Susan Carol Holland e Maria Cristina Ferradini

Relazione e gentilezza, in dono alla comunità

di Giampaolo Cerri

La presidente di Fondazione Amplifon Susan Carol Holland, che è anche presidente del gruppo leader mondiale per le soluzioni per l'udito, insieme alla consigliera delegata, Maria Cristina Ferradini, raccontano genesi e sviluppo di questa fondazione filantropica nata in mezzo al Covid. Versione più estesa dell'intervista apparsa su VITA magazine di Ottobre: "Nella testa dei filantropi"

Amplifon s’è fatta un regalo per i suoi 70 anni: nel 2020, anniversario della nascita di questo gruppo, leader mondiale delle soluzioni l’udito, si è infatti dotata di una fondazione di impresa. Una realtà che, in questo lustro, ha lavorato, sull’inclusione delle persone e sul restituire valore alla comunità, investendo oltre 13 milioni e scrivendo pagine di innovazione sociale e culturale, come la campagna di sensibilizzazione sulla gentilezza. La presidente è Susan Carol Holland, che presiede anche il Gruppo, mentre Maria Cristina Ferradini, consigliere delegato, guida l’operatività. Le abbiamo incontrate.

A che cosa serve la filantropia in Italia?

M.C. Ferradini: La risposta giusta sarebbe: “La filantropia, in Italia, ha un ruolo complementare al sistema di welfare dello Stato”. È una risposta che dice che sì, esiste un compito dello Stato nel rispondere alle esigenze essenziali, ma esiste anche una società civile che può andare ben oltre, in modo coordinato e strategico. Ma credo che la filantropia possa permettersi di essere molto di più: apre spazi di sperimentazione, intercetta bisogni sociali e culturali che ancora non trovano voce e risposte, può creare connessioni e ponti imprevedibili, avvantaggiandosi di competenze, conoscenze e intuizioni che altri attori non si possono permettere di attivare.

Le attività con gli anziani in Francia

La filantropia è un laboratorio di possibilità: non ha la rigidità delle istituzioni né la logica del profitto, e proprio per questo riesce a innovare e prendersi cura di ciò che rischia di restare invisibile.  In questo senso, la filantropia contribuisce a ridefinire continuamente la nostra convivenza civile e i legami che uniscono le nostre comunità.

Istituire un ente filantropico richiede, oggi più di ieri. Qual è stata la vostra, al momento della creazione della Fondazione Amplifon?

S.C. Holland: Credo fermamente che oggi le aziende debbano gestire le proprie attività in modo responsabile, coniugando gli obiettivi di business con la giusta attenzione alle esigenze di tutti gli stakeholder, incluse le comunità nelle quali operano. Con questa convinzione, parallelamente al forte impegno di Amplifon sui temi Esg, nel 2020 abbiamo dato vita a Fondazione Amplifon, concentrando in un’unica entità le nostre attività e risorse per la filantropia, al fine di renderle più coerenti e incisive. In questo modo, grazie ai suoi progetti, la Fondazione è diventata uno strumento per rendere più efficace e determinante il nostro impatto sulla società e sul territorio, ma anche sull’azienda stessa, cristallizzando il suo impegno sociale.

Volevamo contribuire a favorire l’inclusione sociale, in particolare delle persone anziane, alle quali la società deve molto ma che spesso rischiano di restare isolate.

Susan Carol Holland, presidente Fondazione Amplifon

Abbiamo scelto di focalizzarci sugli anziani, una popolazione a cui siamo vicini anche attraverso l’attività di Amplifon, ma volutamente senza occuparci del tema dell’udito, per evitare sovrapposizioni con l’azienda. Volevamo contribuire a favorire l’inclusione sociale, in particolare delle persone anziane, alle quali la società deve molto ma che spesso rischiano di restare isolate. Crediamo fermamente che la qualità della vita passi anche e soprattutto dalle relazioni, dal sentirsi parte di una comunità. La Fondazione è coerente con i valori aziendali ma indipendente rispetto all’attività dell’azienda, con la quale c’è comunque un forte legame anche grazie all’impegno sempre più forte dei colleghi volontari di Amplifon nelle nostre attività.

Un incontro coi volontari della fondazione, al centro nella prima fila dal basso, si riconosce Maria Cristina Ferradini – foto Ufficio stampa Fondazione Amplifon

Quale dei vostri progetti dell’ultimo periodo, secondo lei, rappresenta al meglio la vostra realtà ma – se possibile – anche i suoi personali valori e la sua sensibilità?

S.C. Holland. Sicuramente il progetto “Ciao!”, il primo nato in seno alla Fondazione, durante la pandemia, nelle residenze per anziani. Lì ci siamo resi conto di quanto fosse fondamentale portare vicinanza, relazioni e nuove opportunità a persone spesso isolate. Durante la pandemia, infatti, gli anziani hanno patito la solitudine. Per questo, diverse residenze hanno chiesto alla Fondazione di comprare tablet per i loro ospiti. Abbiamo scelto di rispondere a questa richiesta optando per dei sistemi di video connessione più sofisticati che oggi non servono solo a interagire con il mondo esterno ma anche a offrire agli ospiti delle residenze attività ricreative o di intrattenimento come viaggi virtuali concerti e lezioni di yoga. Dopo esserci consolidati in Italia, negli ultimi due anni abbiamo portato “Ciao!” anche all’estero – in Portogallo, Australia, Francia, Svizzera e Spagna – in linea con il Dna internazionale di Amplifon. Oggi l’iniziativa coinvolge circa 28 mila anziani in oltre 280 strutture. Questo è forse il progetto che più rispecchia i valori della Fondazione e anche la mia sensibilità personale: dare voce, tempo e dignità a chi rischia di sentirsi dimenticato.

La campagna, molto bella, che avete fatto sulla gentilezza ha colpito tanti: non solo un apporto filantropico ma anche culturale.

M.C. Ferradini. Sì, senza ombra di dubbio. Lavorando sui bisogni, inevitabilmente sperimentiamo i vuoti culturali. Dove c’è miseria, dove c’è lacuna, dove c’è perdita, spesso manca anche la capacità di capire, di strutturare, di organizzare, di gestire. Per una realtà filantropica come Fondazione Amplifon, accanto agli investimenti più tradizionali, promuovere stimoli culturali che siano traccia e spunto per costruire e rafforzare le comunità e le persone che ne fanno parte, diventa lo strumento per liberare energie e chiudere tutti i gap, non solo per l’oggi e anche per le nuove generazioni. Non esiste strumento più potente della cultura, che intendo come insieme di conoscenze e competenze che liberano la persona, le danno una capacità per l’appunto di meglio “intelligere” la realtà e rispondere ai bisogni, propri e altrui, in modo organizzato e stabile.  La gentilezza, per fare il caso che lei citi, è un valore delicatissimo ma che tocca le fondamenta della convivenza. Portarla al centro di una riflessione condivisa significa non solo promuovere e sostenere un valore, ma proporre una chiave di lettura della realtà, una prospettiva capace di trasformare i comportamenti individuali e collettivi. E questo, a mio avviso, è il senso profondo del lavoro culturale di una fondazione.

La collaborazione è oggi una buona pratica a vari livelli filantropici, non solo italiani. La vede come un’opportunità o come una fatica necessaria?

M.C. Ferradini La filantropia, per sua natura, non può pensarsi isolata: le questioni sociali sono complesse e stratificate. La collaborazione è quindi un orizzonte necessario che permette di mettere a sistema una pluralità di sguardi e competenze trasformandoli in una forza collettiva. Al tempo stesso, la collaborazione richiede tempo, capacità di ascolto, la ricerca di compromessi sani. È inevitabilmente faticosa. Ma è irrinunciabile.

Una domanda alla fondatrice, di cosa o di chi è tributaria la sua visione della filantropia?

S.C. Holland. Il riferimento più forte per me resta mio padre Charles, che nel 1950 fondò Amplifon a Milano con un’idea forte e con un chiaro intento sociale: aiutare le persone che avevano avuto problemi all’udito a causa dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Quest’anno ricorrono i 75 anni dalla nascita dell’azienda, e il suo esempio continua a essere per me e anche per tutti i colleghi fonte di grande ispirazione. La sua visione dimostra che fare impresa può e deve significare anche dare un contributo concreto alla società e alle persone che ne fanno parte, migliorando la loro vita. Credo che la filantropia sia questo: voler bene all’uomo, prendersi cura degli altri, restituendo valore alle comunità di cui facciamo parte.

Le foto sono dell’ufficio stampa di Fondazione Amplifon.

Scopri i numeri della filantropia e i 100 profili di chi investe nel bene comune su VITA magazine di ottobre ‘‘Nella testa dei filantropi

Leggi anche:

Carlo Rossi, presidente Fondazione Monte de’ Paschi
Abbiamo cambiato pelle per essere sempre al servizio della comunità

Alberto Anfossi, segretario generale Compagnia di San Paolo
Accompagnare il Terzo settore ma senza paternalismo

Arianna Alessi, vicepresidente Otb Foundation
Quei profughi ucraini in pericolo ci spinsero ad avere coraggio

Peter Thun, presidente Fondazione Thun
Dall’amore per la ceramica al sollievo per i bambini, nel segno di mia madre

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.