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Comunità inquiete. Paradosso: rischia chi è più professionale

Intervento di Gino Rigoldi

di Redazione

È stato uno dei primi a raccogliere l?allarme lanciato da don Mazzi («In Lombardia su 2.200 posti disponibili in comunità, sono occupati poco più che la metà), ma di certo don Gino Rigoldi, fondatore di Comunità nuova sarà l?ultimo a gettare la spugna: «Ho un presentimento: l?eroina presto tornerà inquinare i nostri ragazzi».

Che non si tratti di una boutade oltre alla storia del personaggio «lo dimostrano i dati sulla produzione mondiale di oppio, ma anche le prime segnalazioni che mi arrivano da due città-spia come storicamente sono Trento e soprattutto Genova». In questa prospettiva «le comunità torneranno naturalmente ad avere un ruolo di primo piano, come accadeva fino a qualche anno fa». Restando al presente il problema rimane.

«Che l?offerta comunitaria sia superiore alla domanda è tanto più vero oggi, ma lo era anche prima quando mediamente erano occupati il 70% dei posti». A rischiare di più, secondo don Rigoldi, sono però proprio quelle realtà che hanno intrapreso la strada della professionalizzazione e della diversificazione degli interventi: «I nostri operatori sono nella stragrande maggioranza formati e stipendiati, se le banche non fossero disponibili a farci prestiti, in virtù delle nostre dimensioni e della nostra storia, dovei chiudere bottega». Differente il caso di esperienze come quella, per esempio, della Comunità Incontro. «Lì gli operatori sono ex tossicodipendenti rimasti in comunità, si può capire bene che il costo del lavoro per don Gelmini pesi molto meno rispetto a chi si avvale di professionisti laureati».


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