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Sostenibilità sociale e ambientale

Quella volta che costrinsi Gianni Agnelli a uscire dalle mine

L'esperienza di Legambiente: intervista a Andrea Poggio

di Giampaolo Cerri

F u un atto profondamente trasgressivo: violare il santuario della chimica italiana. Nei saloni ovattati di Foro Bonaparte, sede di Montedison, in un giorno di primavera del 1989, in occasione dell’assemblea, arrivarono azionisti del tutto sui generis. Erano militanti di Legambiente. Comincia così la stagione degli azionisti ecologisti: una concertata azione di disturbo dei giganti industriali italiani a opera degli ambientalisti del Cigno. Seguirono raid nelle assemblee di Fiat, Enimont, Sme e poi, dopo la privatizzazione, anche di Enel, Eni e Aem. Andrea Poggio, vicedirettore generale di Legambiente, è uno della prima ora. Vita: Suggestioni americane? Andrea Poggio: Più precisamente anglosassoni. Guardavamo alle esperienze mature di cittadinanza attiva e ambientalismo. Pensammo di portare le ragioni dell’ambientalismo in un modo che si concepiva come separato e che gestiva il problema ecologico come una variabile. Vita: Dove pensavate di arrivare? Poggio: Non ci facevamo illusioni, ma puntavamo a risultati concreti: a essere una spina nel fianco di questi gruppi e incrinare i quadretti lieti che i loro uffici stampa ammanivano. Le assemblee erano una ghiotta occasione per comunicare da parte del mondo industriale: con la nostra presenza, abbiamo senza dubbio imposto loro di abbassare i toni. Vita: è stato facile… Poggio: Tutt’altro: all’inizio ci siamo scontrati con la burocrazia e abbiamo pagato una certa ignoranza del Codice civile, ma è durata poco. Ben presto abbiamo cominciato a presenziare in massa: un’azione, un intervento, un voto. Vita: Quanti titoli avete raccolto? Poggio: Il minimo indispensabile per poter intervenire in assemblea. Ricordo che le prime volte, era il caso di Montedison, ci iscrivemmo a parlare in decine, praticamente bloccando i lavori. Vita: Strategia vincente? Poggio: No, perché i giornalisti economici alla fine si stancavano e poi capimmo ben presto che era più utile far mettere a verbale le risposte, cosa che i comitati di cittadini interessati alle produzioni, Porto Marghera ad esempio, ci chiedevano. Anzi, arrivammo presto a concordare con le aziende i temi da toccare in assemblea: davamo loro, per tempo, gli argomenti su cui desideravamo risposte, e noi limitavamo gli interventi allo stretto indispensabile. Vita: Come vi accoglievano industriali e finanzieri? Poggio: L’imbarazzo delle prime volte fu quasi divertente. Poi subentrò il senso di una sfida: ricordo la fierezza con cui Raul Gardini sostenne, di fronte alle nostre obiezioni, l’idea della grande chimica italiana, all’assemblea di Enimont. E ricordo anche quando Gianni Agnelli ci comunicò l’intenzione di cedere la partecipazione di Fiat in Valsella, industria che produceva mine. Vita: Con le assemble di maggio e giugno 2000 in Enel ed Eni avete chiuso una stagione? Poggio: Per il momento. L’azionariato responsabile richiede un impegno enorme. è una di quelle battaglie da ripensare insieme con altre forze della società civile. Vita: Bilancio dell’esperienza? Poggio: Positivo. Se oggi questi gruppi presentano relazioni ambientali e bilanci sociali, lo si deve certamente a questa azione. Per la prima volta, abbiamo portato fin nel cuore dell’industria italiana il nostro pensiero. Senza dimenticare che è stata una grande chance per richiamare l’attenzione della pubblica opinione sulle emergenze ambientali.


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