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canto di mattie dell’orgoglio italiano

musica Alessio Lega reincide un vecchio disco di Gianni Nebbiosi

di Redazione

La svolta è arrivata grazie a un concerto di Yoko Ono. A cui Alessio, allora ventenne studente fuori sede alla Scuola del Fumetto di via Savona, a Milano, non andò. Gli preferì il concerto, che si teneva in contemporanea, di Ivan Della Mea. E siccome era l’unico ragazzo presente, tutti attorno a lui, incuriositi da quell’ascoltatore fuori età. È lì che Alessio tira fuori la sua segreta passione per le canzoni di Gianni Nebbiosi, sentite da adolescente a casa di un amico di famiglia, a Lecce, che ai tempi dell’università aveva registrato un concerto di Giovanna Marini. La canzone parlava di matti e lo aveva talmente colpito che a 16 anni, quando andò con i suoi a Roma, Alessio cercò quel Nebbiosi dottor Giovanni sull’elenco telefonico: «Ah, sì er disco? nun ce l’ho manco io, sai com’è, lo dai a uno, lo dai all’altro?». Fatto sta che all’inizio degli anni 90 quel E ti chiamaron matta, sei canzoni incise nel 1971 per i Dischi del sole, era introvabile. Qualche copia in realtà c’era: le aveva Franco Coggiola nell’archivio dell’Istituto Ernesto De Martino, in via di trasloco da Milano a Sesto Fiorentino. Un paio di giorni dopo quel concerto di Yoko Ono, quando Alessio bussò alla porta dell’istituto, il portiere gli consegnò una busta da parte di Coggiola, con un biglietto e una copia del vecchio Ep. Oggi Alessio Lega ha 36 anni ed è a sua volta un cantautore: nel 2004 ha vinto la Targa Tenco per l’opera prima con l’album Resistenza e amore. Insieme a Rocco Marchi ha appena reinciso E ti chiamaron matta.
Vita: Una passione privata. Perché ha deciso di ritirare fuori quel disco?
Alessio Lega: Questo è l’anno delle celebrazioni, il 68, il 1848, la Costituzione? Ne volevo una anch’io, ma una meno sfruttata, dei trent’anni della legge Basaglia. Ma più che celebrare la legge in sé – non credo debba farlo un anarchico come me, soprattutto perché la legge ha i suoi limiti, specie nella parte che doveva costituire una rete territoriale in sostituzione dei manicomi – ho voluto raccontare il grande movimento di opinione che ha mosso l’Italia in quegli anni, una roba di cui andare orgogliosi. Il disco è del 1971, non del 1978.
Vita: Perché celebrare questo movimento d’opinione?
Lega: Trovo straordinario l’aver portato la follia in piazza, di fronte alla società intera, raccontandone le storie degli internati, facendone un tassello della vita sociale. È straordinario che così tanta gente sia scesa in piazza per una cosa che non riguardava tutti, come l’aborto o il divorzio: la follia di solito interessa chi ha avuto la sfortuna di averci a che fare e spesso anche quelli ne hanno una gran paura e la vogliono tenere nascosta? Una volta tanto un problema è stato sollevato, compreso e non lasciato cadere: questo disco è uno dei secchielli d’acqua portati al mare di una mobilitazione che ha tentato di trasformare un’utopia in una realtà. Non spetta a me dire se ci è riuscita, però ci ha tentato ed è una cosa di cui andare orgogliosi: c’è stato un tempo in cui l’Italia si è mossa in massa per chiudere dei lager, mentre oggi si muove in massa per farne di nuovi…
Vita: Chi è Nebbiosi?
Lega: Oggi uno psicoterapeuta che lavora a Roma. All’epoca uno studente che si stava specializzando in psichiatria e suonava il clarinetto: gli capitò di avere un forte esaurimento nervoso e finì ricoverato nei luoghi dove era operatore. Fu scioccante per lui. Nacquero così queste sei canzoni che raccontano storie di persone, con un piglio narrativo forte, di cui Giovanna Marini si innamorò al punto di fargli incidere quell’Ep per i Dischi del sole.
Vita: Le canzoni ti si conficcano in testa, sia per le parole sia per i campanelli e i ticchettii ossessivi?
Lega: Sono canzoni molto belle ma un po’ disturbanti: ti lasciano delle domande appese addosso, non c’è alcuna catarsi. La cosa interessante è che non stiamo parlando di una canzone: canzoni singole sui matti ce ne sono sempre state e ci sono anche adesso. Questo disco è una piccola operazione culturale, con una sua compattezza, un suo inizio e fine ideale: potremmo definirlo un cortometraggio, a metà strada tra l’operazione artistica e l’essere un documento dell’epoca. È per quello che anche noi lo abbiamo riproposto così, sei canzoni sullo stesso tema, per venti minuti: troppo corto per un concerto, con quel battere sullo stesso tema. Anche ora quelle canzoni pongono domande inquietanti su qual è oggi la forma di controllo sociale del malato di mente e ripropongono il tema, forse insolubile, se la malattia mentale esista oggettivamente o no, se è solo una malattia sociale?
Vita: Com’è l’impatto sul pubblico?
Lega: Com’è l’impatto su di noi!
Le proponiamo soprattutto in ex manicomi o in luoghi legati a questo tema, quindi ti trovi di fronte un pubblico particolare, perché chi viene spesso ha parenti o amici con questo problema, oppure è un operatore. Allora cantando susciti una reazione che è difficile gestire perché la gente ci viene spesso a raccontare esperienze personali che per noi non è facile sempre recepire. Ti trattano come se tu avessi avuto un ruolo attivo in questa vicenda, cosa che è vera solo in parte. Comunque sono contento, perché io credo nell’utilità dell’arte. Detto così suona un po’ ideologico, però in un tempo di minimalismo imperante a me piace continuare a credere che le cose siano belle perché sono in qualche misura vere.


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