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Sanità & Ricerca

Ong, serve più coraggio

ll primo dicembre si celebra la XXI Giornata mondiale per la lotta all’Aids

di Vittorio Agnoletto

Nelle ultime settimane si è parlato molto di “good news”, come direbbe Milena Gabanelli, sul mondo dell’Hiv/Aids. L’assegnazione del premio nobel per la medicina a Luc Montagnier e Françoise Barré-Sinoussi che per primi isolarono il virus nel 1983; l’annuncio del CNR di Pavia e dell’Università di Siena di aver scoperto una nuova molecola che,  neutralizzando l’enzima dd3x, blocca il virus nelle cellule umane; il caso di  un paziente tedesco sieropositivo e malato di leucemia che dopo un trapianto di midollo osseo aveva visto cancellarsi ogni traccia di Hiv nel sangue.

Senza negare l’interesse per queste notizie, e pur apprezzando la ribalta di qualche giorno che esse hanno offerto a una pandemia verso cui si è colpevolmente smesso di fare informazione e prevenzione, la realtà della XXI Giornata mondiale di lotta all’Aids – che si celebra il  1 dicembre – è fatta dagli ormai consueti ma tragici numeri dell’Unaids (il programma della Nazioni Unite contro l’Hiv/Aids): ventisette milioni di morti dall’inizio dell’epidemia, due milioni di decessi solo nel 2007, trentatre milioni di persone sieropositive viventi (settanta per cento delle quali in Africa sub-sahariana).

Le ricerche sui vaccini non offrono alcuna speranza nel breve termine e lo stesso Montagnier ha stimato in almeno quattro anni il tempo necessario per avere i primi risultati sul suo vaccino terapeutico, da applicarsi cioè alle persone già colpite dalla malattia. Allo stesso modo, i ricercatori (precari!) del Cnr di Pavia (legge 133 permettendo!) non impiegheranno meno di cinque anni per verificare che l’azione della molecola anti-dd3x, finora sperimentata in vitro, sia efficace anche nel corpo umano.

La via maestra rimane dunque la prevenzione e la garanzia dell’accesso universale alle cure antiretrovirali in modo da stabilizzare e invertire la curva di infezione, così come stabilito dall’obiettivo 6 della Campagna del Millennio delle Nazioni Unite.

Secondo le ultime stime basterebbero 42 miliardi di dollari da qui al 2010 ma, anche senza la crisi finanziaria globale scoppiata negli ultimi mesi, i Paesi ricchi non hanno finora previsto nessun piano credibile di copertura e hanno anzi tagliato nel 2007 dell’8,4 per cento l’ammontare degli aiuti pubblici allo sviluppo. L’Italia brilla ovviamente in negativo, visto che con la finanziaria 2009 la nostra cooperazione toccherà il suo punto di minimo storico, ossia lo 0,09% del Pil, conquistandosi la maglia nera tra i Paesi donatori.

Ma i soldi non sono l’unico ostacolo all’accesso ai medicinali salvavita. Le regole internazionali sui brevetti imposti dal Wto a vantaggio delle multinazionali continuano a mantenere troppo alti i prezzi dei farmaci di marca e al contempo bloccano lo sviluppo di un mercato internazionale di farmaci generici di qualità che, grazie a Paesi come India, Cina, Brasile e Malesia, consentirebbe l’abbattimento dei costi delle terapie antiretrovirali anche del 90 per cento.

Alla luce di questo stato di cose, come Movimento in difesa della salute pubblica globale occorre rilanciare, essere creativi e coraggiosi. La Commissione Europea, su stimolo del Parlamento Europeo, sta ultimando un piano strategico di lungo termine per il trasferimento di tecnologie farmaceutiche verso il Sud del mondo e per un rafforzamento delle capacità di ricerca e sviluppo in materia di malattie connesse alla povertà, malattie tropicali e malattie trascurate.

Perché allora, mentre si rivendicano finanziamenti adeguati ai progetti in corso e alle organizzazioni multilaterali quali il Global Fund, le Ong italiane non provano a concentrare e coordinare i propri sforzi sugli stessi due filoni di intervento, coinvolgendo le università, le grandi fondazioni e quel che resta dell’industria farmaceutica nazionale? Questa sì che sarebbe una “coalizione di volenterosi” (non quella di Bush in Iraq) e creerebbe un precedente in Europa che, sono sicuro, sarebbe seguito in molti altri Stati membri. E’ innegabile che spostando più a Sud l’asse della ricerca e della produzione si creerebbero finalmente le condizioni per sovvertire l’attuale sistema di invenzione e distribuzione dei medicinali salvavita.

E’ su questa strategia che in tempi di fallimento della globalizzazione liberista dobbiamo spingere come attivisti anti-Aids e come attivisti altromondialisti. E’ su questa strategia d’altro canto che l’Organizzazione mondiale della sanità ha deciso di investire con il gruppo di lavoro IGWG su “salute pubblica, innovazione e proprietà intellettuale”.


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