Perugia-Assisi
“Sventolare bandiere” non basta, ma serve: in marcia per testimoniare l’impegno quotidiano per la pace
Flavio Lotti dal 1995 è l'organizzatore della Marcia PerugiAssisi della pace, in programma quest'anno per il 12 ottobre. Un diverso registro tra Gaza e le altre guerre? «Con noi sono in marcia anche il Sudan, il Congo, la Siria, l’Afghanistan e tutti i Paesi dilaniati dalle guerre», dice. Alla premier Meloni, che nei giorni scorsi ha detto che la pace si costruisce lavorando e non sventolando bandiere, risponde che «frasi come queste rappresentano il tentativo di emarginare ed espellere dal dibattito pubblico persone che sentono la responsabilità di attivarsi. Certo, “sbandierare” non è sufficiente, ma serve: e se è l’unica cosa che una persona può fare, è bene che lo faccia»
«Non sarà pace, fin quando non ci sarà il riconoscimento della dignità e dei diritti di tutte le persone e di tutti i popoli». Flavio Lotti, organizzatore della Marcia per la pace è reduce da un’altra giornata piena di incontri e confronti, intervallati con la logistica di un evento che porterà a Perugia e poi ad Assisi centinaia di migliaia di persone, domenica 12 ottobre. Hanno aderito alla Marcia 512 associazioni, 265 enti locali tra Comuni, Province e Regioni, 196 scuole. Sono iscritte oltre 30mila persone, ma certamente a mettersi in marcia saranno di più.
Ha ancora senso percorrere quei 24 chilometri, nei giorni in cui sembra che il traguardo della pace sia raggiunto?
Non è affatto raggiunto, siamo di fronte a un cessate il fuoco e a un accordo sullo scambio di prigionieri e ostaggi. Certamente un fatto positivo, ma non chiamiamola pace, tanto più che Netanyahu sembra molto meno convinto di Trump rispetto alla fine della guerra. La guerra non è finita, non è finita l’occupazione israeliana, non è finito il genocidio: non ci sono quindi le basi per parlare di pace. Tanto che continuano ad avvenire, in quelle terre e anche in queste ore, violenze, massacri, espropri: tutto, tranne che la pace.

E poi ci sono ancora tante guerre per cui marciare. Ma c’è chi dice che il vostro pacifismo abbia un “doppio registro”: per esempio, tra Gaza e l’Ucraina.
Accuse prive di fondamento. La marcia sarà aperta da rappresentanti dell’Ucraina e di Gaza, ma anche di Sud Sudan, Congo, Siria, Afghanistan, Colombia: il nostro sguardo è sempre stato aperto a tutte le tragedie dell’umanità. Abbiamo marciato ben otto volte da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Ma il lavoro per la pace è spesso ignorato, o bistrattato. Noi siamo in cammino permanente, non ci siamo fermati mai, neanche con il covid: abbiamo trasformato la marcia in una catena umana nel 2020, poi abbiamo ripreso a marciare, nel 2023 perfino due volte. Chi ci accusa di avere uno sguardo di parte è proprio chi usa due pesi e due misure: da una parte condanna e combatte la Russia perché ha occupato l’Ucraina, dall’altra non fa nulla per fermare il genocidio di Netanyahu.
Le piazze non sono mai state così piene: il pacifismo si è risvegliato?
Dopo 60mila morti, finalmente tanti si sono accorti che bisognava rompere il silenzio. Ma questo non è ancora pacifismo: la costruzione della pace è un lavoro molto più serio e impegnativo. Partecipare alle manifestazioni e alle marce è un esercizio fondamentale, ma diventa vuoto se non si accompagna con un impegno quotidiano, ciascuno con la propria responsabilità e per il proprio ruolo.
Le piazze piene hanno rotto il silenzio, ma questo non è ancora pacifismo: la costruzione della pace è un lavoro molto più serio e impegnativo. Partecipare alle manifestazioni e alle marce è un esercizio fondamentale, ma diventa vuoto se non si accompagna con un impegno quotidiano, ciascuno con la propria responsabilità e per il proprio ruolo
Flavio Lotti
Come state vivendo queste giornate di preparazione e di attesa?
I giorni che precedono la marcia sono dedicati all’ascolto, al dialogo, alla riflessione e al confronto internazionale. Siamo ormai al secondo giorno di Assemblea dell’Onu dei popoli: stiamo ascoltando 35 Paesi diversi, che soffrono di grandi ingiustizie ma in cui si trovano persone straordinarie che ci portano la loro voce. Questo ci aiuta a prepararci per un cammino più consapevole.
Qualcuno – anche la premier Meloni – dice che sventolare bandiere non serve per costruire la pace. Vi sentite insultati?
Chi lavora per la pace fa il mestiere più bistrattato e ostacolato che esista al mondo: questi insulti vengono dai signori della guerra e dai loro propagandisti. Siamo immersi in una cultura di guerra, la quale non prevede che ci sia qualcuno che lavori per la pace. Queste frasi rappresentano il tentativo di emarginare ed espellere dal dibattito pubblico persone che sentono la responsabilità di attivarsi. Certo, “sbandierare” non è sufficiente, ma serve: e se è l’unica cosa che una persona può fare, è bene che lo faccia.
Certo, “sbandierare” non è sufficiente, ma serve: e se è l’unica cosa che una persona può fare, è bene che lo faccia
Ieri è sato il giorno del Nobel per la pace. Ambiva a vincerlo Trump, è stato assegnato a María Corina Machado. Una buona scelta?
Trump non poteva vincerlo, era solo propaganda. È stata premiata una donna che si batte per la democrazia e questo è certamente positivo. Il Venezuela è il Paese in cui il nostro Alberto Trentini è ingiustamente prigioniero da troppo tempo: per noi quindi questo premio ha un valore particolarmente importante e speriamo che sia d’incoraggiamento perché quel Paese vada nella direzione del rispetto dei diritti umani. Liberare Trentini sarebbe un ottimo inizio.
Foto dal sito perugiassisi.org
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