Indagine

Sardegna, il volontariato è diventato fluido

Una ricerca del Centro studi sociali “Carlo Carretto” per il Csv Sardegna spiega dove va il volontariato nell'Isola. Rispetto al passato, aumenta il cosiddetto sommerso rispetto a quanti si impegnano negli enti organizzati. La mancanza di tempo è soltanto una delle cause: dopo la pandemia, sono cambiate le attitudini e le aspettative

di Luigi Alfonso

Il numero delle persone che si dedicano al volontariato è in calo su tutto il territorio nazionale, da qualche anno a questa parte. Ma è veramente così? In verità, non esiste una risposta chiara e univoca. Quanto meno, è necessaria una spiegazione: perché se è vero che, con la pandemia, moltissime persone (in gran parte over 65) hanno preferito fare un passo indietro per motivi di salute, è anche vero che sta cambiando la tendenza del passato. Le recenti e partecipate manifestazioni per la pace, che hanno invaso pacificamente strade e piazze di tutta l’Italia, ci dicono che giovani e giovanissimi stanno abbracciando l’attivismo su certe tematiche (la pace, appunto, ma anche l’ambiente) che sentono più vicine a loro. Contemporaneamente, si allontanano dal volontariato strutturato.

Queste domande se le è poste anche il Centro servizi per il volontariato – Csv della Sardegna che ha commissionato un’indagine al Centro studi sociali “Carlo Carretto”. L’iniziativa, intitolata “Ricerca-azione sul volontariato sommerso in Sardegna: mappatura, valorizzazione e strategie di emersione”, è stata presentata a Cagliari e fa luce su un mondo di gesti quotidiani di aiuto e assistenza che, pur restando fuori dalle statistiche ufficiali, rappresentano una risorsa vitale per il tessuto sociale dell’Isola.

Un momento della presentazione della ricerca a Cagliari

In Sardegna, il 18% degli intervistati (oltre mille persone) dichiara di dedicarsi ad attività di aiuto non strutturate: una percentuale superiore al 15% rispetto a chi dichiara di partecipare al volontariato formale. «Questi dati forniscono una prima fotografia di una realtà in cui la solidarietà passa spesso per canali informali: chi offre cibo o vestiti a chi è in difficoltà, chi accompagna anziani o vicini negli spostamenti, chi invece dà una mano durante emergenze o calamità», commenta Giuseppina Marongiu, referente dell’Area ricerca e documentazione del Csv Sardegna. «La forza di questo volontariato è la sua flessibilità. È scelto soprattutto da adulti tra i 35 e i 54 anni (il 26% sono laureati, ndr), stretti tra lavoro e famiglia, che preferiscono azioni brevi e dirette. Le motivazioni sono molteplici: sentirsi utili, reagire alle disuguaglianze, ma anche evitare burocrazia e vincoli e poter avere la libertà di scegliere di volta in volta la causa da sostenere».

È un impegno spontaneo e relazionale, come si legge nel report: nasce dal desiderio di umanizzare la convivenza e rafforzare i legami sociali. Le radici di questa solidarietà affondano nella cultura comunitaria sarda, da secoli fatta di mutuo aiuto e reciprocità. «L’indagine si è spinta oltre, analizzando anche il volontariato aziendale, una pratica che unisce responsabilità sociale e partecipazione civica», sottolinea Marongiu. «In Sardegna, soltanto il 2% dei rispondenti vi partecipa regolarmente, mentre il 10% ha indicato di farlo qualche volta. Ma oltre un quarto sarebbe disposto ad aderire, se ne avesse l’opportunità. Diverse aziende isolane stanno già sperimentando iniziative solidali con ricadute positive sul territorio. È un potenziale importante: il volontariato aziendale può essere una palestra per il Terzo settore. Un luogo in cui i lavoratori sperimentano l’impegno civico e, spesso, decidono poi di proseguirlo in modo autonomo».

Giuseppina Marongiu (Csv Sardegna)

Il radicamento del volontariato sommerso, in Sardegna, affonda nelle consuetudini comunitarie, dove la solidarietà è parte integrante della vita sociale. «Ma il futuro presenta anche sfide importanti: la burocrazia, la paura di confondere volontariato e lavoro nero, la perdita del senso di appartenenza nelle aree spopolate, il disinteresse delle nuove generazioni. C’è il rischio che la rete di solidarietà spontanea si assottigli, se non la si riconosce e valorizza in tempo», spiega Marongiu.

Il 57% delle imprese sarde ritiene utile avere un interlocutore, una sorta di intermediario che possa agire da “ponte” tra volontari informali, enti del Terzo settore e aziende. Il Csv potrebbe offrire formazione, supporto e spazi di incontro, come sta facendo da alcuni anni a questa parte.

«Il volontariato sommerso è una risorsa invisibile ma indispensabile: sostiene chi è fragile, rafforza le comunità e intercetta i nuovi bisogni sociali prima che emergano», si legge ancora nella ricerca. «Dietro ogni gesto gratuito si nasconde la forza silenziosa di una Sardegna che continua a credere nel valore dell’aiuto reciproco».

Nel 2023, circa 4,7 milioni di persone in Italia (il 9,1% della popolazione over 15) hanno partecipato a iniziative di solidarietà. Il volontariato sommerso è caratterizzato da impegno flessibile e immediato, capace di rispondere a bisogni emergenti (pensiamo alla risposta di tanta gente per alluvioni e terremoti, eventi catastrofici che in verità richiedono un percorso formativo alle spalle) e a lacune del welfare pubblico. Queste pratiche contribuiscono alla coesione sociale, al sostegno delle persone fragili e alla costruzione di reti di prossimità.

«Il volontariato informale è fondamentale per umanizzare la convivenza, creando e rafforzando i legami sociali e il senso di appartenenza», commenta Giuseppina Marongiu. «Agisce come un antidoto all’isolamento e all’individualismo, soddisfacendo il bisogno primario di interazione. È una forma di attivismo civico e democrazia diffusa, basata sulla logica del dono gratuito. Nonostante non offra le tutele del volontariato organizzato, la sua importanza per la vitalità e resilienza della comunità è indiscussa. Tuttavia, non è una preferenza esclusiva o prevalente delle nuove generazioni: la flessibilità è legata al tempo libero disponibile. I giovani volontari oggi vedono l’azione volontaria come una possibilità di crescita professionale. L’impegno complessivo degli anziani (formale e informale, inclusa la cura informale e il supporto ai carichi familiari) è spesso superiore ad altre fasce d’età e il supporto familiare, se tramutato in termini lavorati, corrisponderebbe, secondo alcune ricerche, a circa 18,3 miliardi di euro all’anno, corrispondenti all’1,2% del Pil».

Non mancano i fattori esterni a frenare pure il volontariato informale. Con la pandemia, la donazione di sangue (in Sardegna estremamente importante anche per l’alta incidenza dei casi di talassemia) ha mostrato una riduzione pari al 7%.

«Il volontariato informale è più diffuso nelle province di Oristano (22%), Nuoro e Sassari (21%)», riporta la ricerca del Centro studi sociali “Carlo Carretto”. «Le ragioni principali per l’impegno fuori dagli enti di Terzo settore sono la mancanza di tempo per l’impegno richiesto dalle associazioni (il 57% si dice molto/abbastanza d’accordo su questo) e la preferenza per un impegno più flessibile a sostegno di cause diverse (il 51% è molto/abbastanza d’accordo). Il 30% non si sente a proprio agio con un impegno continuativo o troppo formale. Le modalità di aiuto gratuito più frequenti sono l’offerta di cibo o vestiti a persone in difficoltà (39% spesso/sempre). Seguono l’aiuto negli spostamenti (23% spesso/sempre), l’aiuto durante le emergenze (21% spesso/sempre), e il supporto in pratiche burocratiche o scolastiche (18% spesso/sempre)».

Soltanto il 2% degli intervistati partecipa regolarmente a iniziative di volontariato promosse dalle aziende. Il 27% aderirebbe se proposto, il 47% no. La città metropolitana di Cagliari mostra la più elevata propensione ad aderire (34%). Oltre tre intervistati su 10 ritengono che l’impegno aziendale non sia spontaneo, bensì nasconda “calcoli di convenienza”. Solo il 37% dei 1.016 intervistati è disposto a spostare gli acquisti verso aziende che promuovono il volontariato.

La ricerca ha sondato anche 19 aziende. Il 42,1% dui esse si dichiara poco o per nulla informato sul volontariato aziendale, mentre il 47,4% sa pochissimo del volontariato di competenza. L’84% degli intervistati non è al corrente degli incentivi previsti. Le attività informali più frequenti sono l’aiuto materiale durante le emergenze (63,1%) e il supporto agli eventi locali (63%). L’84% ritiene che i collaboratori parteciperebbero volentieri a tali forme di volontariato, e quasi il 90% pensa che le aziende si impegnino in attività volontarie perché ci credono veramente.

Credits: foto Csv Sardegna

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.