Famiglia & Minori

Ragazzi,sentitevi a casa

Nuove frontiere/1. Affidi omoculturali

di Redazione

Il 2007 è stato l’anno record: a Parma, su 101 minori stranieri non accompagnati presenti in città, solo tre sono stati affidati a comunità educative. Ben 76 hanno trovato una famiglia. Tutto il contrario di quanto accadeva solo pochi anni fa, nel 2000 per esempio, quando su 117 ragazzini stranieri in città senza i genitori, 58 erano finiti in comunità e solo 22 in famiglia. Il cambio di mentalità (e di prassi) è legato all’avvio del progetto Minori stranieri non accompagnati. E la cosa più straordinaria è che in moltissimi casi le famiglie affidatarie non sono fatte da italiani generosi e benestanti, come si potrebbe immaginare, ma da stranieri, a loro volta alle prese con le difficoltà del percorso migratorio.
Si chiama affido omoculturale, e in Italia è una novità. L’esperienza di Parma, partita appunto nel 2000, è la più vecchia e strutturata, avendo già sulle spalle oltre 230 affidamenti omoculturali conclusi sui 398 totali che hanno avuto per protagonista un minore straniero non accompagnato; a Milano un progetto simile è iniziato nel 2007 e Genova ha appena stanziato un finanziamento ad hoc. «Siamo partiti da un dato di fatto», spiega Matteo Fornari, responsabile del progetto, un passato da educatore in comunità, «da noi come in tutta Italia aumenta il numero di minori stranieri non accompagnati. Si tratta soprattutto di adolescenti, dai 15 ai 17 anni, quasi sempre maschi, che arrivano in Italia senza i genitori ma con il loro appoggio, con la consapevolezza che il loro status di minori può favorirli nel percorso di regolarizzazione». Li chiama “migranti economici”: arrivano in Italia attraverso la criminalità organizzata, ma non sono vittime della tratta. Vengono per lavorare (a Parma spesso per fare i muratori) e si dirigono qui piuttosto che altrove perché hanno già un parente o un amico, o anche solo un conoscente, qualcuno che l’estate prima è tornato al paese in vacanza vantando le meraviglie italiane. I minori stranieri non accompagnati presenti a Parma arrivano quasi tutti da Albania, Marocco, Tunisia e Moldavia: guarda caso le comunità più numerose del territorio.
Una volta in Italia, il chiodo fisso di questi adolescenti è uno solo: avere il permesso di soggiorno. La comunità educativa è sempre sembrata la strada più sicura, così che la rete di parenti e amici restava nell’ombra, per timore di essere d’intralcio: «Il primo scoglio è stato far emergere la rete, far capire allo zio, al cugino, al fratello che venendo allo scoperto e prendendosi la responsabilità formale del minore non solo lo aiutava nel percorso di crescita, ma gli garantiva anche una regolarizzazione con più tutele: il permesso di soggiorno per affidamento permette di lavorare e viene rinnovato al compimento dei 18 anni, quello per minore età no».
Non che da lì in poi la strada sia stata in discesa: si tratta pur sempre di adolescenti, che al normale sconvolgimento legato all’età aggiungono lo spaesamento dell’essere catapultati in una realtà completamente estranea. Ecco allora che l’essere inseriti in una famiglia affidataria della stessa etnia e cultura offre una marcia in più: non c’è la barriera linguistica, è più facile decodificare i bisogni e i comportamenti dei ragazzi e pure mantenere i rapporti con i genitori, la famiglia diventa un modello di percorso positivo, sa quando è il caso di premere sull’accelaratore dell’integrazione e quando porre un freno all’assimilazione, garantisce l’inserimento con i coetanei connazionali: «Il disagio di questi ragazzi cala notevolmente se sono inseriti in famiglia», conferma Fornari, «poiché lo sradicamento culturale in questo modo è molto attenuato». E non è detto che la famiglia dei parenti più vicini sia anche la migliore: gli abbinamenti vengono fatti caso per caso.
Ma l’esperienza dell’affidamento omoculturale è anche un modo per valorizzare le famiglie straniere: non più utenti passivi di servizi, ma soggetti attivi di welfare. «Si crea un imprinting positivo nei rapporti con le istituzioni. Spesso al corso di alfabetizzazione per il minore appena arrivato ci va pure la moglie del cugino che lo accoglie, che fino a quel momento i corsi non sapeva neanche che esistessero», dice Fornari. Oggi la rete fuziona bene, tant’è che aumentano sempre più le famiglie disponibili a ripetere l’affido, anche con ragazzini con cui non hanno nessun vincolo di parentela o amicizia. O quelle che coinvolgono nell’esperienza altre famiglie, in un tam tam positivo. Adesso che le spalle si sono fatte grosse, a Parma spuntano anche nuovi esperimenti: una famiglia del Marocco, per esempio, ha preso in affido un ragazzino del Centrafrica. E un’altra famiglia, sempre marocchina, con due bambini piccoli e il terzo in arrivo ha chiesto aiuto con i due maggiori, per i primi mesi dopo il parto. Un affido brevissimo, che apre le porte su un altro universo: i minori stranieri accompagnati.


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