Alberto Pirelli

Dal sogno europeo di Delors all’Ai, trent’anni di impresa responsabile

di Nicola Varcasia

Nel trentennale di Sodalitas, il suo presidente ripercorre con VITA le origini e l’evoluzione dell’associazione nata su impulso europeo per favorire la responsabilità sociale d’impresa in Italia. Dalla formazione al volontariato aziendale, fino alle nuove sfide dell’intelligenza artificiale, Pirelli ribadisce l’importanza di un modello di sviluppo che metta sempre la persona al centro. Ricordando l’eredità etica del padre, Leopoldo, uno degli storici capitani d’impresa italiani

È il 1995. Alcune grandi aziende europee sottoscrivono il Manifesto delle imprese contro l’esclusione sociale, in risposta all’appello dell’allora presidente della Commissione europea, Jacques Delors. Un primo gruppo di aziende italiane, su impulso di Assolombarda, coglie la palla al balzo per dare vita a un’associazione tra imprese decise a portare la sostenibilità sociale d’impresa nell’agenda istituzionale ed economica italiana. Nasce così Sodalitas. In occasione dei trent’anni dell’organizzazione, che si dà appuntamento il 3 novembre proprio in Assolombarda, VITA ha dialogato a tutto campo con l’attuale presidente, Alberto Pirelli. Un nome importante dell’industria italiana, che si affianca ad altrettanto illustri predecessori, a cominciare da Enrico Falk e, andando a ritroso, la compianta Adriana Spazzoli, Federico Falck e, prima presidente, Diana Bracco.

Presidente Pirelli, partiamo dall’oggi.

Sodalitas è attiva nell’area della formazione per il Terzo settore, il suo storico impegno. Un ambito a tutt’oggi ancora molto frammentato, che si interfaccia con molti stakeholder e quindi deve aumentare progressivamente le proprie conoscenze di managerialità e di strumenti per essere efficace nel lavoro sul territorio. Sono circa mille le organizzazioni con cui abbiamo rapporti.

Poi c’è l’impegno con i giovani.

Forniamo più di 9mila studenti all’anno, soprattutto delle scuole primarie e secondarie, nell’ambito di iniziative di scuola-lavoro. Siamo stati anche i primi a introdurre la Carta delle pari opportunità in Italia, a cui hanno aderito un migliaio di aziende.

Completiamo il quadro.

Il nostro terzo ambito di attività è il volontariato d’impresa, con circa 2mila persone coinvolte tra le nostre associate. Infine, l’associazione collabora con Comuni e aziende, favorendo l’incontro tra pubblico e privato con la realizzazione di oltre 1.100 progetti che esprimono l’evoluzione della sostenibilità sul territorio negli ultimi dieci anni.

Guardando al futuro, quali sono le nuove frontiere della sostenibilità sociale d’impresa?

Le sfide più grandi derivano da cambiamenti che trent’anni fa, quando è nata Sodalitas, erano impensabili per portata, velocità e impatto. Con cui oggi dobbiamo imparare a confrontarci in modo consapevole e costruttivo. La nostra convinzione di fondo è che ogni cambiamento debba generare benefici per l’intera società: se a trarne vantaggio fossero solo pochi attori globali, verrebbe meno la stessa idea di sostenibilità sociale.

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La digitalizzazione, ad esempio, è una delle sfide più rilevanti. Se rimanesse nelle mani di un’élite, in un Paese come il nostro dove metà della popolazione ha competenze digitali di base, rischierebbe di ampliare le disuguaglianze. Se diventa un nuovo linguaggio comune e accessibile a tutti può trasformarsi in un motore di progresso e coesione sociale.

Trent’anni fa, Sodalitas nasceva come risposta all’appello dell’allora presidente della Commissione Europea, Jacques Delors. Oggi l’Europa sta ingranando la retromarcia sulla sostenibilità. Come valuta queste scelte?

Con ottimismo, da un certo punto di vista. I dati del nostro Osservatorio sulla sostenibilità sociale d’impresa, svolto su 100 aziende tra cui molte multinazionali, non mostrano ripensamenti e allontanamenti in questa direzione. Quanto alle revisioni normative, trovo che siano un buon compromesso con i target iniziali e vada interpretato come un segnale di buon senso e di realismo.

In che modo?

Le norme devono essere proporzionate alle possibilità di chi poi deve applicarle. Imporre sistemi di misurazione troppo complessi, che non riflettono i modelli di business e le procedure della maggior parte delle aziende italiane, rischia di far percepire la sostenibilità come un obbligo.

Non come un valore condiviso. La semplificazione, invece, permette anche alle piccole e medie imprese di affrontare il tema della sostenibilità in modo concreto, senza costi eccessivi. Favorendo un maggior senso di appartenenza.

Vale anche per il Green Deal?

Anche in questo caso si è capito nel tempo che alcune misure creavano problemi di natura sociale e quindi era necessario rivedere la direzione per trovare un equilibrio tra obiettivo ambientale e sostenibilità economica e sociale. In qualche modo, quindi, si è riaffermata l’importanza della sostenibilità sociale, che è riuscita a far sentire la sua voce.

Guardando alla vostra storia, c’è un progetto che rappresenta al meglio il vostro operato?

Più che un singolo momento, penso che l’intuizione di mettere insieme aziende e volontari per fare da ponte con il Terzo Settore sia stata una delle più felici. Il Terzo Settore è una realtà unica in Italia, che vale circa 84 miliardi di euro e sostiene il Paese in moltissimi ambiti. Come accennavamo prima, ha però bisogno di essere accompagnato e rafforzato. Sodalitas, con la sua esperienza trentennale, ha favorito e perciò può continuare a favorire connessioni solide, credibili e creative.

Invecchiamento della popolazione, difficoltà di trovare giovani con le competenze adeguate, neet in crescita: quali strumenti dovrebbero essere potenziati per ridurre questa distanza tra scuola e impresa?

Il tema demografico è centrale. Negli ultimi vent’anni i lavoratori sopra i 50 anni sono aumentati di cinque milioni, mentre quelli sotto i 35 anni sono diminuiti di due milioni e mezzo. Di conseguenza, le aziende si trovano a gestire un problema a due facce.

Quali?

Da un lato, milioni di lavoratori si trovano a vivere con una o più persone fragili da seguire. È il grande tema dei caregiver. I servizi di welfare aziendale sono una leva importante da potenziare e, attraverso la formazione, Sodalitas può contribuire ad avvicinare aziende e Terzo settore nel trovare un dialogo positivo anche su questa specifica tematica.

L’altra faccia del problema riguarda i giovani?

La questione è sia numerica, sia di orientamento e preparazione specifica. Su questo, lavoriamo per creare un ponte tra il sapere accademico e il sapere aziendale, che storicamente non hanno comunicato abbastanza.

Penso che l’intuizione di mettere insieme aziende e volontari per fare da ponte con il Terzo Settore sia stata una delle più felici.

Alberto Pirelli

Ad esempio, con il progetto Giovani e impresa, che accompagna gli studenti nel passaggio dalla scuola al mondo del lavoro, l’iniziativa per il superamento degli stereotipi di genere verso le discipline stem Deploy your talents e il programma La tua impresa, il mio futuro, che educa all’imprenditorialità e alla sostenibilità. Ma vorrei soffermarmi ancora sulla Carta delle pari opportunità.

Prego.

Per noi rappresenta un impegno concreto verso la promozione della parità di trattamento nei luoghi di lavoro. Sodalitas non si limita a chiedere alle aziende un impegno formale, sottoscrivendo i principi della Carta. Ma fornisce un metodo di misurazione che le aiuta a tradurre i valori in azioni concrete e misurabili su aspetti fondamentali quali l’equità salariale, le opportunità di carriera, la conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Crediamo, infatti, che la parità di opportunità sia anche un fattore strategico per attrarre e trattenere i giovani talenti.

Tante grandi aziende, Amazon è l’ultima in ordine di tempo, annunciano migliaia di licenziamenti dovuti proprio al loro sviluppo dell’intelligenza artificiale. Reggono i principi della sostenibilità sociale d’impresa di fronte a tali cambiamenti?

Ogni rivoluzione tecnologica ha generato difficoltà sociali, perché le transizioni sono fenomeni complessi. Si creano nuovi lavori, ne scompaiono altri, il sistema scolastico fatica ad adeguarsi. La storia, però, ci dimostra che abbiamo sempre superato questi momenti di indubbia difficoltà.

È fondamentale investire in formazione, reskilling e accademie interne per mantenere le persone in azienda, anche se queste attività hanno un costo. Quando non è possibile, le imprese devono agire responsabilmente, offrendo programmi di outplacement e supporto reale a chi perde il lavoro. Sono tutti elementi della responsabilità sociale delle imprese.

Quali strumenti concreti possono aiutare le imprese a gestire in modo sostenibile questi cambiamenti?

Gli strumenti più efficaci sono quelli che mettono al centro la persona: percorsi di riqualificazione, partnership con società di outplacement e piani di reinserimento lavorativo. Anche nei momenti difficili, le aziende devono mantenere un legame collaborativo e rispettoso con chi esce, dimostrando responsabilità e attenzione sociale. Questo rafforza il clima di fiducia e la reputazione dell’impresa.

C’è un risvolto positivo nello sviluppo digitale e dell’intelligenza artificiale per il nostro territorio?

Sì, assolutamente. Milano, ad esempio, si sta candidando come hub mediterraneo per i centri digitali e di elaborazione dati. Questo significa attrarre investimenti internazionali, creare nuovi posti di lavoro e connettere meglio il mondo delle startup italiane con quello globale. L’importante è accompagnare questo sviluppo con regole e valori che garantiscano benefici diffusi e non concentrati in poche mani. È questo il vero senso della sostenibilità sociale.

Chiudiamo con una domanda più personale. Suo padre, Leopoldo Pirelli, di cui ricorrono i 100 anni dalla nascita, ha sempre sottolineato che l’autorevolezza delle imprese deriva dal loro contributo al superamento degli squilibri sociali. Che cosa significa per lei questo messaggio?

L’imprenditore produce ricchezza per se stesso, ma deve sentire fortemente la responsabilità di trasferire una parte di questa ricchezza alla società e alla comunità, dialogando con tutti gli stakeholder. La capacità di avvicinare il mondo imprenditoriale al mondo politico e pubblico è mancata per molto tempo nel nostro Paese. Ma è la condizione per generare un progresso equilibrato tra le varie componenti, che tenga conto di tutti gli aspetti in cui l’azienda si muove e di cui è protagonista fondamentale. Altrimenti l’ecosistema società diventa fragile. Mio padre aveva valori etici fortissimi, credeva nell’ascolto e nella possibilità di mediare tra le varie esigenze della società proprio in un periodo di crescente squilibrio.

Sono sicuramente tanti gli episodi, ce ne ricorda uno in particolare?

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 la Fiat e soprattutto la Pirelli erano state identificate come i due nemici fondamentali del mondo operaio. Mio padre aveva elaborato il “decretone”, una proposta che accoglieva gran parte delle contestazioni dei lavoratori in termini di turni, orari e normative. Il sindacato le rifiutò per non sentirsi scavalcato, salvo poi accoglierle, dopo anni di enormi tensioni, che tutti conosciamo. Ricordo come mio padre, di fronte ad attentati a colleghi e alle problematiche di sicurezza personale che toccavano anche noi figli, restasse fermo e positivo nella convinzione di dover facilitare una soluzione. Dovremmo imparare a insegnare e trasmettere queste qualità, credo siano essenziali per tutti, nella vita, nel lavoro e in ogni esperienza.

In apertura, Alberto Pirelli (foto dall’ufficio stampa Sodalitas).

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