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Terapia genica guarisce due bambine

A Milano all'istituto San Raffele-Telethon per la cura delle malattie genetiche. E’ la prima volta nel mondo che la cura ha successo

di Redazione

Sheila, di due anni e mezzo, palestinese, e a Maria di 4, colombiana, guarite – ed è la prima volta – sono guarite grazie alla terapia genica. Un solo trattamento che ha cambiato la loro vita. La malattia di cui soffrivavano è la Scid-Ada, un deficit gravissimo delle difese immunitarie dovuto alla carenza su base ereditaria di un enzima, l? adenosin-deaminasi , fondamentale per il buon funzionamento dei globuli bianchi. Situazione che rende questi bambini inermi di fronte alle infezioni e che finora poteva essere corretta con un trapianto di midollo, se si trovano donatori compatibili o con l?enzima sostitutivo, estratto dai bovini (Peg-Ada), costosissimo. Il «miracolo» di una guarigione stabile è frutto del lavoro dell?Istituto San Raffaele-Telethon per la cura delle malattie genetiche (Tiget) di Milano, coordinato da Maria Grazia Roncarolo insieme a Claudio Bordignon e Alessandro Aiuti. Nel caso della bimba palestinese c?è anche la collaborazione di medici israeliani. Un traguardo importante, che si è guadagnato la pubblicazione sulla rivista Science, perché è il primo vero successo della terapia genica, la correzione, cioè, di una malattia ereditaria (di cui si conosce il gene difettoso) grazie all?inserimento nelle cellule della copia sana di quest?ultimo, che dà luogo ad una discendenza di cellule integre. In pratica è come se si cancellasse il difetto genetico che provoca la malattia. Come è stato possibile? «Abbiamo prelevato dalle ossa del bacino delle due bimbe una piccola quantità di midollo osseo – spiega Maria Grazia Roncarolo, pediatra torinese, con alle spalle un lungo soggiorno in California, dove ha pubblicato lavori importanti sul meccanismo della tolleranza ai trapianti, rientrata in Italia nel ?97 -. Da questo campione abbiamo estratto le cellule più immature, dette staminali, o progenitrici, perché hanno la capacità di produrre tutte le cellule presenti nel sangue e le abbiamo fatte crescere in laboratorio utilizzando un cocktail di fattori di crescita. In queste cellule è stata poi introdotta la copia sana del gene malato grazie ad un vettore virale (una specie di cavallo di Troia che ne permette l?ingresso, ndr )». A questo punto il gioco era quasi fatto visto che le cellule progenitrici modificate, una volta reinfuse nell?organismo, colonizzano nel midollo osseo e lo ripopolano di cellule sane. Ma c?è un?altra importante novità che ha garantito il successo dell?équipe della Roncarolo, come spiega Alessandro Aiuti, ricercatore del Tiget: «Bisognava fare spazio a queste cellule portatrici di guarigione. In che modo? Abbiamo pensato ad un farmaco che si utilizza già nei trapianti, il busulfano, a dosi molto basse». L?idea si è rivelata buona. Ora si pensa ad estendere il trattamento ad altri bambini, anche italiani.


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