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Sostenibilità sociale e ambientale

La solidal boutique

Tessuti preziosi, oggetti di design, mobili antichi, ceramiche finissime.

di Sara De Carli

L?appuntamento per lo shopping solidale quest?anno parte da via Margutta, Roma. Passa per via dei Baullari e via di Ripetta, sempre a Roma, si infila nelle stradine eleganti della zona Brera a Milano, fa un salto a Firenze in via del Corso e chiude sul Ponte di Rialto a Venezia. Shopping o visita turistica? E soprattutto, una possibilità reale di solidarietà o una faccenda che riguarda solo pochi eletti facoltosi? Via Margutta sta a due passi da Trinità dei Monti e da via del Babuino. Marco Coretti, stilista che sfila accanto a Vivienne Westwood, è abituato a proporvi i suoi accessori di «lusso d?avanguardia». Coretti è il direttore artistico di un negozio appena inaugurato: uno spazio piccolo – 30 metri quadrati – e dal nome esclusivo: Fuoriserie. È il primo punto vendita di prodotti realizzati da cooperative sociali impegnate nell?area del disagio mentale. Il progetto nasce dalla collaborazione tra Anima, associazione non profit in seno all?Unione degli industriali di Roma, Fivol – Fondazione italiana per il volontariato e cooperative. «È un passo avanti nello sviluppo del lavoro sociale», spiega Coretti. A Fuoriserie si trovano articoli in legno, vetro, ceramiche artistiche, oggetti per la casa e tessuti in cui c?è lo zampino di stilisti e designer. «Noi ci siamo limitati a suggerire accostamenti di colori o ritocchi, partendo da idee nate interamente dentro alle cooperative». Una boutique esclusiva? «L?idea è che la solidarietà debba uscire dal ghetto della charity», rassicura Ilaria Catastini, vicepresidente di Anima. L?idea imprenditoriale si fa strada, è il caso di dirlo. Un esempio lo scoviamo a Torino, nella centralissima via Cernaia. Terre lontane, tre commesse full time, sfoggia la bellezza di sei vetrine: vasi cinesi dell?Ottocento, pezzi di antiquariato, icone antiche, giade e gioielli. C?è da quarant?anni, ed è un negozio missionario: al netto delle spese di gestione, il ricavato va ai missionari della Consolata. Ma chi ha fatto dell?eleganza un marchio sono le Botteghe della solidarietà. Via Mercato a Milano, via di Ripetta a Roma, Ponte di Rialto a Venezia? «Per far crescere la domanda di prodotti con un alto valore sociale ed essere competitivi dobbiamo garantire un?altissima visibilità», spiega Massimo Renno, direttore commerciale del consorzio. «Sono gli stessi produttori a chiederci di vendere, non svendere, i loro prodotti». Le idee regalo coprono diversi settori: commercio equo e solidale, artigianato in pelle, ceramica e tessuti, prodotti in carta riciclata. Oggi il consorzio riunisce 40 realtà del Terzo settore; i tre negozi storici e i sei nuovi nati in franchising, 18 dipendenti in tutto, sono di proprietà del consorzio, dati in comodato d?uso ai gestori. «Ogni anno spendiamo 390mila euro per gli stipendi, ma abbiamo un fatturato importante: 400mila euro ciascuno per Venezia e Milano ». Da un punto di vista imprenditoriale la scelta è azzeccata, e il marketing funziona. Ma la solidarietà? «Un terzo del prezzo va al produttore, un terzo copre le spese di gestione e un terzo è ridistribuito all?interno del consorzio», spiega Renno. «Per gli alimentari abbiamo accordi con le centrali del commercio equo, per altri prodotti rapporti con artigiani locali. Teniamo fermi alcuni criteri: non contrattiamo il prezzo, la produzione è prefinanziata e garantiamo una relazione costante nel tempo. E poi ci sono le cooperative sociali: Ellepikappa, per cui disabili realizzano ceramiche e Made in Jail, che produce t-shirt di cotone equosolidale realizzate dai detenuti di Rebibbia ». E le Botteghe del Mondo come rispondono? Soddisfatto Leone De Vita della Bottega Chico Mendes in corso San Gottardo, a Milano. «Avere un negozio in centro fa intercettare molta più gente. Il lavoro di sensibilizzazione qui è più stimolante». Tant?è che da tre anni Ctm Altromercato ha avviato un progetto di sostegno economico per chi trasferisce la bottega in una zona più centrale. «È un progetto che rientra nelle politiche sociali approvate dal consiglio», spiega Simonetta Lorigliola. «Una possibilità, non un?imposizione. Anche perché nel nostro mondo questo è un punto discusso». Tra le botteghe che rientrano in questo progetto ci sono quelle di Trento, Torino, Catania, Ostuni. Tutte diventano presto autosufficienti: segno che la scelta non è avventata. «Il nostro compito non è schierarci, ma raccogliere le diverse sensibilità», conclude Paolo Chiavaroli, responsabile di Agices, l?Assemblea generale del commercio equo e solidale. «Però avere uno spazio ampio e in centro significa non solo intercettare potenziali clienti, ma anche potenziali cittadini». Nemmeno la solidarietà con l?ambiente disdegna il centro città. Il Centro botanico, regno del biologico in tutti i campi, che ha tra i suoi soci anche Celentano, a Milano ha appena affiancato lo storico negozio di Brera con un punto vendita in via Vincenzo Monti. E dal sito di Lush, azienda che realizza cosmetici fatti a mano, ecologici e non testati su animali, si cercano negozi da affittare nei centri storici di qualunque città. «Per scelta non facciamo pubblicità», spiega Denise Cumella. «Abbiamo bisogno che le persone passino davanti ai nostri negozi, li riconoscano e si incuriosiscano». Il vanto di Lush è che molti prodotti utilizzati per i cosmetici sono di qualità così alta da essere commestibili. Molti vengono dal commercio equo e solidale: è il caso delle banane e del burro di cacao. La novità di quest?anno è il sapone della pace, a base di olio di oliva e realizzato da una cooperativa mista israeliano-palestinese e importato da Chico Mendez.


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