Ambiente

Sulle rinnovabili le aziende non si faranno ingannare dalla propaganda di Trump

Per Donald Trump la crisi climatica non esiste e gli investimenti per l'energia pulita sono «una truffa». Per il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, sono affermazioni «farneticanti», che «contrastano con quanto afferma ormai non il 90% ma il 99% degli scienziati». Ma aggiunge che «l’Agenzia internazionale sulle risorse rinnovabili dice che nel 2024 il 92,5% delle risorse economiche investite per produrre energia sono andate alla filiera delle rinnovabili. Per questo credo che le aziende americane non saranno così autolesioniste dal seguire le parole di Trump»

di Gilda Sciortino

Donald Trump all'Onu

Troppo caldo, troppo freddo, ghiacci che si sciolgono, interi territori montani che crollano a valle sotto piogge sempre più intense, stagioni stravolte… potremmo proseguire all’infinito. A quanto pare tutto questo è solo frutto della nostra immaginazione se prendiamo per buono ciò che ha affermato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha definito il cambiamento climatico «la più grande truffa mai perpetrata al mondo». E ha squalificato le previsioni sul riscaldamento globale, «fatte da persone stupide».

Affermazioni fatte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, avvisando i circa 190 rappresentanti delle nazioni di tutto il mondo presenti di «stare alla larga dalla truffa dell’energia verde, pena il fallimento dei rispettivi Paesi».

Inutili sarebbero, dunque, gli sforzi delle Nazioni Unite per il clima, vani gli studi degli scienziati che da decenni mostrano quali conseguenze hanno sull’ambiente i nostri comportamenti e le nostre azioni. Ne abbiamo parlato con il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani.

Stefano Ciafani, presidente di Legambiente

Presidente Ciafani, davvero stiamo combattendo una battaglia inesistente?

Le parole di Trump alle Nazioni Unite sono abbastanza farneticanti. Non è possibile parlare di cambiamento climatico in quel modo: sta parlando del meglio degli scienziati della climatologia e dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, che tra l’altro nel 2007 ha vinto il Premio Nobel per la Pace, insieme ad Al Gore, «per l’impegno profuso nella costruzione e nella divulgazione di una maggiore conoscenza sui cambiamenti climatici antropogenici, e nel porre le basi per le misure che sono necessarie per contrastarli». Mi auguro che, come peraltro sta facendo sulla vicenda russo-ucraina, Trump fra 15 giorni possa dire l’esatto opposto.

Intanto però qualcuno potrebbe credere alle parole di Trump…

Il mondo della scienza è sostanzialmente unanime. Un’unanimità ormai consolidata da tanti anni. Ricordo solo che già vent’anni fa Arnold Schwarzenegger, allora governatore repubblicano dello Stato della California, davanti alla questione relativa alla crisi climatica che gli sottoponevano alcuni nel suo Paese, rispose così: «Se mia figlia ha un problema di salute e 9 medici su 10 mi dicono che deve fare un certo intervento e seguire una certa terapia, dò retta a loro e non all’unico che sostiene che sta bene e può continuare a fare la vita di sempre». Lo disse un governatore repubblicano di uno Stato particolarmente avanzato sulle politiche ambientali. Oggi non parliamo più del 90% degli scienziati che si trovano d’accordo, ma del 99%. Il 99% del mondo della scienza conferma e raffina ciò che già diceva negli anni ’80. Pensiamo al Mit di Boston, che aiutò il Club di Roma a stilare il rapporto sui limiti dello sviluppo negli anni ’70: i climatologi che si occupavano di questi temi, che tra l’altro all’epoca non erano tantissimi, dicevano già verso dove saremmo andati, tant’è vero che noi di Legambiente nel 1990, un anno dopo la caduta del muro di Berlino, due anni prima della prima conferenza mondiale sullo sviluppo sostenibile organizzata a Rio de Janeiro, in Brasile, lanciammo la petizione “Fermiamo la febbre del pianeta”, in cui chiedevamo al Governo di varare un piano energetico nazionale per ridurre l’uso dei combustibili fossili.

Non abbiamo mai guardato il futuro attraverso una sfera di cristallo: già negli anni ’80 parlavamo con il mondo della scienza. Ovviamente si può dire tutto e il contrario di tutto, ma quello che fa impressione è che sia il presidente del Paese più potente del mondo a permettersi di dire queste cose, peraltro durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite che, seppure tra mille difficoltà, è sempre stato un luogo sacro per la lotta alla crisi climatica come dimostra la sigla dell’accordo di Parigi del 2015. Un accordo storico, seppure insufficiente, che deve essere reso sempre più ambizioso.

Come definirebbe quindi le parole di Trump?

Un affronto alla scienza, alle Nazioni Unite e al resto del mondo che continua a lavorare per ridurre l’uso dei combustibili fossili. Lo sta facendo anche la Cina, che ormai da diversi anni è l principale investitore nel Pianeta sulle tecnologie verdi.

Le affermazioni di Trump potrebbero disincentivare gli investimenti sulle tecnologie green e sul futuro del clima?

Io credo che le aziende americane non siano così autolesioniste dal seguire le parole di Trump. Ricordo che otto anni fa, durante la sua prima presidenza, Trump in persona tenne una conferenza stampa accanto ai minatori con il caschetto e la faccia scura per il carbone, affermando che gli Stati Uniti avrebbero ricominciato a estrarre carbone. Nei quattro anni successivi che cosa è successo, nella realtà? Il declino della produzione di carbone negli Stati Uniti è continuato, perché le aziende americane fanno quello che più conviene loro e non quello che dice qualcun altro, anche se siede nella stanza ovale della Casa Bianca. A livello di investimenti, quello sta accadendo nel mondo è una processo clamoroso: l’Agenzia internazionale sulle risorse rinnovabili – Irena ha da poco pubblicato i nuovi dati sugli investimenti nel 2024, nel mondo, per realizzare gli impianti necessari a produrre elettricità. L’Irena dice che il 92,5% delle risorse economiche investite in questa direzione sono andate alla filiera delle rinnovabili e solo il 7,5% degli finanziamenti nel mondo hanno riguardato impianti che producono elettricità da carbone, petrolio, gas e nucleare.

Irena dice che il 92,5% delle risorse economiche investite in questa direzione sono andate alla filiera delle rinnovabili e solo il 7,5% degli finanziamenti nel mondo hanno riguardato impianti che producono elettricità da carbone, petrolio, gas e nucleare

Come si pone l’Italia di fronte a tutto questo?

L’Italia sta facendo una gran fatica, anche perché lavora su un binario contraddittorio. Noi continuiamo a investire sulle rinnovabili, ma nel frattempo continuiamo a farlo anche sulle fonti fossili. Penso a tutti gli investimenti che stanno facendo sui nuovi riclassificatori, sui nuovi gasdotti, per far diventare l’Italia l’hub energetico del gas a livello europeo e mediterraneo, quando invece avremmo tutte le caratteristiche per essere l’hub energetico delle rinnovabili. Sul fronte delle rinnovabili, non semplificando e non velocizzando la rivoluzione energetica, come invece auspicheremmo. E continua ad aprire le porte a chi investe sul gas: se è vero che ci siamo staccati sostanzialmente da Gazprom e, quindi, dalla Russia, siamo diventati sempre più dipendenti dall’Algeria, dalla Libia, dal Qatar, dall’Egitto, dall’Azerbaijan e dagli Stati Uniti. La dipendenza dall’estero è rimasta la stessa.

In apertura, foto AP Photo/Yuki Iwamura

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