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La sinistra ha perso per il suo razzismo etico

In un'intervista sul numero di Vita di questa settimana Luca Ricolfi dice: «Guardando alla parte avversa come a dei barbari da educare ne sottovalutano anche le buone ragioni». Il dibattito è aperto

di Giuseppe Frangi

Ds, 16,5%. Dalla notte del 14 maggio questa cifra martella il cervello di milioni di militanti. Com’è possibile che la sinistra italiana si riduca a una presenza così esigua, cui si può aggiungere l’orgoglioso 5 % di Rifondazione? Hanno provato a rispondere in tanti, dopo il 14 maggio. Qualcuno, in realtà, ci aveva provato anche prima, per avvertire che si stava scivolando su una china perigliosa. Tra questi c’è senz’altro Luca Ricolfi, docente Metodologia delle scienze sociali all’Università di Torino, autore di un libro, uscito qualche settimana prima del voto. Titolo: “La frattura etica: saggio sulle basi etiche dei poli elettorali” (Trauben editore). Una riflessione che ha attirato l’attenzioni di tanti commentatori (tra cui Galli Della Loggia), ma non di quelli a cui era principalmente rivolto: i cervelli della sinistra. Cosa sostiene Ridolfi? Che la sinistra da tempo commette un peccato che la ghettizza e la isola da tanti ceti sociali, potenziali elettori. E’ un peccato di presunzione. “Sì, nel mio libro ho cercato di definirla quella credenza di rappresentare la parte migliore del paese, di essere titolari di una superiorità etica, culturale e politica”. Vita: E questo che conseguenza può avere avuto sull’esisto elettorale? Ricolfi: E’ un atteggiamento mortificante e autolesionistico, perché innesca un circuito perverso di chiusura e di autoreferenzialità. Guardando alla parte avversa come a dei barbari da educare o da tenere alle porte se ne sottovalutano anche le istanze, o le buone ragioni. Penso, in particolare, alla difficoltà enorme che la sinistra incontra nel matabolizzare la richiesta di sicurezza da parte dei cittadini. Penso al riflesso condizionato che bolla come razzista qualsiasi attegiamento che si ponga al di fuori della mentalità progressista. Ma questa è una forma di cecità che porta a una paralisi politica. Vita: Lei, che è di sinistra, riconosce che uno dei più acuti a cogliere questo errore della sinistra è stato il primo sindaco non progressista di Bologna, Guazzaloca… Ricolfi: Guazzaloca è uno dei politici più anticonformisti e indipendenti dai partiti che ci siano in circolazione. Ha detto che la sinistra si sente titolare di una superiorità etica e culturale. E che così si inchioda, demonizzando l’avversario “senza elaborare più niente di niente di niente”. Vita: Ma è proprio vero che la sinistra non ha una sensibilità etica maggiore rispetto all’elettore di destra? Ricolfi: Guardi, le nostre ricerche ci dicono che l’unica dimensione che ha una chiara polarità etica è la virtù civica, ed è distribuita in modo perfettamante simmetrico tra destra e sinistra. Vita: Ma su un tema come la pena di morte, la sinistra ha un sensibilità etica diversa dalla destra… Ricolfi: Questo è vero. Ma sarebbe un errore pensare che il sentimento di approvazione per la pena di morte sia del tutto estraneo alla sinistra. Le nostre ricerche ci dicono che, fra i giovani di sinistra, e in particolare tra gli elettori di matrice comunista, questo sentimento è tutt’altro che assente. Ma c’è un’altra osservazione da fare, e riguarda il modo con cui soprattutto i militanti di sinistra guardano alla parte avversa. Non viene minimamente contemplata la possibilità che chi su questi temi la pensa diversamente, pur esprimendo una posizione che non si condivide, si appoggi su ragioni legittime, ragioni da cui si dissente fermamente ma che rientrano nell’ordine delle possibili concezioni della giustizia. Vita: Lei sembra sostenere che le differenze di concezioni etiche sono trasversali ai fronti politici? Ricolfi: In buona misura è così. Oggi la frattura etica passa attraverso due diverse sensibilità, due modi opposti di intendere il legame sociale. Ci sono gli individualisti per i quali il sistema sociale è innanzitutto un mezzo di autorealizzazione dei singoli. Dall’altra ci sono gli anti-individualisti, o istituzionalisti, tendenzialmente civici e “integristi”: per loro il sistema sociale ha un primato morale sull’individuo, e quest’ultimo è tenuto a rispettare l’ ordine naturale delle cose in tutti i campi, corpo, sessualità, patto famigliare, ambiente. Se proprio vogliamo cercare qualche prevalenza di connotazione politica, possiamo dire che l’individualismo, inteso come mix di self interest e di libertarismo, riluce con colore un po’ più intenso sulle bandiere della sinistra. Vita: Faccia un esempio di comportamenti differenti su una questione specifica… Ricolfi: E’ in campo educativo che la frattura si fa sentire di più. L’individualista non si stanca di sottolineare il valore della tolleranza e della libertà il cui unico limite legittimo è il danno a terzi. Per gli anti-individualisti, invece, questa è una forma di opportunismo morale, un’abdicazione alle proprie responsabilità educative. L’altra frattura etica fondamentale è quella fra rigorismo e indulgenza, fra principio di responsabilità personale e solidarietà incondizionata. Un esempio per tutti: il delitto di Novi Ligure, il caso di Erika e Omar. In base a un recentissimo sondaggio Ispo la posizione prevalente fra i giovani è quella rigorista, che afferma la piena responsabilità degli assassini e il dovere di scontare la pena in carcere, contro il senso comune della società adulta che – specie nei suoi settori progressisti – tende a sottolineare le responsabilità del sistema sociale, o le esigenze di rieducazione e di reinserimento. Non per nulla, come le cronache hanno riferito ampiamente, il dibattito pubblico avenuto a Novi Ligure dopo il delitto ha visto contrapposti da una parte il rigorismo (e l’indignazione) degli studenti, e dall’altra lo sforzo di “comprensione” e di ascolto degli educatori e degli operatori sociali, come lo psichiatra Crepet. Vita: Tutto questo basta a spiegare un declino elettorale? Ricolfi: Come minimo basta a spiegare la scarsa presa che, da ormai almeno un decennio, la sinistra esercita sui giovani. Quanto agli adulti, per me è emblematico il comportamento alla Montanelli. Io lo riassumo così: tra una classe politica inquietante e una deprimente io scelgo la seconda, sia pure a malincuore. Ma in Italia non c’è solo chi ha paura. C’è anche chi ha speranza o, quantomeno, non ha paura a sufficienza. Innanzitutti i giovani, che non per niente riversano i loro voti in maniera massiccia su Alleanza nazionale e su Rifondazione comunista, come risulta chiaramente dall’ultimo rapporto Iard. Non si può pensare di vincere solo vivendo di rendita, puntando tutto sulla demonizzazione dell’avversario. Perché chi non ha sufficiente paura di quell’avversario, non sente il dovere morale di votare l’Ulivo. Il 13 maggio è accaduto questo. Vita: E invece Berlusconi cosa ha fatto di diverso? Ricolfi: Ha saputo usare un linguaggio concreto, non parla in termini di alchimie politiche: il suo “contratto con gli italiani”, credibile o no che sia, è un segnale di questa concretezza, di una volontà di parlare direttamente ai cittadini piuttosto che agli addetti ai lavori, o agli interlocutori del Palazzo della politica. La sinistra dovrebbe capire che parlare un linguaggio astratto e autoreferenziale significa mostrare uno scarso rispetto per l’interlocutore. E quindi è difficile che poi l’interlocutore dia il suo consenso. …e tu cosa ne pensi?


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