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La polemiche con gli indigeni: Benetton, macchia in patagonia.

Luciano è il maggior latifondista della regione. Su cui gli indios rivendicano i loro diritti. Dopo la vittoria in tribunale e una discussa donazione, per l’azienda il caso è chiuso. E invece...

di Gabriella Meroni

Primo round: un?antipatica controversa giudiziaria. Secondo round: il rischio di una figuraccia planetaria. Terzo round: una mano tesa. Quarto round: la mano che si ritira, gong, fine della ripresa. Almeno per ora. Il match tra Luciano Benetton, il maggior proprietario terriero della Patagonia, e gli indigeni mapuche, che quella terra abitano da secoli, è arrivato a questo punto, salvo sorprese dell?ultim?ora. Il 18 novembre, infatti, una delegazione di mapuche, accompagnate da uno stuolo di avvocati e dal Nobel per la pace argentino, Adolfo Pérez Esquivel, in Italia per il summit di Roma, è arrivata a Treviso, patria del re dei maglioni, ben decisa a far valere le proprie ragioni. Tutto inizia due anni fa, quando la famiglia mapuche di Atilio Curinanco si insedia in un campo di proprietà di Benetton. Meno di due mesi dopo è allontanata dalla polizia, ma sporge denuncia, e l?avvocato che la difende rivendica per essa e per tutti i mapuche il ?diritto ancestrale? alla terra. Lo scorso maggio, la svolta: un tribunale argentino dà ragione a Benetton e stabilisce che i diritti di proprietà sono validi. A luglio, Alfonso Esquivel accusa Benetton di comportarsi «come i signori feudali che alzavano muri di oppressione e di potere dei loro latifondi» e di avere «la mentalità dei conquistadores», visto che gran parte dei latifondi di sua proprietà (un intero pezzo di Argentina, grande più delle Marche) vennero strappati ai contadini indigeni con una cruenta campagna militare durante il XIX secolo, e quindi da lui ricevuti dalla società locale, Compania de tierras, che ne deteneva i diritti. Usurpati, secondo i sostenitori degli indios; regolarmente acquisiti, secondo l?azienda italiana e la legge argentina. Fino a poche settimane fa, Benetton tace. La controversia formalmente è chiusa da una sentenza inappellabile, anche se getta un?ombra sull?immagine di azienda friendly immortalata dalle celeberrime foto di Oliviero Toscani. Ma è pur sempre confinata nelle sterminate steppe argentine. Invece, la lettera di Esquivel è pubblicata in Italia da Repubblica, che inizia una martellante campagna stampa (una prima pagina e una serie di articoli al curaro), anche in vista del viaggio italiano di Esquivel. Due giorni prima dell?arrivo della delegazione argentina a Roma, Benetton risponde: Esquivel gli aveva chiesto di regalare 385 ettari di terra ai Curinanco che ne avevano bisogno per sopravvivere, big Luciano rilancia e ne dona 2.500 (pari allo 0,2% degli oltre 900mila ettari da lui posseduti). Fin qui le cronache, in cui per la verità la notizia della donazione ha occupato poco più di un trafiletto. Pace fatta, quindi, con Benetton che fa un gesto di buona volontà verso gli indios? Non proprio. «La donazione non è ai mapuche, ma ad Esquivel», precisa il portavoce di Benetton, Federico Sartor. «E non a caso, altrimenti tutte le famiglie mapuche potrebbero reclamare le terre. Ma non devono chiederle a noi», continua. «Benetton, come altri imprenditori, ha comprato da una società argentina che deteneva la proprietà legittimamente. Il problema del diritto ancestrale degli indigeni non è nostro, ma del governo argentino, a cui spetta risolverlo». Per quanto riguarda l?azienda, insomma, la questione «di diritto privato», come la definisce Sartor (cioè di chi sono quelle benedette terre) è chiusa. Quanto alla donazione, è stata «un gesto di buona volontà per iniziare un dialogo», ma solo con Esquivel. E con i mapuche, che vengono a Treviso proprio per incontrare Luciano Benetton? «Ah sì, vengono qui? Non lo sapevamo».


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