Consumi

Se è vegetale non lo puoi chiamare burger. La decisione europea

È arrivato dall’Europa il divieto dell’uso dei termini hamburger, latte, formaggio, salsiccia se il prodotto non è di origine animale. Secondo la Lav sono state soddisfatte le richieste degli allevatori. Per gli animalisti si sono considerati di serie b gli interessi degli agricoltori mentre i consumatori preferiscono il plant-based. «Una decisione infondata e anacronistica», commenta Domiziana Illengo, responsabile area vegan di Lav

di Antonietta Nembri

Dall’Europa arriva il divieto di associare termini usati per prodotti di origine animale, come latte, yogurt, hamburger, scaloppine, cotoletta, salsiccia, quando ci si riferisce a prodotti plant-based, ossia di origine vegetale.

La decisione del Parlamento europeo

Il Parlamento europeo ha infatti approvato, con 532 voti a favore e 78 contrari, la proposta di regolamento sul rafforzamento della posizione degli agricoltori nella filiera alimentare.

All’interno di questo testo, durante l’esame in Commissione Agri circa un mese fa, è stato approvato un emendamento sulle cosiddette “terminologie meat-sounding”, proposto dalla relatrice del provvedimento Céline Imart (Ppe), che introduce un divieto per l’uso di termini tradizionalmente associati ai prodotti di origine animale da parte delle alternative vegetali. 

Questa misura, che dovrà ora essere esaminata dal Consiglio dei ministri dell’Agricoltura dell’Ue, prevede che denominazioni come, ad esempio, “bistecca”, “scaloppina”, “salsiccia” – e soprattutto “hamburger” o “burger” – possano essere utilizzate solo per prodotti derivanti da corpi animali, in conformità con l’articolo 17 del regolamento (UE) n. 1169/2011  sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. 

Una decisione anacronistica

«È una decisione infondata e anacronistica, e che ricorda da vicino la legge ideologica voluta in Italia dal Ministro Lollobrigida, che vieta le denominazioni “meat-sounding” ma che, sebbene in vigore, è rimasta inapplicata proprio per l’assenza di un corrispettivo quadro normativo europeo: lacuna che, purtroppo, questo voto contribuisce ora a colmare nel senso più restrittivo possibile», ha dichiarato Domiziana Illengo, responsabile area vegan di Lav 

Il voto si inserisce nel più ampio discorso sul rafforzamento della posizione degli agricoltori in Europa, ma sembra ignorare che la categoria dei “farmers” non è composta unicamente da allevatori, ma anche da chi produce vegetali e investe nella transizione alimentare: soggetti che passano in secondo piano in questo genere di scelte politiche, come se esistessero agricoltori di prima e di seconda classe. 

«Questo tentativo ricorda il “Veggie Burger Ban” del 2020, Regolamento già bocciato dal Parlamento europeo, e il divieto francese di usare termini meat-sounding, che contraddice apertamente una sentenza della  Corte di Giustizia Europea, che aveva già abbondantemente chiarito che la normativa vigente è sufficiente a garantire chiarezza ai consumatori, senza bisogno di nuovi divieti» ha aggiunto Illengo, «nonché i risultati di un sondaggio dell’Ufficio europeo dei consumatori (Beuc) secondo i quali non esistono margini di confusione per il consumatore medio rispetto ai prodotti vegetali».

Il mercato plant-based resta in crescita

Un tentativo quindi che, come dimostra l’esperienza del divieto sull’uso di termini come “latte”, “yogurt” o “formaggio” per i prodotti vegetali, introdotto anni fa dopo una sentenza europea, non ha fermato la crescita del mercato plant-based, ma anzi ne ha confermato la solidità e la domanda crescente da parte dei consumatori.  

Per quanto riguarda l’andamento delle vendite di questi prodotti, infatti, il mercato europeo delle alternative vegetali ha raggiunto i 3,3 miliardi di dollari nel 2024 per le “carni” plant-based, e quasi 10 miliardi se si includono i sostituti dei latticini (Good Food Institute). 

È evidente, sottolineano gli animalisti, «che non si tratta di tutelare i cittadini, ma di una presa in giro orchestrata da un sistema zootecnico in crisi, che si aggrappa a una farsa normativa per difendere posizioni di privilegio».

Consumatori flexitariani

I dati più recenti sui consumi in Europa confermano quanto sia infondato il presunto rischio di confusione agitato dal fronte zootecnico:  oggi, il 30% dei consumatori si definisce flexitariano, vale a dire che mangia carne in modo saltuario e sta cercando di ridurla, mentre circa l’8% segue una dieta vegetariana o vegana e i prodotti acquistati vengono coscientemente scelti dai consumatori, che non si dicono confusi o ingannati dalla nomenclatura riportata sulle confezioni. I motivi di queste scelte? Si va dalla crescente attenzione alla salute alla sensibilità ambientale, all’etica e al benessere animale

Da parte di Lav si conclude sottolineando che «la transizione a un sistema via via sempre più incentrato sui prodotti vegetali è inevitabile e proprio questo è quanto spaventa la lobby della carne, non la millantata confusione in cui si troverebbero i cittadini europei quando vanno a fare la spesa».

In apertura photo by Lefteris kallergis on Unsplash

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