A Pirassununga, nello Stato di San Paolo la Fazenda Estância, è un esempio di agricoltura del futuro sostenibile. In 1.600 ettari di terra due sorelle – Aline e Nathalia Vick – hanno scelto di invertire la rotta dell’agricoltura tradizionale e di costruire un modello che unisce redditività, tutela del suolo e dignità del lavoro.
Fondata dal padre José Vick, la fazenda ha attraversato nel 2018 un delicato processo di successione familiare. Da allora, le due figlie — Aline, economista con esperienza nella finanza, e Nathalia, amministratrice e manager agraria — hanno assunto la guida dell’impresa agricola, imprimendo una svolta culturale oltre che produttiva. Su 1.000 ettari coltivati a soia, mais, sorgo, manioca e canna da zucchero, le sorelle Vick hanno sostituito i vecchi modelli estrattivi con una visione circolare e rigenerativa.
Imprenditrici agricole dal 2018
Quando nel 2018 hanno ereditato la gestione dell’azienda di famiglia, le due sorelle si sono trovate davanti a un bivio: continuare il percorso dell’agrobusiness convenzionale o sperimentare qualcosa di radicalmente nuovo. Hanno scelto la seconda via, investendo in agricoltura rigenerativa, un approccio che non si limita a «non danneggiare» l’ambiente ma lo fa rinascere.
Oggi la Fazenda Estância è un caso di studio internazionale. Dal 2022 fa parte della rete Bayer ForwardFarming, un programma che collega 21 aziende agricole in 13 Paesi per promuovere pratiche sostenibili e misurabili. «Abbiamo un gruppo WhatsApp con altri produttori dell’America Latina», dice Aline sorridendo, «e ci scambiamo consigli, foto, idee. È una comunità che impara insieme». I dati parlano da soli: la produzione di soia emette il 60% di Co₂ in meno rispetto alla media brasiliana (616 kg contro 1.526 per tonnellata), mentre quella di mais è ridotta del 46%. Eppure i raccolti crescono del 25%.
«Per noi rigenerare la terra è un atto di responsabilità, ma anche di libertà», spiega Nathalia, 38 anni, mentre mostra i sensori che misurano l’umidità e la biodiversità del suolo. «Abbiamo imparato ad ascoltare ciò che la terra ci racconta. Non serve forzarla, serve capirla».
Economia circolare, nel senso letterale del termine
La Fazenda Estância dà lavoro stabile a otto persone, tra operai agricoli, tecnici e autisti. Tutti con contratti regolari, previdenza e bonus legati ai risultati ambientali. Il welfare interno prevede che i genitori devono tenere i propri figli a scuola e fornire una prova di frequenza presso il comune di Pirassununga. «Un’azienda agricola non è solo terra e macchine. È una comunità di persone», sottolinea Aline, 36 anni, che si occupa della gestione finanziaria.
Il fatturato annuo dell’impresa supera i 2,5 milioni di reais (circa 400mila euro), con margini in crescita grazie alla riduzione dei costi di fertilizzanti e carburante. Le sorelle reinvestono il 10% degli utili in innovazione e ricerca, collaborando con l’Università di Campinas e con startup locali che sviluppano biostimolanti naturali.
Il modello è fondato su rotazioni di colture, coperture vegetali e periodi di riposo pianificato per il 20% dei terreni ogni anno. In pratica, una parte della fazenda «va in vacanza»: si rigenera da sola grazie a mix di piante come la brachiaria, un’erba da pascolo e foraggio per l’allevamento di bestiame molto comune in Brasile, il miglio e il sorgo che fissano carbonio, trattengono acqua e restituiscono vita microbica al suolo.
Il valore (umano) della scienza
La trasformazione non è solo agronomica. È culturale. «In campagna le donne hanno sempre avuto un ruolo invisibile», dice Aline, «abbiamo deciso di guidare, non solo di assistere». La loro leadership femminile ha reso la Fazenda Estância un punto di riferimento anche per le nuove generazioni: ogni anno ospita oltre 1.000 studenti e ricercatori per visite didattiche e tirocini.
«Non parliamo solo di tecniche agricole», prosegue Nathalia, «ma di un nuovo modo di pensare la produttività. La sostenibilità è diventata una leva economica, non un costo».

La loro azienda è infatti una delle prime in Brasile a misurare e certificare le proprie emissioni di carbonio per ettaro e per prodotto tramite la piattaforma Footprint PRO Carbono, sviluppata da Bayer ed Embrapa, una società di ricerca pubblica collegata al ministero dell’Agricoltura e dell’Allevamento verde-oro. Un sistema di contabilità ambientale che trasforma i dati in valore di mercato visto che alcune multinazionali del food hanno già inserito la soia della Fazenda Estância nella filiera «carbon neutral».
Un’agricoltura che cura la terra
«Non sapevamo ancora che si chiamasse agricoltura rigenerativa, ma ci stavamo già provando da tempo», racconta Nathalia. «Volevamo un suolo vivo, fertile, che potesse restituirci nel lungo periodo quello che gli davamo». Da questa intuizione è nato un percorso di trasformazione che ha coinvolto ogni aspetto della produzione: dalla rotazione delle colture, pensata non solo per alternare piante ma per «ruotare le radici» e arricchire la biodiversità del suolo, alla riduzione dell’impatto climatico e dell’uso di fertilizzanti chimici.
Negli ultimi cinque anni, la regione di Pirassununga ha sofferto forti periodi di siccità alternati a piogge torrenziali. Eppure la Fazenda Estância ha mantenuto rese stabili. «I suoli vivi trattengono acqua meglio di qualsiasi irrigazione artificiale», spiega Nathalia. «Rigenerare è la miglior assicurazione climatica che esista». Anche la fauna è tornata: armadilli, ibis, rane e api selvatiche si muovono di nuovo tra le fasce boscate che separano le aree coltivate. In collaborazione con l’Istituto Chico Mendes, le sorelle stanno creando un corridoio ecologico di 60 ettari che collegherà la loro proprietà a una riserva naturale vicina.

Un modello di sviluppo per il futuro
In un Paese dove l’agrobusiness rappresenta quasi il 25% del Pil, parlare di «agricoltura rigenerativa» non è semplice. Ma la scommessa delle sorelle Vick dimostra che redditività e sostenibilità possono convivere. Le loro scelte stanno attirando l’attenzione di cooperative, banche verdi e università. Le due agronome però non amano i riflettori. Preferiscono restare tra le radici ma il loro esempio ha un peso simbolico e mostra che la transizione ecologica può partire dal basso, dal campo, da due donne che hanno deciso di restituire vita a ciò che avevano ricevuto in eredità. «La rigenerazione è anche una scelta spirituale», conclude Aline, guardando l’orizzonte di campi e vento. «Ci ricorda che ogni raccolto è un atto di fiducia nel domani».
La società civile come alleata
Nella visione delle sorelle Vick, l’agricoltura rigenerativa non è solo una tecnica, ma un ponte tra campo e città.
C’è ancora distanza tra chi produce e chi consuma. Il nostro obiettivo è colmarla, far capire che produrre e preservare possono andare di pari passo
«Molte persone non sanno che anche la soia, il mais o la manioca possono essere sostenibili», spiega Nathalia. «C’è ancora distanza tra chi produce e chi consuma. Il nostro obiettivo è colmarla, far capire che produrre e preservare possono andare di pari passo». Per questo la Fazenda Estância è una fattoria a porte aperte: ogni anno accoglie studenti, tecnici, ricercatori, ma anche cittadini comuni curiosi di capire come nasce il cibo. «Abbiamo superato i mille visitatori quest’anno», racconta Aline. «E questo ci spinge a mantenere standard elevati, anche sociali. Con il supporto del programma Producindo Certo (Producendo bene in italiano, quasi come la newsletter di VITA), abbiamo migliorato la sicurezza sul lavoro, la segnaletica, la formazione. Vogliamo che chi entra qui veda coerenza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo».

Misurare per migliorare
La sfida, ora, è consolidare un modello economico e ambientale che possa essere replicato. «Ogni appezzamento è monitorato», spiega Aline. «Sappiamo quante ore di lavoro, quanto carburante e quanti fertilizzanti sono stati utilizzati. Questo non solo riduce le emissioni, ma dimostra una gestione aziendale efficiente, che apre anche nuove possibilità di credito verde».
E il futuro? «Sogniamo di arrivare alla neutralità carbonica», afferma Nathalia. «C’è ancora molta strada, ma crediamo che il Brasile abbia un ruolo fondamentale nella transizione agroecologica mondiale. Non solo per l’Amazzonia, ma per la capacità di produrre cibo in modo sostenibile, in un’agricoltura tropicale che può dare due o tre raccolti all’anno».
«La terra è il nostro laboratorio»
Per Aline, il cambiamento è stato anche personale. Dopo anni a San Paolo nel mondo finanziario, ha deciso di tornare in campagna. «Mi sono innamorata del lavoro di mia sorella», dice. «E la fazenda è diventata il mio laboratorio: qui sperimentiamo, testiamo, impariamo ogni giorno. L’agricoltura rigenerativa non è un punto d’arrivo, è un viaggio». Nel loro «laboratorio vivente» le sorelle Vick hanno introdotto pratiche inedite per la regione, come la semina diretta della manioca sulla paglia di soia, in collaborazione con Embrapa. Una sperimentazione che riduce l’erosione del suolo e conserva l’umidità. «Abbiamo deciso che il 20% dei nostri terreni deve riposare ogni anno», spiega Aline. «È una scelta anche economica: rinunciamo a una parte del reddito immediato per garantire la produttività futura. Vogliamo che la nostra terra continui a darci vita per i prossimi cinquanta anni».

Una storia familiare, una visione globale
Le sorelle Vick portano nel sangue un’eredità mista: padre tedesco, madre italiana, origini prussiane. «La nostra famiglia è arrivata in Brasile nel 1890», racconta Aline. «Siamo qui da più di un secolo, ma credo che la vera eredità che vogliamo lasciare sia questa: un’agricoltura che rigenera, non che consuma».
Il loro messaggio alla società civile europea — e italiana — è semplice: «Ogni Paese deve fare bene ciò che sa fare. Voi continuate a produrre vino e cultura, noi produrremo cibo sostenibile. Ma serve sostegno reciproco: i cittadini, le imprese, le istituzioni devono capire che dietro ogni chicco di soia ci sono famiglie come la nostra, che lavorano per nutrire il pianeta e curare la terra».
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