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Famiglia & Minori

Il dopo di noi, la vita che scavalca la morte

Sarà una delle grandi sfide dei prossimi anni. Da affrontare prima sul piano della riflessione che su quello operativo

di Johnny Dotti

Conosco una signora di 97 anni, che da più di cinquanta accudisce il figlio, malato di sclerosi multipla. Sa che la sua angoscia riguarda un destino che procrastina la sua stessa morte: sa che continuerà a morire, dopo la fine, nel disagio e nelle difficoltà del figlio. Ma pure serenamente confessa di essere ancora viva anche grazie al suo figliolo, al tenace desiderio di non lasciarlo solo. Parto da qui, da un?esperienza concreta e sofferta, per dire che per il ?dopo di noi? servono innanzi tutto una riflessione seria sul dolore e la morte, e un approccio esistenziale, non immediatamente tecnico, scientifico o sociologico. È l?unico modo per cercare risposte vive. Siamo unici e contemporaneamente parti di un tutto che ci trascende e che ci completa. L?altro, anche il drammaticamente altro, ci raggiunge, ci ?disturba?, ci provoca. L?angoscia dei genitori che hanno figli non completamente in grado di prendersi cura di sé (da un grado che coinvolge i bisogni primari a uno complesso che interpella le molteplici esigenze della vita di relazione) è un?ombra terribile perché è un dolore che si amplifica con il pensiero e l?evidenza della morte, della propria morte, sino ad arrivare nei casi estremi a concepire l?unica soluzione nella contemporaneità della morte, propria e del proprio figlio. Non sempre si ha l?energia per queste situazioni della vita che costringono ad aprirsi agli altri. Un?apertura che può divenire continua esperienza di trasformazione, superamento di stati che sembrano immutabili. In questa apertura abitano spazi esistenziali prima inimmaginabili, che per essere visti e vissuti hanno bisogno che ci decentriamo dalle nostre posizioni. Può così apparire uno spazio di crescita di bene comune, uno spazio visibile di trasformazione positiva, per tutti, del dolore. Uno spazio dove la debolezza e il limite non solo assumono dignità ma diventano patrimonio di valore e di senso comunitario. Non si tratta di far fare alle parole ?salti di normalità?: handicappati, portatori di handicap, diversamente abili. Ma di far tornare le parole a essere fonti di vita. In tal senso tutti siamo handicappati, abbiamo limiti che richiedono comunanza, vicinanza, qualità della relazione per divenire non carceri ma aperture reali al mistero della vita. Con questo desiderio di aprire uno spazio di crescita di bene comune, Cgm, assieme a Finassimoco e Confcooperative Federsolidarietà, ha costituito il consorzio Solidalia, società di mutuo soccorso che intende affrontare il dopo di noi, elaborando una visione comune tra i soggetti coinvolti che faranno poi scelte singole e responsabili, con modalità diverse. La mutua è un metodo prima che un mezzo, implica l?ascolto, il riconoscimento e la mutualizzazione dei bisogni di tutti, nella consapevolezza che servono risposte multiple o meglio reazioni positive che traducono risposte multiple. Perché la vita non è frazionabile, non la si può risolvere in parte. La vita è vorace: vuole essere affrontata tutta insieme, e tutta insieme accolta. Così non c?è un aspetto dei servizi, dell?assistenza, della sanità, disgiunto dal fattore abitazione (e di un?abitazione che abbia certe caratteristiche), a sua volta disgiunto dal lavoro o dalle questioni amministrative? Mai come in questo àmbito, mezzi e fini si devono parlare. Non si possono pensare mezzi distinti dalle finalità. Giacché il dopo di noi è un problema relazionale prima che di cose da fare. L?angoscia di morte si supera solo se reciprocamente ci aiutiamo a prendercene carico e se costruiamo percorsi di liberazione reali da questa angoscia. Percorsi di cui ci si può fidare. E in cui ci si può affidare reciprocamente (i genitori rispetto alle cooperative, le cooperative rispetto a chi si occupa della finanza e rispetto ai decisori pubblici, e via dicendo). Per fare questo ci vuole tempo e soprattutto si deve cominciare in tempo, non aspettando l?ultimo istante del dramma. Questo mi piacerebbe divenisse il consorzio Solidalia: un cammino comune in cui la fiducia, il capitale sociale, l?esperienza condivisa aiutino tutti a intraprendere strade nuove. Così paradossalmente dai percorsi di morte nascerebbero percorsi di vita che ci liberano dal carcere individuale, che è il vero problema dell?angoscia della morte.


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