Parla un operatore umanitario

Sudan, nel cuore della crisi dimenticata in Darfur: «Le persone sono disperate, ma i fondi sono pochissimi»

Fabrizio Cavalazzi è un operatore umanitario dell’ong Intersos. Si trova nella città di Tawila dove arrivano gli sfollati che sono riusciti a fuggire da El Fasher. «Non si riesce a registrarli tutti. In città saranno dai 200mila ai 300mila. Queste persone sono sopravvissute a mesi o anni di conflitto e assedio. In totale nel Paese sono quasi 10 milioni gli sfollati interni. Le organizzazioni umanitarie non riescono a far fronte all'emergenza perché i fondi sono troppo pochi. È una crisi dimenticata, e se si andrà avanti così ci saranno ripercussioni non solo in tutta la regione, ma anche in Europa»

di Anna Spena

Il Sudan è oggi teatro della più grave emergenza umanitaria del pianeta. A oltre due anni dall’inizio del conflitto tra l’esercito regolare (Saf) e le Forze di Supporto Rapido (Rsf), il Paese è sprofondato in una spirale di violenza, fame e sfollamenti di massa. Secondo le Nazioni Unite, oltre 30 milioni di persone, più della metà della popolazione, necessitano di assistenza umanitaria. La maggioranza di coloro che hanno bisogno di aiuto è composta da bambini (51,4%) e adulti (43,4%), mentre gli anziani rappresentano il 5,3%. La crisi degli sfollati interni è drammatica, avendo raggiunto quasi 10 milioni di persone a fine agosto 2025. A ciò si aggiunge una catastrofica insicurezza alimentare: il World Food Programme (Wfp) stima che 24,6 milioni di persone si trovino in insicurezza alimentare acuta, con 637mila in condizioni di fame catastrofica. A rendere la situazione ancora più grave è la malnutrizione, che colpisce un bambino su tre, un dato che supera la soglia che definisce lo stato di carestia.

La situazione continua a precipitare. Violenze, uccisioni di massa, stupri, devastazione di villaggi: tutto questo sta accadendo in queste ore nella città di El Fasher, Nord del Darfur, a distanza di pochi giorni dalla conquista della città da parte del gruppo armato delle Rsf. Sono centinaia i civili che sarebbero stati uccisi e migliaia risultano ancora dispersi. Molti sono sfollati, con famiglie costrette a fuggire a piedi in cerca di sicurezza, rischiando la propria vita lungo il cammino. «Gli attacchi illegali contro le persone in fuga destano preoccupazione e si teme per la sorte delle decine di migliaia di civili che, fino alla scorsa settimana, erano rimasti nella città. In questo momento molte persone stanno arrivando in località come Tawila, Al Malha, Melit e Kosti senza alcun bene e con un disperato bisogno di aiuti umanitari», spiega Fabrizio Cavalazzi, senior emergency program development dell’organizzazione umanitaria Intersos che ora si trova a Tawila. «Stiamo cercando di intervenire per soccorrere le persone in fuga. I numeri degli arrivi sono incerti perché in questo momento l’uscita e l’entrata dalla città sono state chiuse. Neppure le autorità statali riescono ad avvicinarsi per via delle continue atrocità e razzie che i miliziani del gruppo Rfs stanno compiendo lungo la via di fuga dalla città di El Fasher. Le prime cifre che abbiamo a disposizione parlano di circa 1.500 famiglie, dunque più o meno 7mila persone, che sono riuscite a raggiungere Tawila».

«La città di El Fasher», continua, «è stata contesa fin dall’inizio della crisi. La presa di potere della città è il culmine di un assedio durato 18 mesi e di incessanti attacchi. Da più di due anni la fame e l’assenza di ogni bisogno primario sono ovunque, soprattutto nei campi degli sfollati all’interno e nei dintorni della città». Non c’è un dato ufficiale per identificare quanti siano gli sfollati interni che ora si trovano a Tawila. «Le stime parlano di un numero di sfollati che oscilla tra i 200mila e i 300mila». L’operatore umanitario descrive come «immensi» i traumi subiti da queste persone, che sono sopravvissute a mesi o anni di conflitto e assedio: «In molti necessitano di cure mediche fisiche, a causa dei massacri subiti. E poi ci sono i traumi psicologici, specialmente per donne e bambini».

In risposta a questa crisi, Intersos sta mettendo in campo una risposta d’emergenza focalizzata su due pilastri essenziali: salute e protezione. Sul fronte sanitario, l’attività principale è l’istituzione di una Mobile Clinic che sarà attiva entro pochi giorni e posizionata vicino al centro di transito per fornire il primo screening e cure essenziali. Per quanto riguarda la protezione, l’intervento include il supporto psico-sociale immediato e la gestione dei casi di violenza di genere. «Gli sfollati interni in Sudan sono quasi dieci milioni. Questa crisi è gravissima ma non ha l’attenzione mediatica necessaria perché, a livello globale, vengono considerate più importanti le crisi economicamente e politicamente più rilevanti. Di conseguenza, le organizzazioni umanitarie non riescono a far fronte all’emergenza perché è super sotto-finanziata. Questo conflitto rappresenta un rischio non solo per il Sudan, ma per l’intera regione. I Paesi confinanti, come il Ciad, non possono reggere a lungo l’enorme carico di rifugiati, e questo squilibrio potrebbe avere ripercussioni anche in Europa».

Questa foto pubblicata dall’UNICEF mostra bambini e famiglie sfollate da el-Fasher in un campo di sfollamento dove hanno cercato rifugio dai combattimenti tra le forze governative e l’Rsf, a Tawila, nella regione del Darfur, in Sudan, lunedì 27 ottobre 2025. (Mohammed Jammal/Unicef via AP/LaPresse

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