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Cooperazione & Relazioni internazionali

Nelle famiglie italiane 500 mila figli in pi

Per strappare dalla strada e garantire un futuro migliore ai bambini dei Paesi poveri, gli italiani hanno donato in un anno quasi 200 miliardi.

di Barbara Fabiani

Padri, madri e fratellini a distanza. Avere la fotografia del figlio in salotto, ma coccolarlo o parlarci solo per posta, perché lui continua a vivere a migliaia di chilometri da casa tua , magari in un villaggio in Centrafrica o in un quartiere di una metropoli sudamericana. Sono almeno 500 mila i bambini poveri di tutto il mondo adottati a distanza da altrettante famiglie italiane che attraverso oltre 400 enti e associazioni donano ogni anno almeno 200 miliardi per questa forma di solidarietà famigliare senza confini. Con una piccola cifra, centinaia di famiglie contribuiscono a sfamare, assistere e mandare a scuola un ragazzo, strappandolo alla strada e assicurandogli un futuro migliore. Nei giorni scorsi a Roma i rappresentanti di quasi 100 associazioni si sono riuniti per cominciare a dialogare tra loro, per mettere in comune i traguardi raggiunti e le difficoltà ancora da superare. Un Forum per capire lungo quale percorso vogliono incamminarsi le organizzazioni che si occupano di sostegno a distanza. Una sorta di Stati generali promossi dal coordinamento “La Gabbianella”, Azione Aiuto, il Centro Missionario di Belluno e Reach Italia, in collaborazione con l’assessorato alle politiche per la città delle bambine e dei bambini del Comune di Roma, a cui hanno partecipato 180 rappresentanti di 75 associazioni. Insieme per discutere sui compiti e sugli obiettivi di questo campo di intervento e, in particolare, valutare la possibilità di regolamentare, ed eventualmente come, l’adozione a distanza. I numeri del primo censimento In occasione del Forum sono state esposte anche delle anticipazioni sul primo censimento delle associazioni del settore, uno studio commissionato dal comitato promotore dell’incontro romano. In Italia sono circa 400 le organizzazioni che realizzano progetti di sostegno a distanza, anche se, ammette Serena Gaiani autrice della ricerca, restano fuori da questo elenco molte delle realtà più piccole e informali. Non meno difficile è conoscere il numero complessivo delle adozioni a distanza. Resistendo alla tentazione di lanciarsi in stime di facile impatto, sono state raccolte sufficienti informazioni per stabilire con certezza che 139 delle 400 organizzazioni censite hanno al momento 252.824 adozioni avviate, una cifra che rende ragionevole ipotizzare che gli italiani sostengono circa 500.000 bambini dei Paesi più poveri del mondo donando ogni anni circa 200 miliardi di lire se ipotizziamo una cifra media per adozione di circa 400 mila lire. Qualunque sia l’ipotesi che si possa fare rispetto al totale delle adozioni partendo da questa cifra certa, è comunque molto improbabile che si raggiunga il numero di 2 milioni e 500 mila bambini adottati, stime che non molto tempo fa venivano diffuse dai media, senza per questo voler ridurre il valore e l’importanza del fenomeno. Ma cosa chiedono queste associazioni alle istituzioni? Dall’indagine emerge un settore preoccupato di mantenere la propria autonomia operativa pur riconoscendo la necessità di avviarsi almeno verso una autoregolamentazione (è di questa opinione il 68% delle 139 organizzazioni intervistate). Le associazioni cercano dalle istituzioni soprattutto riconoscimento e facilitazioni (riduzioni fiscali, tariffarie e alleggerimento burocratico) per favorire il proprio lavoro (72%) e sollecitano agevolazioni fiscali per i donatori (40%). Solamente una minoranza (11%) ritiene che lo Stato dovrebbe intervenire a regolamentare il settore. Restano intatte le lamentele e i desiderata nei confronti delle istituzioni: meno burocrazia, detraibilità dell’ Iva sugli acquisti sociali, gratuità degli spazi sui media, riduzione delle tariffe di spedizione; questioni ben note a chiunque operi nel volontariato. La Carta dei principi In questi ultimi tempi sono state diverse le proposte di regolamentazione, sia da parte delle istituzioni, come il disegno di legge n.3531 proposto dalla senatrice Carla Mazzucca (basato sulla costituzione di un Authority fortemente centralizzata), che da parte delle associazioni stesse, come il Vos.Vi.M che ha redatto in 8 dettagliati articoli una proposta in cui si fa particolare riferimento alla costituzione di un registro delle organizzazioni promotrici dell’adozione a distanza, arrivando a definire alcuni requisiti minimi per iscriversi a questo albo. Non sono mancate contemporaneamente le proposte di autoregolamentazione, rappresentate soprattutto da “Carte dei principi”, come quelle suggerite dal Focsiv e dal comitato “La Gabbianella”. Nessuno, per il momento vuole una legge: meglio la via dell’autoregolamentazione, ispirandosi alla “Carta dei principi”. In quest’ultima si legge, tra le altre cose, che le associazioni si impegnano a promuovere l’autosviluppo del bambino ma anche quello della sua famiglia e della comunità, che vogliono contribuire all’educazione alla mondialità degli italiani e che s’impegnano alla trasparenza nella raccolta e nell’utilizzo dei fondi e nella stesura del bilancio. La questione della trasparenza, infatti, è decisiva, in quanto condizione per mantenere la fiducia da parte dei sostenitori. Qualcuno ha fatto riferimento alla Charity commission inglese (organo istituzionale che verifica i requisiti e i conti delle associazioni britanniche) chiedendosi se le associazioni debbano richiedere qualcosa di analogo anche al governo italiano. La varietà e l’eterogeneità delle organizzazioni continuano ad essere considerate una risorsa, ma cresce la consapevolezza di dover raggiungere, sulla base della condivisione dei principi fondamentali, una omogeneità e un maggiore coordinamento interno. A quando la regolamentazione? Obiettivo che la costituzione di un Forum permanente delle organizzazioni del settore dovrebbe garantire. Basterà? «A noi no», risponde Ivano Zoppi dell’Aibi, una delle cinque organizzazioni che compongono il Comitato italiano sostegno a distanza. «Che sì sia deciso in favore di una forma di autoregolamentazione sulla base dei principi condivisi è un passo significativo», precisa, «ma occorre arrivare a una vera e propria definizione delle regole. Non una legge, ma almeno un elenco dei requisiti minimi a cui debbano rispondere le associazioni che vogliono occuparsi di “sostegno a distanza”». «Questo coordinamento», spiega Zoppi, «interpreta l’adozione a distanza come un particolare tipo di cooperazione allo sviluppo». Tutto ciò, secondo il Cisd, impone alle associazioni di avere un serie di competenze tecniche e organizzative tali da renderle adatte all’impegno. Ad esempio, uno dei requisiti sarebbe quello di avere sul posto dei propri volontari, ne consegue che l’organizzazione deve essere di provata esperienza e abbastanza solida per sostenere questo sforzo. Gli fa eco Antonio Raimondi, presidente del Vis, un’altra delle organizzazioni del Cisd: «Bisogna distinguere tra sostegno a distanza e raccolta fondi. Quest’ultima non riguarda solo le piccole associazioni ma anche certe grandi agenzie che non realizzano direttamente gli interventi». Su una cosa sono d’accordo tutte le associazioni: l’importanza della trasparenza nel consolidare fiducia dei sostenitori e diffondere le adesioni ai progetti. Secondo il Cisd la strada da seguire è ancora una volta quelli di stabilire dei criteri di garanzia, tra cui la pubblicazione del bilancio. «A vigilare sulle associazioni ci deve essere un controllore esterno», conclude Raimondi. «Certamente questo renderebbe le cose più impegnative per tutti, ma significa anche dare certezze e garanzie a tutti».


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