingresso a soggetti che non hanno alcuna relazione con l’Ue, ma altre, quelle economiche e commerciali, possono avere qualche effetto finalizzato a modificare il comportamento dei governi dei Paesi interessati, vedi ad esempio, Iran e Bielorussia.
Il caso della Bielorussia ha messo a nudo la frattura che si sta creando fra i partner occidentali da quando Trump è salito al potere. Washington ha rotto unilateralmente l’isolamento diplomatico di Minsk senza concordarlo con gli alleati europei: è sotto agli occhi di tutti la svolta mercantile impressa dal nuovo inquilino della Casa Bianca alla politica estera degli Usa mirante ad accaparrarsi il massimo dei vantaggi economici per le imprese americane, in particolare per quelle che hanno sostenuto la sua campagna elettorale, accantonando ogni remora per quando riguarda democrazia e diritti umani.
D’ora in avanti al momento di adottare misure restrittive Bruxelles dovrà mettere in conto la possibilità concreta che Washington remi contro. A questo riguardo il prossimo banco di prova sono le sanzioni proposte dalla Commissione europea contro Israele che, se approvate dal Consiglio, verranno ostacolate o controbilanciate dagli aiuti americani. Perché siano efficaci urge, quindi, il coinvolgimento di altri attori mediorientali, in primo luogo della Lega araba fino ad oggi fin troppo prudente, se non latitante, nella gestione della catastrofe umanitaria di Gaza. A David O’ Sullivan dovrebbe spettare il compito di convincere i Paesi arabi, di concerto con quelli europei, ad aumentare la pressione sul governo israeliano per ottenere un radicale cambiamento di rotta per salvare una prospettiva di pace ormai in un coma profondo quasi irreversibile.
Credit foto: Commissione europea
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