Anche una persona, una soltanto. Ma tutti i giorni. L’obiettivo di Arianna Alessi, la vicepresidente di Otb Foundation, è questo: «Puntiamo a un impatto diretto, a cambiare davvero la vita delle persone», dice. La fondazione del gruppo Otb – creato da Renzo Rosso, patron della Diesel – è nata nel 2006 e ad oggi ha distribuito 12,9 milioni di euro: 380 progetti i progetti sostenuti in tutto il mondo, per oltre 380mila persone raggiunte. Solo nel 2024 i beneficiari sono stati 14mila, con 1,2 milioni erogati e 23 progetti finanziati.
Nata a Camposampiero (PD), laureata in Economia e Legislazione per le imprese all’Università Bocconi di Milano, amministratore delegato di Red Circle Investments, Brave Wine e Villa Brasini Beauty Clinic oltre che vicepresidente di Otb Foundation, Alessi, che è sposata con Rosso dal 2022, racconta che «quando Renzo mi ha proposto di seguire la fondazione ho detto “Sì, ma con la mia testa”. Sono convinta che nel non profit manchi ancora una vera e propria impostazione finanziaria: creando valore si può reinvestire nelle attività per generarne uno maggiore e con un conto economico, seppure basico, si è più trasparenti ed è più facile reperire fondi da terzi. È così che supportiamo le realtà con cui collaboriamo, le stimoliamo a crescere anche nella mentalità di gestione delle attività non profit».
Come vede la filantropia in Italia, oggi?
Direi che la filantropia oggi deve far parte della mentalità di qualsiasi azienda, non è più un optional. Lo richiedono la società, le aziende, i dipendenti, i clienti, i giovani che cercano lavoro. Accade già da qualche anno, anche se è da poco che le aziende lo hanno metabolizzato. Come gruppo, noi abbiamo sempre sentito il dovere di restituire al territorio e ai dipendenti, ma anche di dare supporto a chi sta attraversando un momento di difficoltà. Ma la filantropia, per come la percepisco io, non si basa solo sul denaro: si può essere filantropi mettendo a disposizione il tempo, le proprie competenze e soprattutto la passione, per fare la differenza nelle comunità. L’impatto può derivare anche da azioni come il volontariato, la sensibilizzazione su problemi sociali o l’educazione delle persone su determinate tematiche sociali: la filantropia può assumere molte forme e il suo valore va oltre il semplice aspetto economico. Un’impresa, però, ha una responsabilità in più.
Quale?
Dire ciò che si fa e soprattutto dimostrare con i numeri quante persone nel concreto si riescono ad aiutare.
Noi però abbiamo una solida tradizione per cui il bene si fa ma non si dice…
Anche Renzo all’inizio faceva il bene in modo silenzioso. A fargli cambiare idea è stato il Dalai Lama, che un giorno su un aereo gli disse: “Tu sei una persona riconosciuta in tutto il mondo, hai credibilità e sei concreto. Se scegli di sostenere una causa è perché ci credi davvero ed è importante che lì tu accenda i riflettori, cosicché più persone ti seguano, amplificando gli aiuti”. Aveva ragione. Così è stato. Nel mondo ci sono tantissime persone in difficoltà che non vediamo: non per disattenzione o altro, ma semplicemente perché presi dalla nostra quotidianità. Poi quando qualcuno di serio e credibile fa notare queste cose… spesso le persone aderiscono alla causa e aiutano nel modo in cui possono.
Nel mondo ci sono tantissime persone in difficoltà che non vediamo: non per disattenzione o altro, ma semplicemente perché presi dalla nostra quotidianità. Poi quando qualcuno di serio e credibile fa notare queste cose… le persone aderiscono alla causa e aiutano nel modo in cui possono
Arianna Alessi, vicepresidente Otb Foundation
È interessante questo volano che si crea comunicando…
Quando sono entrata in Fondazione, nel 2017, il 100% dei capitali arrivavano dal gruppo Otb, mentre oggi il 40% dei capitali arrivano da terzi (imprenditori, aziende, donatori singoli) che credono nei nostri progetti e li supportano. Un po’ perché hanno capito che mettere in piedi una fondazione propria non è una cosa banale, un po’ perché apprezzano il fatto che noi – essendo supportati dal gruppo Otb – abbiamo i costi di struttura completamente coperti. Tutti i soldi donati vanno ai progetti e lo rivendichiamo con orgoglio. Con una precisazione: noi prima identifichiamo l’area di intervento, poi creiamo il progetto e, una volta testato, lo comunichiamo. Solo successivamente raccogliamo i fondi per implementarlo.
“Impatto” oggi è un must nella comunicazione del Terzo settore, ma nel 2006 quando Otb è nata lo era molto meno: cos’è per voi l’impatto?
Siamo una grant making foundation, quindi finanziamo le organizzazioni che operano direttamente sul campo. Individuare il partner giusto con cui collaborare è un passo importantissimo, a cui dedichiamo molto tempo e fra i criteri c’è proprio l’impatto sociale diretto: devono darci garanzie che riusciranno concretamente ad aiutare le persone. Questo richiede che le organizzazioni abbiano un know how specifico molto solido e – se siamo in un Paese straniero – che siano ben radicate sul territorio. Noi le supportiamo dando input imprenditoriali, come la riorganizzazione interna dell’organico là dove serve, la gestione dei costi, la sistemazione dei conti economici così da facilitare l’intercettazione di altri capitali per le loro realtà… L’impatto concreto sulla vita delle persone per noi è cruciale: se riuscissimo ad aiutare anche solo una persona al giorno, avremmo raggiunto il nostro obiettivo. In India, per esempio, paghiamo le operazioni per la ricostruzione del viso delle donne sfregiate con l’acido: servono 25-30 operazioni per ogni singola donna: per lei però cambia tutto.
«Oggi OTB Foundation è una parte fondamentale del modello di business del nostro Gruppo», scrive il presidente Rosso. In Otb come si concretizza questa visione di “filantropia strategica”?
La filantropia per noi è alla base di qualsiasi iniziativa, sia imprenditoriale sia sociale: tutti i dipendenti del gruppo – dalla receptionist al ceo – sanno che con il loro lavoro stanno contribuendo ad un’opera filantropica, creando un valore che, in parte, andrà alla fondazione. Inoltre crediamo molto nel volontariato aziendale, che in Otb trova sempre un’adesione entusiasta e crea un engagement molto importante nei confronti dell’azienda.

Only The Brave: che cosa dice di voi e del vostro approccio questo nome?
Coraggio significa andare là dove c’è una necessità e andarci tempestivamente, magari anche imbarcandosi in qualcosa che è oggettivamente più grande di te. La parola “coraggio” ha dentro la radice latina di cor, cuore: per me essere coraggiosi significa intervenire con il cuore. Quando siamo andati con i pullman al confine tra Polonia e Ucraina per prendere le persone che scappavano dalla guerra, qualcuno nel mondo della moda ci ha detto “attenzione, non schieratevi, perché la Russia è un mercato importante”. Io e Renzo ci siamo guardati e ci siamo detti “qui c’è da salvare vite, punto”. Abbiamo portato in Italia 443 persone senza sapere prima dove metterle: abbiamo cercato alberghi, affittato appartamenti… non è stato facile. E poi a Gaza, dove abbiamo finanziato un ospedale gonfiabile per Medici Senza Frontiere. È il nostro modo per essere vicini oggi, per aiutare anche se non possiamo entrare direttamente. Oppure in Afghanistan, il Paese in cui le donne hanno meno diritti al mondo: avevamo finanziato una scuola guida per donne in collaborazione con un partner locale e avviato un progetto che prevedeva otto shuttle guidati da loro, per sole donne. Un servizio di trasporto tutto al femminile per abbattere le limitazioni sulla libertà di movimento (a suo tempo uomini e donne non potevano condividere i mezzi pubblici) e consentire loro di raggiungere i luoghi di lavoro e di studio. Poi sono arrivati i talebani e hanno chiuso tutto, sequestrandoci i pulmini. Non abbiamo mollato e abbiamo deciso di convertire l’aiuto per sopperire a un’altra emergenza, sostenendo sempre a Kabul l’apertura di un orfanotrofio per 100 bambini e poco dopo siamo riusciti ad avviare anche il primo orfanotrofio pubblico femminile nell’area di Kapisa, per 50 bambine. “Brave” per noi è questa cosa qui: non si molla mai e se non ci permettono di aiutare in un modo, ce ne inventiamo un altro.
La parola “coraggio” ha la radice latina di cor, cuore: essere coraggiosi significa intervenire con il cuore. Quando siamo andati con i pullman al confine tra Polonia e Ucraina qualcuno ci ha detto “attenzione, non schieratevi”. Io e Renzo ci siamo guardati e ci siamo detti “qui c’è da salvare vite, punto”. Abbiamo portato in Italia 443 persone
Arianna Alessi, vicepresidente Otb Foundation
Qual è il progetto che rappresenta meglio Otb Foundation ma anche i vostri valori personali, suoi e di Renzo Rosso?
È una domanda difficile per me che li amo tutti allo stesso modo. Oggi è importantissimo l’ospedale mobile di Gaza, è un modo per esserci. Ma penso anche agli empori solidali, ne abbiamo alcuni a gestione diretta ed altri sparsi per l’Italia che sosteniamo attraverso diverse modalità. Sono spazi polifunzionali in cui offriamo gratuitamente cibo e beni di prima necessità alle famiglie alle prese con gravi difficoltà economiche. Inoltre, attraverso la collaborazione con associazioni locali e i loro volontari, attiviamo uno sportello di ascolto, offriamo un lavoro e/o cerchiamo di capire se ci sono alle spalle casi di violenza dato che abbiamo anche un nostro servizio di aiuto alle donne vittime di violenza che offre consulenza legale e psicologica gratuita. Il reinserimento lavorativo, che restituisce dignità alla persona ed è il primo passo verso l’autonomia, è il comune denominatore di quasi tutti i progetti della Fondazione e sta molto a cuore anche a Renzo. Un altro esempio è il progetto Job Clinic, una piattaforma online molto semplice usufruibile anche da device non di ultima generazione, che crea un collegamento diretto tra domanda e offerta di lavoro per persone con background migratorio. Ci appoggiamo ad un centro per rifugiati a Roma, attraverso il quale forniamo corsi di lingua, formazione professionale, seminari di approfondimento sul mercato del lavoro, supporto nella stesura di un cv professionale, oltre a dare assistenza nella compilazione delle pratiche burocratiche per l’ottenimento dei documenti necessari. Sullo stesso sito carichiamo tutte le offerte di lavoro che ci arrivano dalle varie aziende e oltre 200 persone sono state assunte in questi due anni: persone che dormivano in stazione. Un riscontro incredibile, lo stesso che abbiamo avuto anche con un servizio di supporto psicologico per adolescenti in partnership con l’associazione cui fa capo la psicoterapeuta Stefania Andreoli. In questo caso offriamo 10 ore di psicoterapia gratuite, dai 12 ai 25 anni. E poi sono legatissima a uno dei nostri primi progetti, quello a sostegno dell’associazione Piccolo Principe, che nel varesotto gestisce alcune case-famiglia. Non ci dormii la notte quando la presidente mi raccontò che un numero impressionante di bambini dopo essere stati adottati o presi in affido venivano “restituiti” dalla famiglia adottiva…da qui è nato un progetto chiamato “La casa sull’Albero”, una struttura con mini-appartamenti a disposizione di questi nuovi nuclei familiari, che con il supporto di educatori e psicoterapeuti possono vivere in serenità la prima fase di percorsi molto delicati per una conoscenza accompagnata e graduale dei minori con i nuovi genitori. Abbiamo il 100% di casi di successo. Oggi purtroppo le disponibilità all’adozione sono diminuite, anche a causa della crisi economica, e questo è un altro tema su cui tutti dovremmo riflettere.
Qual è il momento che l’ha emozionata di più?
L’arrivo del primo pullman dall’Ucraina, in particolare una donna che è arrivata qui con due figli, un borsone in mano e scendendo ha chiesto “dove siamo?”. Siamo diventate amiche, lei per un po’ ha lavorato nel dipartimento di grafici del gruppo e poi ha raggiunto la sorella in Germania.

Ci sono letture o incontri che l’hanno spinta a mettere le mani in pasta personalmente o che hanno plasmato la sua visione della filantropia?
Prima ancora di conoscere mio marito, una volta mi trovavo a Mumbai per lavoro e il fondo per cui lavoravo mi mandò ad un luxury summit. Ucita dall’hotel in cui si svolgeva il convegno, ho visto lì a fianco un centro delle suore di Madre Teresa di Calcutta: mi ha incuriosito, sono entrata, ricordo una stanza grandissima con una cinquantina di bambini in cellette di ferro attaccate l’una all’altra… Sono uscita portando via solo il passaporto. Lascai lì tutto, valigia e borsa comprese. Dopo di allora ho letto tutto su madre Teresa e realizzato come una così piccola donna potesse trasmettere un messaggio così forte, che ha dato sollievo alle persone.
Nel 2026 Otb Foundation compirà vent’anni: dove si immagina fra dieci anni?
Fra dieci anni spero che il Governo avrà capito ancora di più l’importanza del Terzo settore su temi come l’eduzione, la povertà, la violenza di genere e il disagio giovanile, e conseguentemente agevoli sempre di più la collaborazione tra i diversi enti e tra il pubblico con il privato. Una cosa che oggi spesso non è semplice.

Qual è la cosa che la sera, con suo marito Renzo Rosso, vi fa dire “qui ci siamo proprio noi”?
Renzo come presidente ovviamente è al corrente di tutto e parliamo spesso di come poter migliorare i progetti. Cerchiamo di coinvolge nostra figlia, che ha 9 anni: l’ho portata con me nelle case-famiglia che sosteniamo e anche all’arrivo delle famiglie ucraine. Vogliamo che veda queste situazioni perché anche in lei nasca l’istinto dell’altruismo, del pensare al prossimo, del guardare negli occhi le persone senza limitarsi a donare delle cose. È un insegnamento che Renzo ed io abbiamo ricevuto dai nostri genitori e che vogliamo trasmettere a lei.
Foto inviate da ufficio stampa OTB Foundation.
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