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L’altro buco della TAV

Sul fronte francese la protesta non c’è stata. Così i lavori di ricognizione sono iniziati. E sono spuntati nuovi problemi che hanno allarmato tutti

di Redazione

Nella pancia della montagna si scava senza sosta. Sette giorni su sette, 24 ore su 24. Tre squadre di operai si danno il cambio sulle ruspe per rosicchiare qualche metro alla roccia, blindare le pareti con centine telescopiche e trascinare via l?enorme mole di detriti sbriciolati dalla dinamite. Lì nel buio della ?discenderia? di Modane/Villarodin – Bourget non c?è tempo da perdere. Entro tre anni il cunicolo esplorativo di 4 km (avviato nel 2002 e oggi arrivato solo a 1,6 km) dovrà raggiungere – servendo come galleria per la manutenzione e il soccorso – il futuro ?tunnel di base?, il serpentone di 53,1 km su cui scorrerà il treno ad alta velocità/ capacità nella tratta Venaus – Saint-Jean de Maurienne. Binario vivo Ma se in Val di Susa la Tav assomiglia sempre più a un binario morto (quasi 30 mesi il ritardo sul tabellino di marcia), anche oltre frontiera non mancano i grattacapi. Prima, a rallentare i lavori e a contribuire al lievitare dei costi (ora la stima è del 30/40% in più sul budget ), ci ha pensato la querelle con Eiffage, la multinazionale francese a capo del raggruppamento di imprese vincitore dell?appalto che vedeva tra le sue file anche la Rocksoil della famiglia dell?ex ministro ai trasporti Lunardi. Nel 2004, in corso d?opera, il sesto gruppo di costruzioni in Europa con 7 miliardi di fatturato e quotato in Borsa a Parigi, batteva cassa chiedendo più risorse perché sopraffatto dalle ?sorprese geologiche?: rocce difficili da trattare e acqua che sgorga abbondante da tutte le parti. «Pretese anormali», quelle di Eiffage, secondo Lft – Lyon Turin Ferroviare, la società mista italo-francese che fino al 2009 ha a disposizione 535 milioni di euro per gli studi di progetto e i lavori di ricognizione. Annullato il contratto, non senza una scia di polemiche, l?opera è stata riappalta per 52 milioni alle imprese Razel (capomandataria), Bilfinger – Berger (società tedesca che controlla la francese Razel) e Pizzarotti, l?azienda di Parma finita nel 93 sul banco degli imputati di Mani Pulite con l?accusa di corruzione per il titolare Paolo Pizzarotti, che ora, passato indenne nella bufera, ha risalito la china fino a soffiare pochi mesi fa ad Astaldi l?acquisizione del gruppo piemontese Garboli. Ma non tutto fila liscio neanche nelle altre due discenderie. A La Praz i lavori sono appena partiti mentre nel terzo cunicolo, quello di Saint-Martin La Porte, a pochi chilometri da Saint-Jean de Maurienne, la montagna non ne vuole sapere di ruspe e trivelle. La colpa è di un minerale carbonifero che si sposta, l?houllier: qui non si riesce a strappare alla roccia che un metro di terreno al giorno contro i nove metri di Modane. I tecnici allargano le braccia: «Quando si scava non si ha mai la certezza di cosa viene fuori». Ora però il prossimo ostacolo è il rischio che la febbre barricadera dei dirimpettai italiani No Tav possa contagiare i cugini d?Oltralpe. Per il momento non esiste una vera opposizione organizzata, ma incominciano a spuntare gruppi di dissenso. Alla vigilia della commissione pubblica d?inchiesta francese, nella quale a fine maggio gli enti locali potranno esprimere le proprie perplessità sull?opera, i vertici di Ltf hanno incontrato i cittadini nel piccolo centro di Lanslebourg illustrando i progetti. La sala gremita di oltre 200 persone – presenti anche una cinquantina di No Tav valsusini – ha risposto con toni accesi. «Siamo un pugno di abitanti in fondo a una delle valli più povere d?Europa», dice Pierre, un ambientalista. «Per discutere voi italiani avete almeno la Regione Piemonte. Da noi il ruolo del dipartimento a Lione è solo di supervisione e Parigi non tiene in gran conto le nostre opinioni. Almeno ci dicano che per l?idea di modernità si può sacrificare la Maurienne e i suoi abitanti». Rischio amianto? Sul tavolo ci sono le preoccupazioni di sempre: l?amianto, il radon e le discariche in suolo francese che dovranno ospitare 10 milioni di metri cubi di materiali di scarto non recuperabile, compresi quelli degli italiani. Le rilevazioni del Politecnico di Torino e dell?Arpa escludono il pericolo radioattività. Anche sul fronte amiantifero, secondo gli studi, la possibilità di incontrare rocce di quel tipo è limitata a una tratta del tunnel di Bussoleno e comunque la tecnologia, garantisce Ltf, è in grado di arginare o rischi. Malgrado le assicurazioni, nel ?partito? No Tav, il Collectif de Savoie contre le Lyon-Turin, sono entrate anche associazioni che fino a pochi mesi fa sostenevano la politica delle merci «tout en tunnel». Racconta Annie Collombet, presidente di Vivre a Maurienne: «Delle istituzioni non ci fidiamo più. I sindaci non alzano ciglio. Ci avevano promesso che l?alta capacità avrebbe tolto di mezzo i tir. E invece i camion sono aumentati: sono quelli delle ditte che trasportano i materiali di scavo. Ora è stata annunciata l?apertura di una seconda galleria nel tunnel del Frejus. Ci sentiamo presi in giro». Le autorità affermano che il raddoppio sarà utilizzato solo come via di sicurezza e non per la circolazione dei tir. «Sì, una doppia canna che misura 8 metri quasi come i 9 di quella ufficiale. Un escamotage che non convince nessuno», sbotta André Champion, presidente di Reagir, l?associazione che in questi anni più si è schierata contro l?inquinamento dei mezzi pesanti in Maurienne. Allora, oui Tav ou non? «Siamo favorevoli solo con regole chiare. Ovvero tasse su mezzi pesanti per costringerli a spostare le merci sui binari. Oggi è già in funzione il ferroutage, il sistema di trasporto camion su treno inaugurato nel 2003 tra Aiton a Orbassano, che purtroppo però viaggia inesorabilmente vuoto. Non vogliamo che la pioggia di miliardi di finanziamenti pubblici vada a realizzare l?ennesima cattedrale nel deserto»


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