Welfare
Agrigento, la portineria di comunità che ricuce i legami
Anche Agrigento ha la sua "portineria di comunità", concreto esempio di quel welfare che crea connessioni tra le persone. Un laboratorio urbano sperimentale, in cui la città diventa protagonista del proprio futuro. Antonio Damasco, direttore della "Rete Italiana di Cultura Popolare" che ha ideato il progetto: «La portineria non è qualcosa di centripeto come i normali sportelli di ascolto, ma un luogo che va verso le persone, casa per casa, negozio per negozio, dalla città ai diversi quartieri e periferie»
Francesco, per tutti Ciccio, era il classico portiere che aveva una soluzione per tutto, ancor prima che gli sottoponevi il problema. Lo chiamavi a qualunque ora del giorno, qualche volta anche della notte se per esempio qualcuno rimaneva bloccato in ascensore, e lui correva senza uno sbuffo. Rosa, la moglie, era quella che arrivava in soccorso per le emergenze sanitarie: se avevi bisogno di un’iniezione, eccola con la siringa in mano, infermiera forte della saggezza degli avi. Attenta osservatrice e ascoltatrice, era anche la persona che sapeva tutto di tutti, quella a cui affidare un segreto e, a seconda dei casi, farlo arrivare a chi doveva sapere quella determinata cosa.
Oggi Ciccio e Rosa non ci sono più, si sono ritirati a godersi la pensione in un lontano paesino in provincia di Palermo, come tanti portieri come loro, andati via anche perché i bilanci dei condomini hanno dovuto cancellare una spesa troppo onerosa. La memoria dei tanti però Ciccio e Rosa rimane nella guardiola vuota, al pianterreno dei nostri palazzi. È questa l’anima di un progetto che si sta sempre più sviluppando in tutta Italia e che segna oggi una tappa ad Agrigento. Parliamo delle “portinerie di comunità”, progetto promosso dalla Rete Italiana di Cultura Popolare, diretta da Antonio Damasco, tra i 44 progetti del dossier di Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025. A ospitarla, l’info point di Porta di Ponte, in centro storico.
Le Portinerie di Comunità si stanno diffondendo in buona parte della penisola grazie all’idea, insieme antica e innovativa, di tornare in piazza, trasformando luoghi e relazioni
Sbaglieremmo a pensare che la portineria si configura come il classico sportello a cui rivolgersi per chiedere informazioni, prenotare il classico spettacolo teatrale o appendere un annuncio per proporsi come baby-sitter, badante o dog-sitter. La “portineria di comunità” è pensata per essere una «pietra di inciampo», una «cerniera» tra passato e futuro, tra centro e quartieri, tra persone e istituzioni, come soggetto terzo che rimette al centro l’ascolto.

La concretezza del welfare di comunità
«La prima è nata a Torino, a Porta Palazzo, poi altre sono arrivate sparse per il Piemonte», spiega Antonio Damasco, direttore della “Rete Italiana di Cultura Popolare“. «Oggi sono sei e saranno ben presto dieci, cominciando a sorgere in ogni regione italiana. La Sicilia è stata la prima isola, la parte più a sud del Paese, che ha aderito al progetto. È anche bene dire che le portinerie di comunità sono tutte differenti tra di loro perché, ogni volta che si decide di aprirne una, si avvia uno studio sulla condizione della comunità, in maniera che la portineria venga disegnata sui bisogni di quella comunità».
Studiato attentamente il luogo in cui “aprire” la portineria di Agrigento
«Agrigento ha una caratteristica urbanistica molto dispersiva perchè dopo la frana del 1966 (che non causò vittime, ma danneggiò gravemente numerosi edifici provocando lo sfollamento di migliaia di abitanti, nda), sono riusciti a costruire micropaesi, come Villa Seta, Villaggio Mosè, molto sparpagliati, molto suddivisi rispetto al centro. È il motivo per cui abbiamo scelto di aprire la portineria sulla Porta di Ponte, cioè all’inizio del centro storico», prosegue Damasco, «in modo tale che dialogasse il più possibile con tutte le altre frazioni che, lo dicevamo prima, sono dei Comuni a sé stanti. Realtà, queste ultime, parecchio popolate perché, dopo il 1966, i 10mila abitanti che vi si trasferirono, come è avvenuto in seguito al terremoto dell’Aquila, sono poi diventati stanziali, decidendo di abitare tutti questi quartieri satelliti. Pensare di fare una portineria al centro di Agrigento, quindi, avrebbe voluto dire tagliare completamente fuori buona parte della città. Quella è stata un’intuizione studiata insieme alla Fondazione Agrigento Capitale e, naturalmente, al Comune, siglando accordi con l’Inps, il Centro per l’impiego, l’Asp per fare da ponte tra la comunità e le istituzioni. Una sinergia tra diversi soggetti che attesta e rafforza la sua validità, in quanto punto a bassa soglia, gratuito, di campo, che consente ai cittadini di tornare a stare insieme».
Una rete di luoghi di welfare di comunità culturali e sociali
Un modello e marchio registrato, che ha anche attivato una “Scuola delle Portinerie di comunità” e studiato con il Politecnico di Milano un originalissimo contratto di social franchising.
«Al momento ad Agrigento c’è una persona che abbiamo formato alla Summer School sugli attivatori di comunità», dice ancora il direttore della Rete Italiana di Cultura Popolare, «alla quale darà prima possibile il cambio uno o più soggetti del Terzo settore con il quale stiamo già interloquendo, per fare in modo che diventino detentori di questa portineria, così come in tutta Italia. Grazie anche al Portale dei Saperi, strumento che permette alle portinerie di fare incontrare competenze e bisogni, coprogettando azioni culturali, sociali e di inclusione, calibrate in base alla tipologia del luogo e della comunità che la ospita. Basta fare un giro sul sito della Rete delle portinerie di comunità, si può capire quanti e quali sono gli strumenti a disposizione: dagli orti di comunità agli empori fai da noi, dai bike sharing di portineria alle monete di prossimità. Tutto pensato per incontrare i reali bisogni delle persone. Lo dimostrano anche le 200 famiglie sostenute dalla “comunità del dono” e le 500 azioni generative realizzate nel tempo. Tra qualche giorno, per esempio, annunceremo che, a Torino, la Fondazione Banco dell’Energia elargirà alla “Rete delle portinerie di comunità” una cifra importante per “ingaggiare” famiglie in situazioni di povertà energetica alle quali offrire azioni di formazione che consentano sconti sul pagamento delle bollette. Questo vuol dire che le nostre portinerie entreranno a pieno titolo non solo all’interno delle politiche pubbliche, ma anche in quelle di sostenibilità delle aziende, per dare una risposta al territorio con una forma di sistema che non si sostituisce al pubblico, ma con esso lavora in maniera sistematica».

Un processo all’apparenza molto semplice
«Purtroppo, come spesso capita, riusciamo a fare cose incredibili, ma quelle più semplici, che mettono insieme le persone, costano sempre tanta fatica. Per esempo, una cosa che sta molto funzionando a Torino da cinque anni è un’iniziativa semplicissima e simpaticissima: ogni estate la portineria tiene circa 35 chiavi di casa per andare a dare l’acqua alle piante o portare da mangiare agli animali domestici quando qualcuno è fuori per vacanza o per altri motivi. Si è creato quel luogo della fiducia che ricompatta il tessuto, le relazioni. Noi ci auguriamo che anche Agrigento segua questa strada», conclude Damasco, «forte del senso di accoglienza che caratterizza il sud Italia. Certo ci vuole tempo, la fiducia va guadagnata, ma questo percorso può, secondo me, far bene non solo alle singole persone, ma anche a un Terzo settore che spesso si ritrova assolutamente da solo, isolato nel proprio territorio».
Le immagini sono state fornite dall’ufficio stampa
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