«Non sei andato in gita, ti sei abituato a vedere i tuoi compagni solo attraverso uno schermo. Sei tornato in classe e hai potuto riabbracciarli. Hai accettato di non poter più giocare a calcio durante l’intervallo ma di restare a guardare. E quando a scuola non sei potuto più tornare, hai accolto i tuoi insegnanti a casa con il sorriso. Penso all’ultimo compito della maestra Martina, in cui dovevi immaginare un viaggio fantastico e rispondere alla domanda: “Cosa porteresti con te?”. E tu hai risposto: “Mamma e papà”». Non ci sono parole migliori di quelle del suo papà per raccontare la storia di Alberto Lerza, un bambino di otto anni morto per un glioblastoma di quarto grado dopo 18 mesi di cure all’ospedale Regina Margherita di Torino. Le ha affidate a un post su Instagram, sulla pagina de La casa di Alberto, l’impresa sociale nata in sua memoria. Una storia che continua «per accompagnare i bambini e i genitori nei momenti di maggiore fragilità, offrire sostegno concreto con progetti educativi, sociali e di cura, donare leggerezza e normalità anche nelle situazioni difficili».
Anche nelle situazioni difficili. Federico Lerza, il papà di Alberto, ne è profondamente convinto. «Quello che è accaduto alla nostra famiglia ci ha insegnato che nulla è semplice, nemmeno un piccolo spostamento, quando ci si ritrova a viverle da dentro. Nell’ultima fase della malattia, Alberto era tetraplegico: un’attività banale come andare dal dentista richiedeva soluzioni complesse. Mi sono chiesto più volte: e se una famiglia non avesse i fondi o una rete a cui affidarsi? Perché un bambino deve restare in una stanza da letto guardando fuori e sognando di fare qualcosa?». È nato così, da questa domanda, il Pulmino dei sogni: Federico Lerza ed Elisa Di Girolamo lo hanno inaugurato il 18 ottobre nel piazzale di fronte al Regina Margherita, «dove tutto è iniziato».

Portare luce dove c’è buio
Tutto è iniziato con una telefonata dopo una risonanza magnetica. La corsa all’ospedale, un intervento in urgenza, una ripresa migliore delle aspettative e poi la diagnosi. «La nostra però non è una storia che parla soltanto di malattia e di sofferenza, è fatta anche di fede e di speranza. Alberto è stato capace di trasformarmi come persona, si era avvicinato molto a Dio e con lui io ho vissuto un percorso spirituale che mi ha cambiato profondamente. Per lui la nostra diocesi pensa alla beatificazione. Io avrei voluto un figlio vivo, sano e tranquillo, non un santino nel portafoglio, ma oggi sono consapevole di quanto mi abbia insegnato sul senso della vita, del servizio e della morte».
La prima reazione di questo papà (che si è raccontato anche in un libro, Alberto, l’angelo della speranza) è stata il silenzio. «Non volevo parlare di lui, non volevo che mi chiedessero “Come stai?”, poi mi sono reso conto che non potevo restare isolato e chiuso nel mio dolore. La serenità di Alberto, la sua incredibile pazienza, la sua incrollabile generosità e resilienza possono trasmettere un messaggio a chi vive quello che abbiamo passato noi. Per questo oggi portiamo luce dove c’è buio, ricordiamo che nonostante tutto non siamo soli e che anche un deserto si può trasformare in un giardino fiorito».
Il diritto di una gita al mare
«Io credo sempre che ci sia mio figlio che dall’alto mi guida», dice Lerza. «Ho incominciato a cercare di capire come poter realizzare la nostra idea e tre giorni dopo abbiamo ricevuto la donazione di un mezzo (da Fabio Acume, con altri donatori, Future Car e Rogirò, che hanno contribuito gratuitamente all’allestimento e alla realizzazione dell’impianto audio e luci). In modo particolare si sono spesi i volontari dell’associazione Gli amici di Alberto, con cui abbiamo dipinto e letteralmente trasformato un Ford Transit: è diventato color arcobaleno, con luci e musica a bordo. Ora siamo pronti per partire: a guidarlo saranno proprio i volontari de Gli Amici di Alberto e di Unitalsi, l’Unione nazionale italiana Trasporto ammalati a Lourdes e santuari internazionali». È molto più di un mezzo di trasporto: «È un viaggio nella leggerezza, che accompagna i bambini malati e le loro famiglie verso l’ospedale o verso momenti di svago, trasformando ogni tragitto in un’esperienza di gioia e normalità. Non possiamo cambiare la vita delle persone, ma almeno una giornata sì. Anche soltanto per il tempo di una gita al mare. Per ora ci siamo dati come perimetro le regioni più vicine (Lombardia, Valle d’Aosta, Liguria) ma l’idea è quella di non dire mai di no».

È un piccolo tassello di un percorso più lungo che Federico Lerza ed Elisa Di Girolamo definiscono «trasformazione del dolore in amore». Nell’estate appena trascorsa La casa di Alberto ha organizzato l’Estate Ragazzi della Gentilezza «perché ogni bambino ha diritto a un’estate spensierata. Offriamo settimane di gioco, sport e amicizia accessibili a tutti, senza differenze tra chi vive una malattia e chi no». Con il progetto “Psicologia di strada”, una professionista incontra le persone direttamente dove vivono, per ascoltarle e accompagnarle nei momenti di maggiore vulnerabilità, mentre “In ospedale con un sorriso” è l’iniziativa promossa negli ospedali e negli hospice per i bambini. «Sosteniamo un orfanotrofio in Uganda con giocattoli e materiale scolastico e collaboriamo a progetti di integrazione e formazione digitale in Abruzzo», aggiunge Lerza. «Il messaggio di Alberto viaggia lontano».
Le fotografie sono state fornite dall’intervistato
Vuoi accedere all'archivio di VITA?
Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.

