Giovanna Ruda

Ci piace il non profit che lavora “con” i giovani e non “sui” giovani

di Alessio Nisi

Parla la chief corporate officer Italy di Covivio, uno dei principali player immobiliari in Europa, e membro del cda della Fondazione Covivio: «La filantropia? La consideriamo un’estensione naturale del nostro modo di fare impresa: restituire ai territori che ospitano le nostre attività un beneficio concreto e misurabile, nel lungo periodo»

Nel numero di ottobre dedicato ai filantropi, VITA magazine, disponibile qui, ha voluto raccontare alcuni protagonisti di questo vasto movimento che investe o eroga in Italia almeno 2 miliardi di euro ogni anno. 

C’è un momento in cui si diventa filantropi? Che cosa fa scattare la molla? È l’incontro «con i ragazzi e i giovani adulti coinvolti nei nostri progetti», «l’empatia, intesa come capacità di immedesimarsi nelle situazioni altrui», ma anche «l’impegno, la costanza e la dedizione con cui si portano avanti le iniziative», «non un gesto episodico, ma un patto di lungo periodo: ascoltare, mettere a disposizione risorse e competenze, misurare i risultati e restare», spiega Giovanna Ruda, chief corporate officer Italy di Covivio, uno dei principali player immobiliari in Europa, e consigliere del cda della Fondazione Covivio.

A che cosa serve la filantropia in Italia? Quale ruolo ha e dovrebbe avere, secondo lei

Per noi di Covivio la filantropia si traduce concretamente nell’insieme di iniziative private orientate a migliorare la qualità della vita e a generare valore per le comunità in cui operiamo, con un focus principale sulle pari opportunità. Come gruppo attivo nel campo del real estate e della rigenerazione urbana, la consideriamo un’estensione naturale del nostro modo di fare impresa: restituire ai territori che ospitano le nostre attività un beneficio concreto e misurabile, nel lungo periodo. 

La Fondazione nasce nel 2020 da un gruppo immobiliare con una lunga storia, in Francia e Germania. Raccoglie e razionalizza gli interventi iniziati 10 anni prima. Per voi è un impegno Esg o c’è dell’altro?

Covivio è un grande player immobiliare europeo, con la creazione della Fondazione ha voluto rimarcare il suo impegno non solo nel costruire spazi, ma anche nel favorire il vivere insieme e una società più equa. La fondazione diventa quindi lo strumento per canalizzare in modo coerente e visibile la dimensione sociale e valoriale della nostra strategia Esg.

La ìfondazione privilegia partnership triennali promosse da organizzazioni del Terzo settore di medie dimensioni, seleziona progetti finalizzati a garantire l’accesso a educazione, lavoro e alloggio a persone in condizioni di vulnerabilità, il suo focus è nelle città in cui operiamo, in Italia a Milano e Roma.

A livello di gruppo abbiamo avviato la fondazione nel 2020 con un budget quinquennale di 1,7 milioni di euro e, nel 2025, ne abbiamo rinnovato l’impegno con ulteriori 1,5 milioni per i prossimi cinque anni, così da assicurare continuità e impatto.

Accanto a questo tipo di azioni, coinvolgiamo direttamente le nostre persone in attività di volontariato aziendale: in Italia negli ultimi 3 anni i team di Covivio hanno donato 1.400 ore partecipando a oltre 20 missioni di volontariato promosse da 15 associazioni.

Lei guida una fondazione di impresa dentro un gruppo internazionale. L’essere manager la aiuta nelle decisioni filantropiche che prende?

Sì, perché porta metodo. Definiamo obiettivi chiari, misuriamo gli esiti, assegniamo budget pluriennali e verifichiamo la sostenibilità organizzativa dei partner. Ma il management serve anche a fare un passo indietro: ascoltare le organizzazioni, rispettarne l’expertise sul campo e costruire con loro soluzioni realistiche.

Questo approccio ci ha permesso di passare dalla semplice erogazione a relazioni di partnership, coinvolgendo le associazioni anche nella nostra vita interna ed esterna. In concreto, il consiglio di amministrazione si riunisce due o tre volte l’anno, definisce la roadmap della fondazione, guida il budget, valida i principali progetti e segue il coordinamento europeo delle iniziative.

Coerentemente con la scelta di connettere la fondazione alla vita dell’azienda, adottiamo una governance partecipativa e decentrata: i comitati locali, composti da colleghi nei diversi paesi, analizzano per primi i progetti e, sulla base di criteri chiari e condivisi, li propongono al consiglio per l’approvazione.

I criteri includono la focalizzazione su beneficiari in condizioni di vulnerabilità, la priorità a iniziative nelle città in cui operiamo e la preferenza per organizzazioni non profit di medie dimensioni che operano nell’interesse pubblico e che ricevono finanziamenti statali fino a un massimo del 50% del loro budget totale; il sostegno può coprire investimenti, attrezzature e, quando necessario, anche spese operative.

In Italia lavorate con Fondazione Mission Bambini, Associazione La Strada, Fondazione Francesca Rava, Via Libera Cooperativa Sociale. Come le avete scelte? Cosa vi piace del loro impegno?

Le abbiamo scelte per l’impatto, il loro radicamento locale e la capacità di lavorare “con” i giovani e non “sui” giovani. Mission Bambini ci ha permesso di accompagnare neet tra i 18 e i 24 anni a Milano e Roma in percorsi di orientamento verso studio e lavoro.

La Strada, con Scuola bottega, contrasta la dispersione scolastica sostenendo ogni anno il percorso di sette adolescenti in fragilità verso la licenza media, con un tasso di completamento dell’85% e certificazione del 100%.

Fondazione Francesca Rava ha coinvolto i ragazzi dell’Istituto penale minorile Beccaria in attività pratiche di riqualificazione del verde. Con Via Libera abbiamo sostenuto l’inclusione lavorativa nel panificio sociale Bum, ampliando l’organico e avviando azioni contro lo spreco alimentare. 

Lei ha un’esperienza filantropica che abbraccia realtà europee abbastanza diverse le une dalle altre. Dal suo punto di osservazione, c’è un raffronto possibile fra questi mondi di impegno sociale e civico?

Pur con differenze nei sistemi di welfare e nella tradizione del volontariato, abbiamo sfide comuni: inclusione abitativa, accesso all’istruzione e al lavoro per i giovani e per persone con disabilità. Il nostro primo progetto europeo triennale con Jesuit refugee service, avviato a fine 2023 e attivo in Italia con Centro Astalli, sostiene giovani rifugiati, migranti forzati e cittadini di paesi terzi in condizioni di vulnerabilità economica e sociale, desiderosi di costruire un percorso di inclusione in Italia, mirando a rafforzarne le loro competenze attraverso studi universitari, alta formazione o prime esperienze lavorative in azienda.

Anche il volontariato aziendale racconta un’Europa coesa: tra 2021 e 2024 il 40% delle ore è stato donato in Italia, il 37% in Francia e il 23% in Germania, con un linguaggio comune di prossimità e competenze. 

Guardando all’oggi e al prossimo triennio, su quali priorità state investendo in Italia?

Nel 2025 abbiamo rinnovato i progetti sostenuti: sosteniamo il progetto annuale Be good be young di Equa per studenti con bisogni educativi speciali. Dal secondo semestre, poi, avvieremo tre nuovi progetti triennali o rinnovati: Scuola bottega, già sostenuto negli ultimi 3 anni, con la cooperativa La Strada per 7 studenti all’interno di una classe di circa 25 ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Una casa per il mondo con Associazione Kim, progetto triennale volto ad aumentare la capacità ricettiva di quest’ultima da 14 a 22 minori al mese, e che prevederà anche attività di volontariato delle nostre persone, come laboratori, manutenzione delle strutture e sessioni formative.

E Officina bevande naturali con Agrivis – Gruppo L’Impronta per creare occupazione per persone con disabilità attraverso un nuovo laboratorio e fino a sei nuove assunzioni, con affiancamento tecnico dei nostri architetti e ingegneri. Queste scelte confermano la nostra linea: continuità, misurabilità, e attenzione ai nodi educazione-lavoro-alloggio. 

C’è un’esperienza, un incontro, una lettura che più hanno determinato il suo modo di concepire la filantropia?

Credo che la filantropia sia una conseguenza dell’empatia, intesa come capacità di immedesimarsi nelle situazioni altrui. Penso ai colloqui con i ragazzi e i giovani adulti coinvolti nei nostri progetti che, accompagnati da educatori pazienti, ritrovano fiducia nello studio, trasformano un’opportunità in un mestiere e riscoprono il concetto di casa, che diventa cura e dignità.

In questi anni è stato davvero arricchente non solo incontrare i beneficiari dei progetti, ma anche le persone responsabili delle associazioni. L’impegno, la costanza e la dedizione con cui portano avanti le iniziative, spesso tra mille difficoltà, insegnano che la filantropia efficace non è un gesto episodico, ma un patto di lungo periodo: ascoltare, mettere a disposizione risorse e competenze, misurare i risultati e restare. Da qui nasce il nostro impegno quotidiano. 

In apertura Giovanna Ruda, foto da ufficio stampa

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