Varcare la soglia di Palazzo Sansedoni a Siena, sede della Fondazione Monte dei Paschi, significa necessariamente fare i conti con la storia. Dà la vertigine pensare all’anno 1472, quando nella vicina Rocca Salimbeni nacque la banca, per combattere l’usura e far credito all’economia più povera, quella dei piccoli agricoltori. Un’istituzione diventata una delle più grandi banche d’Italia, “di interesse pubblico” secondo la classificazione del Tesoro, e dalla quale, per effetto della Legge Amato, nacque la fondazione. Era il 1995 l’ente fu ultimo fra molti, perché “il Monte” aveva una rilevanza, una complessità, un impatto, anche politico perché no, che richiedevano di procedere con lentezza.
Di lì in poi la banca fece la banca: si quotò in Borsa, crebbe, inciampò nei suoi stessi piani di sviluppo, perse gran parte del suo capitale: la Fondazione, che ne era l’azionista di maggioranza, dovette ridurre progressivamente la sua quota dal 35% fino allo 0,4% attuale. A Palazzo Sansedoni iniziò una piccola-grande storia di resilienza filantropica, ricostruendo anno dopo anno, un lavoro, un ruolo, una visione, tornando a essere un attore importante per il territorio, la comunità, la società civile.

Protagonista di quella ripartenza è Carlo Rossi, classe 1953, senese della Contrada Priora della Civetta, a lungo dirigente di banca nelle Bcc e poi alla guida di Fondazione Mps, dove si insedia nel 2018. Formatosi nel laicato cattolico, quest’uomo pacato e avvezzo al dialogo paziente delle situazioni difficili, l’uomo giusto per ripensare, riorganizzare, ricucire.
Di quel periodo, Rossi ne parla senza imbarazzi o reticenze: «Ci siamo diluiti per necessità, magari l’avessimo fatto volontariamente», dice riferito alla partecipazione in Banca Mps. Un’altra epoca: oggi la Fondazione riesce comunque a erogare cifre di tutto rispetto, quasi 12 milioni di euro lo scorso anno, ed è un player decisivo in molte realtà cittadine e provinciali, della cultura e della ricerca. Incontriamo il presidente nel suo studio con affaccio su una delle piazze più belle del mondo, Il Campo.
Presidente, la prima domanda è uguale per tutti: a che serve la filantropia oggi in Italia?
Io accosto molto il termine filantropia a quello di economia sociale; credo che il mondo delle fondazioni di origine bancaria sia un bel volano per questa realtà, così come cerca di fare anche la nostra Fondazione. Un settore, l’economia sociale, su cui diversi atenei istituiscono corsi e si sviluppano centri di ricerca, fatto che conforta questa mia idea.
Rossi, a differenza di filantropi che usano capitali propri o di famiglia, un presidente di una fondazione d’origine bancaria impiega i frutti di un patrimonio accumulato nel tempo. Che caratteristiche deve avere chi sta in quella posizione?
Ci vuole un grande senso di responsabilità, declinata in etica e attenzione al bene comune. Oggi Fondazione Monte dei Paschi è una realtà che è arrivata ad erogare tra 12 -13 milioni di euro all’anno, seppur sono cifre contenute rispetto ad altre grandi fondazioni, possono – comunque – incidere sullo sviluppo della comunità, da qui la responsabilizzazione e senso etico. Altra caratteristica imprescindibile è la conoscenza del territorio di riferimento dove si opera. È fondamentale per dare risposte e percepire, in anticipo, i bisogni.
Per esempio?
In questo territorio, dopo le note vicissitudini della Banca Mps, abbiamo avvertito l’esigenza di cambiare pelle, anche dal punto di vista sociale ed economico. Pensiamo ai nostri giovani e a che cosa Siena offre loro come sbocchi professionali: essendo venuto meno l’apporto, anche occupazionale che Banca Mps ha garantito per decenni, oggi dobbiamo creare nuove opportunità e un nuovo modello di sviluppo di questo territorio. Oggi è cambiato il modello di fare banca in Italia e in Europa. Ci sono gruppi bancari in grande salute che, negli anni, hanno diminuito in modo drastico, gli sportelli e conseguentemente anche l’apporto di addetti. La forte innovazione e digitalizzazione ha modificato la relazione con la clientela.
Cosa può fare una Fondazione per agevolare l’occupazione giovanile?
Siamo particolarmente focalizzati nell’ambito dei giovani. Stiamo, infatti, investendo nel settore dell’agrifood con la progettualità della Fondazione Siena Food Lab; supportiamo la nascita e la crescita di start-up (programma Ikigai); crediamo nella ricerca e sviluppo dell’intelligenza artificiale applicata alle Scienze della Vita (progetto Fondazione SAIHub). Non trascuriamo l’offerta culturale sostenendo l’alta formazione in ambito musicale tramite l’Accademia Musicale Chigiana. Queste tipologie di investimento richiedono un grande sforzo di progettazione e anche un’accurata rendicontazione.
Chi eroga ha certo un obbligo di trasparenza. Cosa si richiede ad un presidente?
Gestire la fondazione pro-tempore in un’ottica di trasparenza, attraverso un modello partecipativo. Abbiamo, infatti, un organo in indirizzo, composto da 14 membri, al cui interno ci sono attitudini ed esperienze diverse. A chi guida spetta la ricerca di un equilibrio fra le varie istanze. Nei miei mandati ho sempre cercato di mediare e credo di non aver mai compiuto un atto senza aver coinvolto tutti. Non mi sono mai posto come un uomo solo al comando. Anzi, considero che avere un dubbio sia un valore che induce al confronto anche a 72 anni suonati.
A chi guida spetta la ricerca di un equilibrio fra le varie istanze. Nei miei mandati ho sempre cercato di mediare e credo di non aver mai compiuto un atto senza aver coinvolto tutti. Non mi sono mai posto come un uomo solo al comando.
Carlo Rossi, presidente Fondazione Monte de Paschi di Siena
Ricordiamo ai lettori chi c’è nell’organo di indirizzo della Fondazione Mps?
Ci sono quattro membri designati dal Comune di Siena, due dall’Amministrazione provinciale, uno ciascuno dalle due università senesi, uno dalla Regione Toscana, uno dalla Diocesi, uno dalla Consulta provinciale per il volontariato, uno dal ministero della Cultura e uno dall’Istituto regionale di programmazione economica della Toscana – Irpet.
Tra l’altro, essendo gli enti locali governati da maggioranze politiche diverse, credo che la capacità di negoziazione richiesta sia importante.
Come ex-amministratore pubblico anche io potrei risultare di parte, ma ho sempre cercato di svolgere al meglio il mio ruolo istituzionale in maniera indipendente.
Lei ha ricoperto vari incarichi di alto livello professionale. È stato un percorso complesso?
Bisogna studiare e lavorare con costanza. “Non si nasce imparati”, come si suol dire. L’esperienza come dirigente bancario, in ambito commerciale, ha sviluppato la capacità di relazionarmi con persone, famiglie, imprese, più o meno grandi. C’è stato anche un periodo, dal 2001 al 2006 in cui sono stato vicesindaco del Comune di Siena, con delega ai Lavori Pubblici. Sicuramente rilevanti anche gli incarichi di presidente di una cooperativa sociale senese, Emmaus, che si occupa di assistenza agli anziani e, in seguito, dell’Asp Città di Siena (Azienda pubblica servizi alla persona).
Presidente, la storia secolare di Mps, è anche una storia filantropica.
Il Monte dei Paschi di Siena nasce per combattere l’usura e per sostenere l’economia minore. Chiaramente la Fondazione è l’erede dell’Istituto di diritto pubblico da cui, nel 1995, fu scorporata l’attività bancaria.
La stagione dei finanziamenti “a pioggia” alla città non c’è più. Lei accennava prima a un cambio di pelle. Vuole spiegarlo?

Quando sono arrivato, nel 2018, la Fondazione era tornata ad erogare, dopo un periodo difficile, 4 milioni di euro circa. L’anno scorso siamo arrivati a quasi 12 milioni di euro, sintomo che ci siamo rafforzati e stabilizzati patrimonialmente nel corso degli anni. È cambiato l’approccio strategico nell’attività istituzionale premiando il valore delle progettualità, con particolare attenzione all’innovazione sociale, alla ricerca e alla capacità di creare realtà sostenibili anche economicamente. Il sostegno passa anche attraverso la “capacitazione” dei beneficiari pubblici e privati, da ottenersi con percorsi formativi ad hoc e processi di co-programmazione e co-progettazione.
C’è un progetto che, secondo lei, negli anni dei suoi mandati, esemplifica bene un po’ quello a cui la fondazione aspira?
Negli ultimi anni ci siamo concentrati sui giovani, perché questo è un territorio in cui l’inverno demografico è particolarmente evidente. La Toscana si attesta tra le aree italiane con la natalità più bassa e a Siena la situazione è fra le più critiche della regione a causa di vari fattori contingenti. Molte delle nostre recenti iniziative sono orientate anche a fornire nuove opportunità e sbocchi ai giovani del territorio. Vanno in questa direzione gli impegni verso progettualità innovative e formative.
Questa è una linea di impegno…

Naturalmente, ed è abbastanza difficile da misurare. Alcune start-up, che abbiamo accompagnato col programma Ikigai, stanno nascendo, altre si sono consolidate e qualcuna si è esaurita. Sono fermamente convinto che è un lavoro che richiede tempo ed è difficilmente misurabile il suo effetto nell’immediato.
Nel sociale ci sono impegni da ricordare?
Da tempo siamo presenti, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, sul “Dopo di noi”, dove abbiamo contribuito economicamente e a livello di coprogettazione per creare percorsi di autonomia e autosostentamento. È un tema delicato e complesso: godere della fiducia delle famiglie per il futuro dei loro ragazzi con fragilità e diverse abilità non è semplice. Citerei anche una serie di interventi, fra cui il welfare culturale, iniziative culturali che facilitino il benessere attraverso l’arte e la cultura. Dato il problema dell’emergenza abitativa rilevante anche nella nostra provincia, stiamo portando avanti iniziative sul tema del social housing.
A Siena c’è l’esperienza dell’ex ospedale Santa Maria della Scala, che, fino agli Novanta curava le persone sotto gli affreschi.
Tutta la città di Siena è erede di una grande tradizione di accoglienza e cura.
Come va con il Terzo settore?
Le realtà del Terzo settore sono un po’ le antenne del bisogno emergente; sono loro che hanno la sensibilità per segnalare quali sono le aree di criticità su cui intervenire. In questo la Fondazione si pone come partner che si affianca nell’analisi dei bisogni e si impegna a fornire eventuali strumenti di sussidio.
Presidente ma questa sua idea di filantropia immagino sia figlia di incontri, esperienze, letture.
Sono cresciuto in parrocchia, nel mio percorso personale e culturale c’è l’associazionismo cattolico. Quindi, per esempio, Jacques Maritain e tutto il Personalismo cristiano, ma anche molta Dottrina sociale della Chiesa e, venendo ad anni più recenti, certe encicliche sociali, dalla Rerum Novarum fino alla Centesimus Annus e alla Labor Exercens di Giovanni Paolo II e molte di Papa Francesco, dalla Fratelli tutti alla Laudato Si’.

La cifra dell’impegno filantropico è sempre più la collaborazione di Acri, di cui siete parte. La condivide anche lei?
Acri ha assunto un ruolo di grande rilievo nel panorama filantropico, ma più in generale, nell’economia sociale, con alcune iniziative anche di sistema molto efficaci e all’insegna della collaborazione: dal Fondo per la Repubblica Digitale, a “Con i bambini” e Fondazione con il Sud, con le quali collaboriamo anche noi. Iniziative molto mirate e che hanno impatto nel Mezzogiorno, ma anche qui a Siena, abbiamo già realizzato tre progetti insieme a “Con i bambini” negli ultimi anni, che hanno avuto ricadute importanti sul territorio. Crediamo nella collaborazione come metodo di lavoro, tant’è vero che in occasione della Giornata internazionale delle Fondazioni dello scorso 1°ottobre, abbiamo lanciato l’iniziativa Sostenere l’orizzonte, sempre in co-finanziamento “Con i bambini” e dedicata al tema della povertà educativa, affrontando la problematica della dispersione scolastica, fenomeno che rileviamo anche nella nostra provincia.
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Le foto sono dell’Ufficio stampa di Fondazione Monte de’ Paschi.
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