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Education & Scuola

Enrica e Bruno Volpi. La vita è bella a porte aperte

Storia di educatori fuori dagli schemi. Da trent’anni una coppia cresce giovani senza casa in comunità familiari vicino a Tortona. L'associazione si chiama Acieffe

di Gabriella Meroni

Con quella faccia sbilenca da pugile, non si capisce se Bruno Volpi nella vita le ha più prese o le ha più date. Sicuramente non è stato a guardare. E anche oggi, che ha quasi 65 anni, non ha perso quel lampo negli occhi, la grinta di affermare le sue idee, la capacità di scrutare l?interlocutore come se fosse un avversario, per capirne i punti deboli, andargli incontro e alla fine, a sorpresa, amarlo. Sul ring dell?accoglienza, delle famiglie ?aperte?, dell?abbraccio alle storie più disperate Volpi, con la moglie Enrica, ha passato trent?anni. Da quando cioè, nel 1971, gli venne l?idea dell?associazione Comunità e famiglia che oggi conta 300 coppie e, disseminata in 15 fattorie, condomini e ville, è diventata la casa di migliaia di bambini e adulti senza genitori né amici. Ma naso camuso e mani forti non gli sono stati donati per caso: nella sua attività educativa Bruno ha sempre preferito la schiettezza all?accondiscendenza, l?entusiasmo alla pazienza, l?autorevolezza al ?volemose bene?. Tanto che le sue idee sulla famiglia e sui figli suonerebbero certo rivoluzionarie se messe in bocca a un educatore più tradizionale e meno sorprendente di lui. Il tempo degli ideali «Il problema di oggi sono le famiglie normali». Volpi ne è convinto: «Sono loro che castrano i figli con le loro pretese e la loro chiusura. Invece di far compagnia ai figli, li nutrono di cultura individualista. Non hanno il coraggio di rischiare con loro la felicità. Come il padre di Erika, che abita qui vicino: non ha avuto il coraggio di rischiare la felicità con sua figlia». E in effetti a pochi chilometri da Novi Ligure ci siamo davvero, a Bezzano sulle colline del Tortonese dove i Volpi hanno messo in piedi l?ultima comunità in un?antica dimora nobiliare, mezza diroccata, che ora cercano di ristrutturare a prezzo di sacrifici e martellanti richieste alla Provvidenza. Bruno Volpi parla gesticolando e guarda la moglie Enrica che prepara la merenda al nipotino Pietro e annuisce in silenzio. «Siamo immersi in una cultura di solitudine. Basta guardare i proverbi: chi fa da sé fa per tre, fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio? E i primi maestri di questa visione sono i genitori. Per forza poi i figli quando escono dal nido si trovano spiazzati e crollano. Non hanno uno straccio di amico, eppure sentono che devono essere perfetti. Ne ho visti tanti, di figli perfetti, che stavano peggio dei figli dei disgraziati?». Come quel laureando in medicina, scoppiato a poche settimane dalla tesi e arrivato alla sua soglia dopo aver toccato il marciapiede. O quell?alcolista che ha iniziato a bere per solitudine e ancora non riesce a smettere pur vivendo con altre 70 persone. O quel manager stanco di far pagare ai propri dipendenti le sue frustrazioni. O quel ministro che un giorno portò ai Volpi sua figlia adolescente, chiedendo disarmato: «Cosa devo fare con lei?». Che il nemico di ciascuno sia il sogno dell?autonomia, e l?elogio che la società ne ha fatto, i Volpi l?hanno imparato in Africa dove si sono ?rifugiati? nel 1963, l?anno del loro matrimonio. «Ci volevamo bene, avevamo un lavoro, io alla Moto Guzzi ed Enrica in filanda, eppure capivamo che ci mancava qualcosa», racconta Bruno ripensando a quella decisione, improvvisa e irruente come lui, che gli cambiò la vita. «Così, in rotta con i nostri genitori, accettammo la proposta di un sacerdote di andare in Rwanda a costruire una scuola. Siamo stati i primi missionari laici italiani». In Africa rimangono otto anni, facendo quattro figli in quattro anni («alla moda africana», si inserisce Enrica): Paola, Enzo, Franco e Nicola, più Piera, una ragazza del posto che decidono di adottare. «Non è stato facile, è stato felice», dice Bruno. «Dall?Africa ho imparato due cose: uno, che per educare un figlio serve un villaggio, cioè altre persone oltre i genitori; secondo, che un uomo deve avere almeno sei amici: quattro per portarlo al cimitero, e due di scorta». Impossibile quindi, per una famiglia allargatasi così in fretta, pensare di tornare in Italia e abitare nelle quattro mura di un condominio. E visti i tempi (primi anni 70), Bruno sfida ancora una volta genitori e amici rimasti nella sua Mandello, in provincia di Lecco, e mette su una comune. A Milano, in via Lemene, in un edificio tutto da rifare. «Erano i tempi dell?anarchia e degli ideali, e io mi ci trovavo benissimo», sorride. «Il mondo era pieno di pazzi con la chitarra che cercavano un senso alla vita e molti capitavano da noi. Ci mantenevamo vendendo mobili usati e facendo lavori di restauro. Ancora una volta, non era facile, ma era felice. Finché un giorno, era il 1973, un?assistente sociale si presenta a casa nostra tenendo per mano una bambina». È l?inizio dell?associazione Comunità e famiglia, anche se i Volpi ancora non lo sanno. Dopo un?indagine del Tribunale dei minori, infatti, quella bambina viene accolta in affido temporaneo, la prima di una lunghissima serie. Enrica si volta per vedere se per caso abbia assistito al racconto: perché quella bimba, oggi quarantenne, è ancora lì con loro, non li ha più lasciati. Il nipotino sull?erba Davanti a due genitori dal cuore così occupato, c?è da credere che i figli naturali possano essere andati in crisi. E in parte, raccontano Bruno ed Enrica, è stato così. «Ho sempre pensato che i figli, che siano tuoi o adottati o affidati non importa, non debbano avere troppe regole», continua Bruno Volpi. «I figli nascono liberi e dobbiamo lasciarli liberi. Basta la coscienza per farti capire dove sta il bene, non serve nemmeno Dio, oserei dire? Io ad esempio sono orgoglioso che non tutti i miei figli vivano in comunità». Come Paola, la maggiore, che al padre ha insegnato il rispetto delle idee altrui. Da lei, si capisce, Bruno le ha solo prese. E tante. «Ci siamo sempre scontrati», racconta Bruno. «Lei fin da ragazzina mi ha detto che non voleva diventare come me, fare la mia stessa vita. Infatti oggi, che ha 37 anni, è sposata e ha due figli, vive lontano dalle Comunità. Ma siamo uniti, non come due che fanno le stesse cose, ma come due che guardano nella stessa direzione. E poi chissà, magari un giorno cambierà idea?». Il secondo figlio, Enzo, è a capo di una delle comunità, vicino a Milano. Nicola, il più piccolo, ancora non ha deciso cosa farà. Franco invece gestisce un bed&breakfast. «Praticamente ha fatto una comunità, anche se non lo sa?», commenta mamma Enrica, issandosi sulle ginocchia il piccolo Pietro, figlio di Paola. «Che bambino allevato in batteria», dice il nonno, facendo la faccia da burbero buono. «Si vede che non corre mai sull?erba, all?aria aperta?». E si vede che a lui piacerebbe averlo lì più spesso, a correre sulla ?sua? erba. Intanto, fuori, nel cortile ombreggiato due giovani marito e moglie cercano di ambientarsi. Si chiamano Luciana e Lorenzo, e sono arrivati proprio ieri da Genova per condividere l?esperienza di Comunità e famiglia. Hanno una figlia di un anno, Martina, e vorrebbero adottarne altri. Bruno ed Enrica li guardano, un po? commossi e un po? tremanti. Chissà, sembrano chiedersi, se avranno il coraggio di lottare come loro. Ecco dove incontrarli Sull?esperienza dei coniugi Volpi sono stati scritti alcuni libri. Vi segnaliamo i più completi: Vivere con la porta aperta, scritto dallo stesso Bruno Volpi con Elio Meloni (Edizioni Dehoniane, Bologna, 1999); i Volpi hanno descritto la loro esperienza anche in Una alternativa possibile, di Bruno ed Enrica Volpi, (Editrice Monti, Saronno, 1998); più recente è Facciamo un patto, di Luciano Moia, (Effatà Editrice, Cantalupa, 2000). Sede principale e cuore pulsante dell?associazione rimane la storica comunità di VIllapizzone: l?indirizzo è piazza Villapizzone, 3 – 20156 Milano, telefono 02.3925426. Per andare a trovare Bruno ed Enrica, invece, bisogna arrampicarsi in collina fino a Bezzano di Tortona (Alessandria), telefono 0131.806624. L?associazione ha anche un sito: www.acieffe.org


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