Nel numero di ottobre dedicato ai filantropi, VITA magazine, disponibile qui, ha voluto raccontare alcuni protagonisti di questo vasto movimento che investe o eroga in Italia almeno 2 miliardi di euro ogni anno.
Imprenditore altoatesino di stanza a Bolzano, Peter Thun Hohenstein (Innsbruck, 1955) ha guidato dagli anni Ottanta l’azienda di famiglia Thun (idee regalo, articoli per la casa, accessori, soprattutto prodotti in ceramica. Società benefit dal 2022) confluita nel 2022 in Lenet Group. Nel 2006 ha creato la Fondazione Lene Thun, per portare sollievo nei reparti oncologici pediatrici attraverso la ceramico-terapia. La filantropia? «È prima di tutto una forma di responsabilità».

Signor Thun, a che cosa serve la filantropia in Italia? Quale ruolo ha e dovrebbe avere, secondo lei?
In Italia può e deve servire a colmare spazi che le istituzioni, da sole, non riescono a presidiare non solo in termini di risorse, ma di presenza, di tempo, di visione. Credo che la filantropia debba essere sempre più partecipata e condivisa: non il gesto eccezionale di pochi, ma il contributo costante di molti. Ecco perché il mantra che muove la nostra Fondazione è il “poco da tanti”: un modello in cui anche il gesto più semplice o più piccolo può diventare parte di qualcosa di grande. Quando il bene si moltiplica, genera valore diffuso. Non è un’attività accessoria, ma una leva per costruire una società più giusta e solidale.
La vostra Fondazione nasce dall’ispirazione della contessa Lene Thun e dalla sua passione per la ceramica, che è diventato il cuore di un’importante terapia ricreativa. Quanto è importante per lei essere fedele al suo mandato?
È fondamentale. La Fondazione è nata per dare continuità concreta ai valori di mia madre, Lene. La sua passione per la ceramica era un modo per comunicare, per portare gioia, per generare bellezza. Abbiamo cercato di tradurre quel linguaggio in una forma di cura che potesse restituire senso e leggerezza a chi attraversa momenti molto difficili. Essere fedeli al mandato di mia madre significa portare avanti quella visione con serietà, competenza e continuità.
Oggi più che mai, con i nostri 55 laboratori permanenti di ceramico-terapia in diversi reparti pediatrici di molti ospedali italiani, sentiamo la responsabilità di proteggere quel seme originario, facendolo crescere, mantenendo però intatta la sua anima: regalare gioia a chi ne ha più bisogno.
La Fondazione è legata anche a una realtà imprenditoriale, che ha un forte impegno verso la sostenibilità, tanto d’aver abbracciato il profilo di società benefit. Qual è il rapporto fra queste due realtà?
Fondazione Lene Thun e Gruppo Thun, nel nostro caso, non sono due mondi separati. Sono due rami dello stesso albero, nati da un patrimonio valoriale comune. La nostra azienda ha sempre messo al centro le persone, e la Fondazione ne è un’espressione naturale. Ciò che ci guida è una visione d’impresa che non si limita al profitto, ma che include l’impatto sociale e ambientale come parte integrante del proprio “fare”.
Il nostro sogno è un’osmosi sempre più profonda tra produzione e cura dentro e fuori dall’azienda. Sappiamo che non è facile, ma ci crediamo. E oggi più che mai, credo che le imprese abbiano la responsabilità (e anche la possibilità) di essere agenti di cambiamento, sostenendo modelli che producano valore condiviso.

Quale dei vostri progetti dell’ultimo periodo, secondo lei, rappresenta al meglio la vostra realtà ma – se possibile – anche i suoi personali valori e la sua sensibilità?
Negli ultimi anni abbiamo coinvolto i bambini e i ragazzi dei nostri laboratori in progetti collettivi, per dare loro la possibilità di affiancare all’aspetto creativo e personale anche quello comunitario, facendoli sentire parte di qualcosa di più grande.
Il progetto collettivo a cui stiamo lavorando quest’anno prende il nome Il Mondo che vorrei e rappresenta, forse meglio di ogni altro, la nostra realtà, oltre che i miei valori personali. È un progetto nazionale, che li rende protagonisti della modellazione di un futuro diverso, che porta la loro impronta. Attraverso le mani, i piccoli pazienti trovano il modo di dare voce ai propri sogni, trasformando la fragilità in speranza per un futuro migliore.
Portare il loro lavoro oltre le mura dell’ospedale, con un’installazione che vedrà la luce il prossimo anno, significa anche parlare alla società, sensibilizzandola su temi fondamentali: la malattia, certo, ma anche l’unione dei popoli e la pace, che oggi più che mai sentiamo come determinanti.

La collaborazione è oggi una buona pratica a vari livelli filantropici, non solo italiani. Voi avete molte collaborazioni con realtà profit e non profit. È una caratteristica del vostro impegno?
Assolutamente sì. Credo profondamente nel valore delle reti: quando le imprese, le istituzioni e il Terzo settore lavorano insieme, si generano risultati che nessuno, da solo, potrebbe ottenere. La Fondazione Lene Thun è cresciuta anche grazie al supporto di tanti imprenditori sensibili della nostra rete, e non solo, che hanno scelto di sostenere il nostro lavoro. È questa la forza della solidarietà diffusa.
E oggi sento ancora più forte il bisogno di creare una rete stabile tra aziende e singoli imprenditori che condividono una visione: unire forze, risorse e sensibilità per sostenere progetti ad alto impatto sociale. È una sfida culturale, prima ancora che economica.

Una domanda all’uomo, Peter Thun. Ci sono, o ci sono state, letture, opere, incontri, che hanno maggiormente formato la sua idea di filantropia? Qualcosa o qualcuno che le abbia confermato l’importanza di una visione del mondo in cui “voler bene all’uomo”, come l’etimologia spiega, è centrale?
Sì, più di una. Ma se dovessi scegliere direi che tutto nasce da mia madre e dalla mia famiglia. Da lei ho imparato cosa significa avere cura dell’altro, accorgersi dei bisogni e non girarsi mai dall’altra parte. In casa ho respirato quotidianamente l’idea che l’attenzione e l’amore verso chi ci sta accanto non siano gesti straordinari, ma parte naturale del vivere.
Credo che il cuore della filantropia sia proprio questo: un atto semplice e autentico di responsabilità verso l’altro. Anche il nostro gesto – regalare un laboratorio, un’ora di attività creatività, un pezzo di argilla – non è altro che una forma di quell’insegnamento: donare senza aspettarsi nulla, offrire uno spazio che alleggerisca sia i bambini sia le loro famiglie, e che sia di supporto al personale sanitario nel loro lavoro di cura.
Ogni volta che un bambino esce dal laboratorio con un sorriso più grande, ritrovo in quel sorriso le radici di ciò che mi è stato trasmesso e la conferma che vale la pena coltivarlo ogni giorno. E questa conferma mi arriva anche dal professor Momclo Jankovic, pediatra ed ematologo che guida il nostro comitato scientifico, che mi ha mostrato come la missione del medico sia vicina al senso stesso della filantropia, quella di “voler bene all’uomo”.
La sua attenzione all’umanizzazione della cura, in modo speciale per bambini e ragazzi, ha abbracciato la nostra missione, rendendo il nostro progetto così pervasivo e significativo per tanti pazienti negli ospedali italiani.
In apertura Peter Thun Hohenstein. Tutte le immagini sono di Fondazione Thun.
Scopri i numeri della filantropia e i 100 profili di chi investe nel bene comune su VITA magazine di ottobre ‘‘Nella testa dei filantropi”
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