La campagna
Tagliamento, la sua libertà è un esempio per la Restoration law
Più natura c'è, più aumentano i benefici socio-economici per gli esseri umani. Anche nei fiumi. Ecco perché ha senso mettere in pratica ciò che chiede la legge europea sul ripristino della natura, una delle norme ambientali più importanti degli ultimi decenni. In Italia, il Tagliamento è l'ultimo grande fiume corso d'acqua delle Alpi. Conserva ancora un elevato grado di naturalità ed è un riferimento a livello internazionale. Ma un progetto per il contenimento delle piene minaccia la sua integrità. «Non è l'unica soluzione possibile, lo abbiamo dimostrato con uno studio», dice Andrea Goltara, ingegnere ambientale e direttore del Centro italiano per la riqualificazione fluviale
Il Tagliamento, nel suo medio corso, è considerato l’ultimo grande fiume naturale delle Alpi. A renderlo unico è il suo scorrere ancora libero, senza barriere, per un lungo tratto. Ma è proprio qui che l’Autorità di bacino delle Alpi orientali e la Regione Friuli – Venezia Giulia progettano la costruzione di una traversa per il contenimento delle piene e la mitigazione del rischio alluvionale per le popolazioni della bassa pianura. Il Centro italiano per la riqualificazione fluviale – Cirf e la società di ingegneria Mountain-eering hanno presentato uno studio che dimostra l’esistenza di alternative meno impattanti, e più rispettose del fiume. Il messaggio è che, prima di distruggere un ecosistema prezioso, è doveroso valutare altre soluzioni, in linea con le direttive europee. Nell’estate del 2024, l’Ue ha adottato la Nature restoration law che prevede, tra l’altro, di ripristinare la connettività fluviale in almeno 25mila chilometri di corsi d’acqua entro il 2030. Questo perché ci si è accorti che più alto è il grado di naturalità di un fiume, meno è frammentato, più è in grado di fornire benefici socio-economici agli esseri umani. Andrea Goltara, ingegnere ambientale e direttore del Cirf, è tra i principali esperti di corsi d’acqua in Italia ed è impegnato, assieme a Legambiente, Wwf, Lipu del Friuli – Venezia Giulia e associazione Foce del Tagliamento, nella richiesta di tutelare il fiume friulano, patrimonio riconosciuto a livello internazionale.

Ing. Goltara, partiamo dalla legge sul ripristino della natura. È stata molto dibattuta, durante la campagna elettorale europea, lo scorso anno, ma non si è parlato del suo contenuto. Sono state piuttosto diffuse falsità e disinformazione… Cosa prevede veramente?
Nelle strategie politiche europee sui corsi d’acqua, e sulla natura in generale, il ripristino è un elemento chiave. La Nature restoration law è una delle norme ambientali più importanti degli ultimi decenni. Prevede di andare oltre la conservazione: significa che non basta proteggere alcune oasi, slegate l’una dall’altra, ma è necessario rendere di nuovo funzionali gli ecosistemi a grande scala. Per i corsi d’acqua, questo si traduce nel ripristino della connettività, nelle sue diverse dimensioni: longitudinale, oggi interrotta da monte a valle con moltissimi sbarramenti grandi e piccoli, laterale, limitata da argini e difese spondali, verticale, non presente quando, tra l’acqua di superficie e quella che scorre sotto terra, ci sono opere di impermeabilizzazione. E infine, c’è la dimensione temporale, legata al mancato rispetto del deflusso ecologico, per eccesso di derivazioni o nel caso di rilasci improvvisi per la gestione di impianti idroelettrici. In generale, l’indicazione è di restituire spazio. E questo non solo perché ci piace pensare a un futuro con più natura. Alla base, c’è un’analisi economica: ripristinare gli ecosistemi porta a benefici socio-economici per la comunità, favorendo anche l’adattamento al cambiamento climatico.
Oltre un anno dopo l’entrata in vigore della Nature restoration law, a che punto siamo con l’attuazione?
A differenza delle direttive, è un regolamento, immediatamente applicabile e vincolante per tutti gli Stati membri. Anche l’Italia, quindi, avrebbe dovuto iniziare subito a pianificare gli interventi di ripristino di habitat non più in buono stato e da ricreare, dove non più presenti, per raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla norma. Purtroppo, mentre altri Paesi stanno già lavorando alacremente, da noi siamo ancora sostanzialmente fermi. Per gli ecosistemi fluviali, prima di tutto, serve una mappatura degli ostacoli artificiali, che permetta di identificare quelli da rimuovere, perché non utili o dannosi. Il passo successivo è la preparazione di un Piano nazionale di ripristino della natura, con gli interventi da realizzare e il cronoprogramma, da presentare alla Commissione entro il 1° settembre 2026. A oggi esiste solo una stima delle barriere che interrompono i fiumi europei: un milione. C’è in media un ostacolo trasversale ogni due chilometri. Ci sono poi le barriere laterali, per cui le informazioni sono più frammentarie, ma il censimento andrà concluso nei prossimi mesi.
Alcuni Paesi europei hanno iniziato già da anni a rimuovere ostacoli e ridare spazio ai fiumi. L’8 ottobre è stato il primo Dam removal day, una giornata per porre l’attenzione sul valore della riconnessione fluviale. Ci sono eventi in 24 Stati, tra cui l’Italia, dove però si fatica ad attuare progetti di questo tipo. Come mai siamo così restii?
Serve un passo avanti culturale, sia negli enti pubblici che tra i tecnici che si occupano di fiumi. Ma anche una maggiore consapevolezza da parte della popolazione, che deve chiedere con forza ai propri amministratori interventi di questo tipo. Qualcosa inizia a muoversi anche da noi. Quest’anno, ad esempio, nel Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, l’associazione Rewilding Apennines celebra l’eliminazione di cinque ostacoli trasversali sul fiume Giovenco: undici chilometri di corso d’acqua sono tornati connessi. E anche il Cirf sta lavorando a diversi progetti che prevedono la rimozione di sbarramenti, questo anche grazie al programma Open Rivers, che dal 2021 finanzia interventi di ripristino della connettività fluviale.

Il Tagliamento, che conserva ancora un elevato grado di naturalità, può essere un esempio per i progetti di riconnessione fluviale?
Sì, è un corso d’acqua speciale perché è uno degli ultimi fiumi alpini a canali intrecciati, con barre e isole di ghiaia alternate, che cambiano a ogni piena. È tra i pochi con queste caratteristiche ad avere lo spazio e la libertà per comportarsi ancora in modo relativamente naturale. Per questo è un riferimento per chi studia le dinamiche fluviali e per chi si occupa di gestione, anche se il contesto è antropizzato. I fiumi a canali intrecciati erano molto comuni nella regione alpina, fino a 150 anni fa, ma per lo più sono stati artificializzati, ristretti, canalizzati, sono stati oggetto di estrazione di grandi quantità di sedimenti, la continuità longitudinale è stata interrotta da sbarramenti. Così, una delle tipologie più diffuse di corsi d’acqua alpini è diventata rara. Ecco perché abbiamo una responsabilità ancora maggiore di difendere il Tagliamento da grandi opere che comprometterebbero pesantemente i suoi equilibri. Semmai, dovremmo intervenire per migliorarlo, mitigando gli impatti esistenti.
I francesi dicono che i fiumi respirano: si allargano, si restringono, si muovono al ritmo delle piene. Se c’è un ostacolo, quella respirazione viene bloccata.
L’Autorità di bacino delle Alpi orientali e la Regione Friuli-Venezia Giulia, invece, hanno avviato l’iter per la realizzazione di un ponte-traversa tra Dignano e Spilimbergo, con una delibera di aprile 2024. Che impatto avrebbe sul fiume?
Dipende dalle caratteristiche dell’opera che verrebbe costruita e dalle sua modalità di gestione, su cui ancora c’è poca chiarezza da parte degli enti proponenti. Ma, in generale, un’opera che sbarra il fiume riduce la sua connettività, uno degli elementi fondamentali per la salute del corso d’acqua, come abbiamo visto a proposito della Nature restoration law. Il fiume si comporta come un nastro trasportatore per i sedimenti. Se viene interrotto, si crea un disequilibrio, con accumulo di materiale a monte e deficit a valle. Inoltre, spesso per creare un’opera trasversale è necessario artificializzare un tratto esteso, perché l’infrastruttura deve essere stabile, avere fondazioni sufficientemente profonde e non ci deve essere erosione laterale, altrimenti durante un evento intenso rischia di collassare. Riducendo la connettività, si modifica anche l’evoluzione nel tempo del fiume e rischia di cambiare gradualmente anche il paesaggio a canali intrecciati che tanto affascina. I francesi dicono che i fiumi respirano: si allargano, si restringono, si muovono al ritmo delle piene. Se c’è un ostacolo, quella respirazione viene bloccata.

Lo sbarramento di Dignano viene giustificato per la necessità di proteggere Latisana e la bassa pianura dalle piene del fiume. Di interventi per mitigare il rischio alluvionale sul Tagliamento si parla da decenni, senza arrivare a una soluzione. Voi oggi dimostrate che le alternative alla grande opera esistono: quali sono?
Dobbiamo fare tutto il possibile per preservare lo spazio e la libertà del fiume che attraversa il Friuli, perché è più facile conservare che ripristinare un ecosistema. Una volta perso, recuperare è molto costoso, richiede tempo e non è detto che tutti i processi siano reversibili. Ecco perché abbiamo chiesto alla società di ingegneria Mountain-eering srl di elaborare uno studio di alternative più rispettose della naturalità del fiume, ovvero che non prevedano sbarramenti nel corso d’acqua, ma comunque efficaci per la laminazione delle piene. A dimostrazione dell’interesse che suscita il Tagliamento a livello internazionale, l’analisi è stata finanziata dalla Senckenberg Gesellschaft für Naturforschung di Francoforte, uno dei più importanti istituti di ricerca sulla biodiversità, e dalla fondazione tedesca Gerty-Strohm-Stiftung. Sono stati analizzati possibili interventi che sfruttano la capacità di laminazione dello spazio laterale, tramite la realizzazione di aree di esondazione controllata all’esterno degli argini esistenti, evitando di costruire traverse. Così, si raggiungono valori prossimi al target fissato dall’Autorità di bacino Alpi orientali. Questi sono solo i risultati preliminari di uno studio ancora in corso, che può essere migliorato. Non è l’unica soluzione possibile, ma ci interessava dimostrare che si possono ottenere risultati molto significativi, anche senza peggiorare la connettività del fiume.
Quali sono i prossimi passi per il Tagliamento, se lo sbarramento di Dignano non è l’unica soluzione per mitigare il rischio alluvionale?
È importante che gli interventi alternativi che abbiamo proposto, ed eventuali altri a oggi non presi in considerazione, siano valutati e approfonditi nel documento di fattibilità delle alternative progettuali – Docfap, che dovrà essere prodotto nell’ambito della definizione e progettazione delle azioni di mitigazione del rischio di alluvioni. Serve una vera valutazione integrata dove possono diventare decisivi anche altri aspetti, oltre all’idraulica, aspetti che fanno del Tagliamento un corso d’acqua speciale, il “re dei fiumi alpini”.
In apertura, il Tagliamento a Morsano, foto di Elisa Cozzarini
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