Sport & inclusione
“Come fosse luce”: la storia della prima squadra di calcio a cinque per non vedenti
Il documentario di Corrado Punzi racconta la storia speciale dell'Ascus Lecce, la squadra di calcio a 5 per non vedenti più titolata d'Italia. Il racconto segue le vicende personali dei protagonisti che, grazie al "pallone sonoro", hanno trovato nella squadra la forza di crescere e di abbattere le barriere mentali e culturali. Il film documentario sarà presentato in anteprima nazionale a Lecce il 17 novembre, nell’ambito del Festival del Cinema Europeo
«L’obiettivo non è parlare di persone non vedenti che giocano a calcio: lo sport diventa metafora delle difficoltà nella vita e della lotta per affrontarle». Corrado Punzi presenta così il suo “Come fosse luce”, film documentario che mette a fuoco la storia speciale di Ascus Lecce (Associazione sportiva e culturale salentina), la prima squadra in Italia di calcio a cinque per non vedenti, nata nel 1985.
Al centro del film l’osservazione attenta e rispettosa delle vite di tre persone di età e situazioni personali diverse, che in modi altrettanto diversi hanno trovato nella squadra e nello sport la propria dimensione e la propria strada per andare avanti. «Ho avuto l’idea del titolo dalle efficaci parole di Salvatore», confida Punzi, documentarista salentino con alle spalle lavori su tematiche politiche e ambientali, «secondo cui i giocatori di calcio a cinque si abituano al buio come se fosse luce». È proprio grazie a Salvatore Peluso, privo della vista fin da bambino a causa dell’esplosione di un ordigno bellico, che nasce la squadra leccese e l’idea del “pallone sonoro” per consentire il gioco. «All’epoca abbiamo messo cordicelle e tappi legati al pallone in modo che facesse rumore muovendolo», racconta Peluso. «Eravamo un gruppo di circa dieci persone, è stato un calcio inclusivo, avevamo trovato un modo per fare uscire di casa i ragazzi».

Un gioco e insieme uno strumento di crescita personale che incontra anche la vita di Davide Dongiovanni, cieco dall’età di nove anni a causa di un glaucoma. «Ho conosciuto Salvatore e la squadra da bambino attraverso mia madre», ricorda Dongiovanni, «per me che già amavo il calcio è stato quasi un regalo, una palestra di vita e valori fondamentali dentro e fuori dal campo. Ho imparato a vivere. Grazie soprattutto al confronto con ragazzi non vedenti più grandi, ho acquisito strumenti per affrontare la quotidianità».
Ascus Lecce negli anni si conferma un team vincente, porta a casa numerosi trofei fino a diventare la squadra di calcio per non vedenti più titolata d’Italia. Il film, in chiave documentaristica vicina al metodo etnografico, cerca soprattutto di stare vicino alle persone che lo animano e di osservarle entrando nella loro quotidianità. Alessio Ingrosso è un ragazzo ipovedente di circa vent’anni iscritto al primo anno di Scienze della Comunicazione, sta cercando la propria strada, ha sempre seguito il calcio anche se non fa parte di Ascus. «Ho conosciuto Corrado Punzi nel periodo più buio della mia adolescenza», spiega Ingrosso, «ero scettico all’idea di far parte del film, poi ho scelto di accettare e sono stato soddisfatto. Ho provato delle scene in cui sono nella squadra, mettermi in gioco mi ha aiutato a parlare, confrontarmi e stare meglio con me stesso».
È lui il ragazzo che compare nella locandina del film, con la mascherina sugli occhi: nel calcio a cinque per non vedenti, infatti, i giocatori devono indossarla in modo che coloro che hanno un residuo visivo non siano favoriti nel gioco rispetto agli altri. Sui lati del campo, inoltre, sono posizionate delle sponde per contenere la palla all’interno del campo e consentire ai giocatori di orientarsi. Il gioco del calcio in sé, tuttavia, si conferma un pretesto per parlare di come alcune persone affrontano il trauma e il dolore e universalizzare questo tema: «Il mio intento non è stato spingere lo spettatore a identificarsi nella persona non vedente», precisa Punzi, «ma piuttosto stimolarlo a pensare a come potrebbe comportarsi nel momento in cui si presentano nella sua vita momenti di difficoltà. In questo modo ho voluto tenermi lontano dagli aspetti che possono sapere di retorica e compassione».
Una gestazione certamente difficile, quella del film documentario, che ha visto un lungo lavoro di conoscenza con i protagonisti e di affiatamento con la videocamera. «È stato difficile tornare indietro e guardarmi dentro», aggiunge Dongiovanni, «un’esperienza emozionale forte. Spero che si riesca a mandare un messaggio anche nelle scuole, per contribuire ad abbattere ancora numerose barriere mentali e culturali frutto di non conoscenza». L’uscita del film, inoltre, coincide con il quarantesimo anniversario della nascita di Ascus Lecce, che si trova oggi ad interrogarsi sul suo futuro, nel dubbio di riuscire a garantire alla squadra il ricambio generazionale necessario per poter andare avanti. Da un lato, infatti, non è semplice trovare e coinvolgere ragazzi non vedenti senza disabilità aggiuntive, dall’altro si è notevolmente ampliata l’offerta di altre discipline sportive. «Sarei molto rammaricato di non riuscire a dare un seguito alla squadra», commenta Peluso. «Con la nostra storia, intanto, mi auguro di essere da stimolo per altri ragazzi perché riescano ad uscire, a tirare fuori il carattere che hanno dentro». Il film documentario sarà presentato in anteprima nazionale a Lecce il 17 novembre, nell’ambito del Festival del Cinema Europeo, e approderà in dicembre a Palermo in concorso tra i finalisti al 45° Paladino d’Oro.
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