Anna Maria Poggi è la prima donna alla presidenza della Fondazione Cassa di risparmio di Torino, la terza Fondazione di origine bancaria italiana per entità del patrimonio. Professoressa ordinaria di Diritto costituzionale e Diritto regionale all’università di Torino, direttrice del Centro interuniversitario di studi regionali “Giorgio Lombardi”, membro di numerose commissioni ministeriali per le riforme costituzionali e legislative, ricopre l’incarico da poco più di un anno.
La filantropia non morirà mai. Il vero nodo riguarda quanto sarà capace di fare rete. Avrà un futuro se vorrà ragionare in co-progettazione e puntando a obiettivi comuni
Anna Maria Poggi, presidente Fondazione Crt
A che cosa serve la filantropia in Italia? Nel senso di quale ruolo ha e dovrebbe avere, secondo lei?
Il filantropo è colui che ama il prossimo, ne promuove lo sviluppo e il benessere. Per farlo, occorre mettersi al servizio di un’evoluzione costante. In Italia la cifra erogata da realtà come Crt serve a “compensare” le politiche pubbliche in vari ambiti: dall’istruzione alla sanità, dal welfare ai trasporti. È un motore di vera sussidiarietà rispetto al ruolo degli enti pubblici. E c’è un altro compito che sta conoscendo un forte sviluppo.
Quale?
Aiutare il Terzo settore a sviluppare prassi innovative. Nel nostro Paese, esistono associazioni minuscole che da sole non avrebbero le forze per cogliere a pieno le potenzialità dell’intelligenza artificiale, della transizione al digitale e più in generale di pratiche innovative. Accompagnarle nell’affrontare le sfide del presente, mettendo a disposizione non soltanto risorse economiche ma anche soluzioni sperimentali, è uno degli interventi cruciali a cui è chiamata la filantropia. Dal 1991, la Fondazione Crt lo fa in un’ottica di co-progettazione con il Terzo settore: in oltre trent’anni, abbiamo attivato più di 45mila interventi e distribuito oltre due miliardi di euro in Piemonte e in Valle d’Aosta.
Quali competenze professionali e quali qualità “morali” deve avere oggi chi “governa” un patrimonio che non è suo, ma è una eredità di alcuni secoli?
Innanzitutto, servono competenze solide, e con questa espressione intendo aver maturato a vari livelli una conoscenza approfondita nel settore in cui si opera. La seconda caratteristica è possedere un senso di responsabilità. Lo dico sempre: il denaro di Anna Maria Poggi lo posso usare come voglio, ma i soldi pubblici richiedono una responsabilità di gestione molto rilevante. Che cosa significa? Trasparenza: tutti devono essere messi nella condizione di sapere dove l’ente investe, in quale modalità e secondo quali procedure. La terza parola è visione. Quando si investono risorse, bisogna avere due registri: uno, ineliminabile, ha a che fare con le esigenze immediate del territorio, l’altro deve saper intercettare e anticipare i cambiamenti nel lungo periodo.

Che cosa rappresenta la Fondazione Crt per Torino, oggi?
Il nuovo manifesto delle nostre attività per il 2025 ha un titolo: Siamo qui. Noi siamo qui dove la Fondazione opera, siamo qui per sostenere i talenti, valorizzare il patrimonio artistico e culturale, promuovere la ricerca, la formazione e il welfare. Siamo qui per proteggere l’ambiente e costruire uno sviluppo sostenibile e inclusivo. Lo facciamo in dialogo costante con le istituzioni e anche con tutte quelle rappresentanze della società civile e della ricerca che ci possono aiutare a comprendere le grandi trasformazioni che investiranno le società. Stare in mezzo al territorio è la nostra missione.
Qual è il progetto che secondo lei incarna lo spirito di Fondazione Crt?
È sempre difficile sceglierne uno soltanto, ma il progetto che credo racchiuda in sè il simbolo della nostra azione è sotto gli occhi di tutti a Torino: Officine grandi riparazioni. Uno spazio che Crt dieci anni fa ha regalato alla città ma non solo. In quello che un tempo era il più grande stabilimento torinese, oggi si svolgono eventi dal carattere internazionale. Un intervento che incarna l’attenzione della Fondazione per la cultura, la creatività e l’innovazione.
Scopri i numeri della filantropia e i 100 profili di chi investe nel bene comune su VITA magazine di ottobre ‘‘Nella testa dei filantropi”
Si parla molto di modelli filantropici basati sulla fiducia. Vpo che nel 2024 avete erogato quasi 74 milioni di euro attraverso bandi e oltre 60 per i progetti straordinari, come vi regolate?
La cifra della fiducia per noi è e rimarrà invariata, ma la strategia di fondo è sempre quella di un’erogazione basata sulla serietà e su standard qualitativi garantiti dallo strumento del bando, con le sue graduatorie e i suoi punteggi. Nella parte di rendicontazione, cerchiamo di accompagnare gli enti, anche nella valutazione dell’impatto, di tipo economico e sociale. Infine, tra gli obiettivi c’è quello di sostenere i nostri beneficiari anche nel progettare.
Dove si immagina la Fondazione fra 10 anni?
La immagino viva e vitale, con i piedi affondati nel proprio territorio, ma con la testa e il pensiero impegnati a generare continuamente nuove modalità di azione.
E la filantropia?
La filantropia non morirà mai. Il vero nodo riguarda quanto sarà capace di fare rete. Avrà un futuro se vorrà ragionare in co-progettazione e puntando a obiettivi comuni.
Ci sono frequenti e sostanziali segni di collaborazione fra i vari mondi filantropici. Come vede il futuro? Avrà ancora senso, e per quanto tempo ancora, che ci sia una distinzione di ambiti?
È questo il futuro. Ma un po’ di separazione di ambiti sarà inevitabile, per l’origine stessa delle fondazioni.

Il Terzo settore resta il vostro interlocutore principale. È cambiato, e come, il rapporto fra le associazioni e la Fondazione?
In un anno tipo destiniamo due terzi delle nostre risorse al Terzo settore. È un ambito che è cresciuto per numeri e nel frattempo anche noi siamo cresciuti per capacità di erogazioni. Si tratta di attivare una collaborazione sempre più stretta che vada a incidere su meccanismi e proposte di legge affinché la politica possa agevolare il lavoro del Terzo settore e delle Fondazioni. È una ricchezza che l’Italia non deve disperdere. Anche le regioni potrebbero essere un buono snodo per la normativa sul Terzo settore.
C’è un’esperienza che più abbia plasmato la sua idea di filantropia?
Ho sempre fatto volontariato (nel Distretto sociale dell’Opera Barolo, ndr), un impegno che, anche a fronte del mio attuale incarico, ho voluto mantenere. È un’esperienza che mi guida nelle scelte perché mi permette di rimanere ancorata alla realtà.
Nella foto in apertura, Anna Maria Poggi, presidente Fondazione Crt
Leggi anche:
Franco Parasassi, presidente Fondazione Roma
La filantropia deve essere educativa, per questo il nostro orizzonte è il mondo
Carlo Rossi, presidente Fondazione Monte de’ Paschi
Abbiamo cambiato pelle per essere sempre al servizio della comunità
Alberto Anfossi, segretario generale Compagnia di San Paolo
Accompagnare il Terzo settore ma senza paternalismo
Arianna Alessi, vicepresidente Otb Foundation
Quei profughi ucraini in pericolo ci spinsero ad avere coraggio
Peter Thun, presidente Fondazione Thun
Dall’amore per la ceramica al sollievo per i bambini, nel segno di mia madre
Susan Carrol Holland, presidente, Maria Cristina Ferradini, consigliere delegato Fondazione Amplifon
Relazione e gentilezza in dono alla comunità
Marina Nissim, presidente Bolton for Education Foundation
Donare è uno spazio di libertà ma richiede competenza e fiducia
Giuseppe Maino, presidente Fondazione Bcc Milano
Ho voluta una fondazione per far meglio la banca sociale
Allegra Caracciolo Agnelli, presidente Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro
Conoscere i malati di cancro ha reso forte la mia voglia di donare
Andrea Orcel, presidente Unicredit Foundation
Resilienza e talento, credo che investire sui giovani sia il meglio che si possa fare
Giovanna Ruda, chief corporate officer Italy Covivio
Ci piace il non profit he lavora “con” i giovani e non “sui” giovani
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.
