Attivismo civico & Terzo settore

Individualismo, ultimo atto

Un Paese di individui soli è un Paese che non va lontano: così il premier inglese Gordon Brown. L'editoriale di VITA Magazine con uno sguardo alla situazione italiana

di Giuseppe Frangi

Si parlerà a lungo della proposta lanciata da Gordon Brown il 24 luglio. Il premier inglese sembra davvero aver ingranato una marcia destinata a spazzare una stagione: quella contrassegnata dalla supremazia assoluta dei diritti individuali. Dice Gordon Brown: un Paese di individui soli, schierati uno contro l?altro, è un Paese che non va lontano. Se non ridiamo energie a un?idea nuova di comunità, non andremo lontano. Di qui la decisione di un grande investimento in tutte le forme di volontariato, di imprenditoria sociale. Sono misure positive, che funzionano da risposta a quella critica lanciata qualche giorno prima da Brown sull?abuso di droghe leggere nella società inglese. Certamente come VITA e come Vitaeurope.org (il nostro portale che mette in rete il non profit continentale e che sta riscuotendo sempre più interesse) seguiremo con grande attenzione e interesse lo sviluppo di questa svolta annunciata dal premier inglese. Intanto possiamo rivolgere lo sguardo all?Italia, per segnalare una tendenza che va in direzione opposta. Il riferimento è alla sentenza che ha prosciolto l?anestesista Mario Riccio che sette mesi fa aveva staccato la spina a Piergiorgio Welby. La sentenza del giudice dell?udienza preliminare ha detto che Riccio ha fatto il “suo dovere” nell?applicare la volontà del paziente. Dal che si possono dedurre alcune conseguenze che non possono non far riflettere. E inquietare. Ad esempio che i medici i quali non accettassero di “togliere la spina” in casi analoghi, cioè di fronte all?espressa volontà del paziente, dovrebbero essere a rigor di logica puniti. Leggere la vicenda in una chiave di scontro confessionale è assolutamente parziale e sviante. Qui c?è in gioco una concezione di libertà individuale che è la stessa idea contro cui Gordon Brown si è giustamente mobilitato. È l?idea che la libertà non è frutto di una relazione, di un rapporto, di un confronto, ma è un processo che vede l?individuo alle prese solo con se stesso. Nel caso specifico, la libertà del paziente è quella espressa (e messa magari su carta il giorno che diventasse legge il testamento biologico), riducendo il rapporto con il medico a quello con un notaio («una scimmia ammaestrata», ha detto Luciano Gattinoni). È probabile che nel caso di Welby le cose non siano andate affatto così, che il rapporto tra Riccio e il suo paziente ci sia stato, che ci sia stata anche una condivisione di giudizi sul da farsi. Ma se così fossero andate le cose, allora sarebbe fuori luogo parlare di “dovere”. È decisione condivisa tra medico e paziente all?interno di una relazione. Una decisione se si vuole discutibile, ma nata in una modalità ancora “umana”. Invece la sentenza parla di dovere e ci riporta quindi a un?idea di libertà individuale che è tanto irrealistica quanto disperante. «L?autodeterminazione del paziente» di cui parla il nostro amico Luigi Manconi è davvero una triste dimensione, che camuffa un?illusione di potenza con una solitudine ultimamente angosciante e senza soluzione. Una deriva che, con la lucida passione che lo contraddistingue, Pietro Barcellona aveva previsto qualche anno fa. «La pretesa della costituzione autoreferenziale dell?individuo, che non è mediata dal rapporto sociale, che non riconosce, cioè, l?individualità come processo sociale, non rappresenta un momento evolutivo, ma l?astratta proiezione “fantastica” dell?individuo nella “coscienza trascendentale” del soggetto astratto, titolare di diritti astratti». Per questo la sfida lanciata da Gordon Brown è più che mai una sfida che ci riguarda e ci interessa.


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