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Famiglia & Minori

Un delitto su 4 avviene in casa

Nuova strage in famiglia dopo quella di domenica mattina nel Lecchese. Fra cronaca e statistiche il quadro impone forse una riflessione più accurata

di Redazione

Nuova strage in famiglia dopo quella di domenica mattina nel Lecchese. Stavolta in Calabria, nella piana di Gioia Tauro, dove un odontotecnico, Raffaele Cupiraggi, di 39 anni, ha ucciso a colpi di pistola la moglie, Caterina Minì, di 36 anni, medico chirurgo nell’ospedale di Polistena, e il figlio Flavio, di 5 anni. L’uomo si è poi tolto la vita. Teatro dell’episodio la camera da letto dell’abitazione di famiglia. Secondo quanto si è appreso, la tragedia sarebbe stata provocata da dissidi familiari, sull’origine dei quali sono in corso accertamenti. A quanto sembra, comunque, nessuno era a conoscenza dei dissidi che avrebbero indotto Cupiraggi a uccidere moglie e figlio. Raffaele Cupiraggi, prima di uccidere la moglie e il figlio di 5 anni, ha avuto una furiosa lite con la donna. A segnalare che il duplice omicidio, cui ha fatto seguito la decisione dell’uomo di togliersi la vita, era stato preceduto da una lite, presente il bambino, sono stati alcuni vicini di casa, che hanno sentito delle grida provenire dall’ abitazione della famiglia Cupiraggi. L’odontotecnico ha utilizzato una pistola calibro nove per 21, detenuta legalmente dall’uomo, che la custodiva in casa. Caterina Minì aveva inoltre telefonato ai genitori, pochi minuti prima di essere assassinata, per avvertirli della lite col coniuge, nel corso della quale l’ uomo l’ aveva anche minacciata con la pistola che ha usato poi per compiere il duplice omicidio e togliersi la vita. La madre di Caterina Minì, allarmatasi dopo avere ricevuto la telefonata, è uscita precipitosamente da casa con l’intenzione di recarsi a casa della figlia. La donna ha poi incontrato una volante della polizia, ha avvertito gli agenti di quanto le aveva riferito la figlia, e con loro ha raggiunto l’abitazione di Caterina Minì. I poliziotti, dopo avere suonato inutilmente il campanello, hanno sfondato la porta dell’abitazione ed hanno trovato i corpi senza vita di Cupiraggi, della moglie e del figlio. Il cadavere del bambino è stato trovato nel suo letto dagli agenti del commissariato di polizia di Polistena, che stanno conducendo le indagini. I corpi di Raffaele Cupiraggi e della moglie sono stati trovati nella stessa camera da letto. Cosa sia alla base di questa nuova strage familiare è avvolto nel mistero ma in paese si parla di dissapori tra i due. Caterina Minì aveva denunciato un anno fa il marito per percosse. La querela era stata poi ritirata dopo una riappacificazione. E la strage della scorsa notte sarebbe nata proprio da incomprensioni all’interno della coppia. Caterina Mini’ aveva denunciato un anno fa il marito per percosse. La querela era stata poi ritirata dopo una riappacificazione. Lo si è appreso in ambienti investigativi. La strage della scorsa notte sarebbe nata proprio da incomprensioni all’ interno della coppia, sulla cui natura non ci sono indiscrezioni. La famiglia di Caterina e’ assai stimata a Polistena. Caterina Mini’ – e’ stato precisato – aveva denunciato il marito per maltrattamenti e minacce il 14 maggio dell’ anno scorso. La querela era stata poi ritirata dopo una riappacificazione. Trova conferma – da varie fonti, non solo investigative – una situazione all’ interno della coppia caratterizzata da forti incomprensioni, con liti, al limite della separazione. ”Erano ai ferri corti”, ha detto un familiare dell’ odontotecnico lametino. Distrutti dalla tragedia i due nuclei familiari, che a Sambiase e a Polistena stanno vivendo un muto dolore. Delitti in famiglia, 1 caso su 4 I delitti in famiglia, compresi quelli multipli e le stragi, rappresentano un quarto di tutti i delitti commessi in Italia. E’ quanto rileva l’Osservatorio sugli omicidi di coppia e familiari dell’Eurispes-Associazione ex anticipando il contenuto del prossimo rapporto di fine febbraio. Per l’intero 2003, questo tipo di omicidi e’ stato costante e ha coperto circa il 22% della totalita’ dei delitti. La coppia sposata rimane al primo posto come tipologia; segue, la convivenza, i fidanzati e gli amanti, gli ex coniugi o ex conviventi. Il rapporto non si sofferma sulla stragi ma si limita a parlare di delitti multipli. Secondo l’ultimo rapporto dell’osservatorio (fine agosto 2003) di fine agosto, in famiglia si verifica un delitto ogni due giorni. Nel 77% dei casi gli assassini sono mariti, conviventi o ex mariti. Per l’Osservatorio, la convivenza matrimoniale è il terreno più fertile nel quale matura la possibilita’ di uccidere il partner e, talvolta, anche i figli in comune. Alcune volte la molla che fa scattare l’episodio di violenza è la scoperta di un tradimento o la non accettazione per la separazione. In alcuni casi, si e’ registrata una situazione di conflittualità preesistente o disagi economici. 1 donna su 5 ritira denuncia Sono poche, molto poche (appena il 5-6%) le donne che subiscono violenza fisica dal compagno o dal marito e che arrivano a denunciare alle autorita’ l’autore di queste violenze. Accade, pero’, che la donna, nonostante l’iniziale atto di coraggio, ritiri successivamente in circa il 20% dei casi la denuncia. Lo sostiene Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente di Telefono Rosa, l’associazione che assiste le donne violentate. Il ritiro delle denunce – cosi’ aveva fatto anche la donna uccisa nell’ultima strage familiare a Polistena – e’ un fatto frequente. Secondo l’osservatorio dell’associazione di volontariato (1500 donne chiedono consigli direttamente ogni anno solo a Roma e provincia, 6 mila i contatti telefonici annuali), una donna su cinque non arriva in fondo, ”influenzata da familiari e amici, soprattutto in presenza di figli, cambia idea e preferisce ritirare la denuncia. Avviene – prosegue la presidente dell’associazione – anche in caso di violenze pesanti, con ricoveri ospedalieri quando ovviamente non scatta la denuncia d’ufficio. Anche se non sono rappresentativi statisticamente della realta’ nazionale, i nostri dati – fa osservare Carnieri Moscatelli – sono certamente indicativi”. La violenza sulle donne, secondo Telefono Rosa, ”e’ sempre in ascesa, comprese le stragi. Cio’ che serve a una donna che denuncia il marito per percosse e’ l’accoglienza in una casa, lontana dal violentatore. Infatti, l’allontanamento dall’ abitazione del coniuge violento non assicura del tutto la donna e i suoi figli. La casa di accoglienza permette anche alle donne di non ripensarci, di andare fino in fondo nella denuncia e di conseguenza di migliorare anche la qualita’ della propria vita e quella dei figli”. Grandi solitudini Lo sterminio della famiglia è l’espressione esasperata di ”una grande solitudine. Esplode di solito in nuclei chiusi, dove l’atteggiamento culturale e’ il narcisismo e l’autoreferenzialita”’. A dare una lettura delle frequenti stragi in casa, anche in sequenza, e’ Francesco Belletti, direttore del Centro studi internazionali sulla famiglia. La concentrazione di episodi, come negli ultimi giorni (tre episodi in due giorni) probabilmente risente anche dell’ ”effetto imitazione per una maggiore comunicazione. Una volta questi episodi, come i suicidi fra adolescenti, infatti, venivano nascosti, c’era un tentativo di omerta’ anche se non esplicita”. L’impressione che si ha – continua Belletti – e’ che ”la coraggiosa scelta della 180 ha prodotto una conseguenza non voluta sulla sofferenza mentale in generale e sulla sofferenza in famiglia in particolare. Sara’ banale dirlo ma la sofferenza nasce dalla cattiva comunicazione fra i componenti della famiglia. A volte queste sofferenze, quando non si riesce a pensare a risorse positive o a rivolgersi all’esterno, producono tragedie. Ossia, di fronte a un disagio l’unica via d’uscita appare la violenza”. Queste situazioni sono piu’ frequenti – secondo il direttore del centro studi – in famiglie chiuse, sole, autoreferenziali, dove l’individualismo esasperato produce impotenza. ”Se si riuscisse a far socializzare queste persone – conclude Belletti – a creare dei rapporti con l’esterno”, si troverebbero anche le soluzioni. Troppe armi nelle case ”Troppe armi nelle case degli italiani, detenute legalmente o illegalmente poco importa. E’ il momento di dire ‘basta’ a tutte queste tragedie evitabilissime”. Lo sostiene il sociologo Antonio Marziale, presidente dell’ Osservatorio sui Diritti dei Minori, che, dopo avere appreso della strage familiare accaduta a Polistena, con una dichiarazione, sollecita un intervento di ”bonifica” da parte del ministro degli Interni Giuseppe Pisanu. Marziale, originario di Taurianova, cittadina poco distante da Polistena, aggiunge di avere avuto la notizia dell’ uccisione di Caterina Mini’ e del suo bambino Flavio, a Milano, nel corso di un convegno al quale stava partecipando. ”Conoscevo personalmente Caterina e il suo bambino – ha detto Marziale – sono sgomento, scosso. Cosa ci faceva – si domanda il presidente dell’ Osservatorio sui diritti dei minori – un odontotecnico con la pistola in casa? Quale e’ il motivo che ha ispirato le autorita’ preposte a concedergli la detenzione dell’ arma da fuoco, se permesso aveva? Quante tragedie ancora dovranno consumarsi perche’ il signor ministro dell’ Interno bonifichi una volta per tutte quel deposito di armi e munizioni che e’ divenuto l’ Italia?”. Per Marziale sotto accusa e’ anche ”l’ indugiare dei media su tragedie simili a quella odierna: non si puo’ piu’ sottovalutare il fenomeno di emulazione. Oggi ho perso un’amica dolce, buona e da sempre bravissima. E’ per lei, per il suo bambino, – ammonisce il presidente dell’ Osservatorio sui Diritti dei Minori – che da oggi in poi faro’ letteralmente le pulci alle autorita’ preposte affinche’ armi e munizioni siano appannaggio solo ed esclusivamente delle forze militari e di pubblica sicurezza”’. L?opinione della Parsi Chi denuncia violenze, maltrattamenti o altri problemi familiari non deve essere lasciato solo, deve essere tutelato dalle leggi e dalle istituzioni, e chi ha problemi di salute mentale deve essere curato e sostenuto: e’ l’ opinione di Maria Rita Parsi sulle stragi in famiglia degli ultimi giorni, che secondo la nota psicoterapeuta trovano terreno di coltura anche nel clima generale di confusione in cui viviamo. Parsi definisce ”vergognoso” che ci siano persone ”che vengono lasciate sole in balia della follia o della violenza”, come nel caso di Caterina Mimi’, uccisa stamani insieme al figlio dal marito che si e’ poi tolto la vita, la quale un anno fa aveva denunciato l’ uomo per percosse. O come nel caso della tragedia di due giorni fa a Vigano’, dove un uomo depresso da tempo ha ucciso moglie e due figli e si e’ poi suicidato. O ancora come nella strage di ieri nel casertano, dove un insegnante in pensione, separatosi da poco, ha ucciso la madre, ferito il padre e si e’ poi ucciso. ”Bisogna cogliere i segnali di allarme, anche se riguardano persone apparentemente tranquille e ‘normali”’ spiega l’ esperta, perche’ e’ proprio li’ che possono annidarsi focolai che poi rischiano di esplodere all’ improvviso. Questi episodi di violenza, che stanno crescendo sensibilmente negli ultimi anni, sono anche la spia di un disagio piu’ generale. ”E’ un grande momento di sofferenza, di dubbi, di confusione e di angoscia nella nostra societa’ – sottolinea la psicoterapeuta – viviamo in un mondo in cui ogni cosa viene portata all’ esasperazione, i conflitti non vengono risolti con il dialogo ma con l’ aggressione”. Per definire la nostra epoca Parsi usa la parola ”anomia”, che significa ”assenza di obiettivi comuni collettivamente condivisi”: in poche parole, mancano valori comuni e non coltiviamo la speranza di risolvere i problemi con il dialogo. ”Se la societa’ si fa carico di un problema, ad esempio quello della mancanza di lavoro – spiega – l’ individuo si sente sostenuto, altrimenti si sente solo, abbandonato” e questa sensazione di vuoto puo’ portare alla depressione ma anche alla violenza. Anche nella famiglia, ”quando fallisce il dialogo e non vengono raccolti i segnali di disperazione, c’ e’ il crollo e quello che finisce per prevalere e’ il codice della violenza”. I campanelli d’ allarme, ribadisce Parsi, non vengono considerati con la dovuta attenzione, e c’ e’ ancora molta ritrosia a ricorrere alle cure mediche o psicoterapeutiche contro la depressione, che invece ”risolverebbero tante situazioni”. Qualcuno punta il dito sulla legge Basaglia, ma secondo Maria Rita Parsi si tratta di una legge ”eccellente, che ci viene invidiata da tutti gli altri paesi”. Il problema, aggiunge, e’ che ”va applicata fino in fondo, cosa che finora non e’ stata fatta, e che bisogna aggiornarla, perche’ e’ un po’ datata, e’ vecchia di 30 anni”. Ad esempio – spiega – non si puo’ pensare che una persona con una crisi acuta sia curata per 15 giorni e poi se ne torni a casa; l’ aiuto deve continuare, anche attraverso le comunita’, e i familiari delle persone malate debbono essere sostenuti. ”Non si puo’ lasciare autonomia a chi sta veramente male” afferma. La frequenza con cui queste tragedie si sono verificate negli ultimi giorni, secondo l’ esperta e’ dovuta molto all’ ”effetto scia”: ci sono ”situazioni in bilico, dove basta una notizia a fare da detonatore”. Per questo, ”bisogna stare molto attenti a come viene fornita l’ informazione su queste vicende”. E c’ e’, infine, da sottolineare come quasi sempre gli autori di stragi familiari siano uomini: ”tollerano peggio l’ abbandono” spiega Parsi, per poi aggiungere subito che ”le donne sono biochimicamente e culturalmente piu’ disposte a dare la vita che la morte”, anche perche’ ”sono abituate ad accudire e cio’, in qualche modo, le salvaguarda dalla violenza”. Hanno ”una maggiore salute mentale rispetto agli uomini”, il che non vuol dire che siano esenti dalla depressione, ma che reagiscono meglio.


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