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Cooperazione & Relazioni internazionali

La pace si gioca qui

Il numero di Vita magazine in edicola pubblica il dialogo tra giovani musulmani ed ebrei. Un fatto piccolo, che ha lasciato una scia grande. Ecco l'editoriale del numero di Vita

di Giuseppe Frangi

Venerdì 9 gennaio nella redazione di Vita si è tenuto un incontro che ci ha lasciati tutti pieni di speranza. Attorno allo stesso tavolo c’erano le ragazze musulmane di Yalla Italia e due esponenti dell’Ugei, l’Unione dei giovani ebrei italiani. Quando abbiamo proposto alle une e agli altri di incontrarsi faccia a faccia e di discutere sulle ricadute di quello che stava accadendo a Gaza, pensavamo di ricevere cortesi dinieghi. Del tipo: non è questo il momento, lasciamo chetare le acque. La prima sorpresa invece è venuta dall’adesione immediata alla proposta, quasi fosse attesa, quasi ne avvertissero tutti il bisogno. La guerra infatti inghiotte le persone anche se viene combattuta a centinaia di chilometri di distanza, è come un domino inarrestabile, che seminando odio travolge anche le persone che vorrebbero sottrarsene. È difficile non farsi trascinare dalle emozioni, dal dolore, dalla rivendicazione dei diritti della propria gente. «Gaza, Italia» non è solo un titolo ad effetto. Fotografa il fatto che quel che stava accadendo in quel fazzoletto di terra, è tracimato anche qui. Ha cambiato i rapporti, ha rialzato muri, ha sospinto verso derive “monoidentitarie”. Il cammino e la crescita di quelle “identità plurali” documentati nell’ultimo numero di Communitas , è stato sospinto indietro. Il blog sul portale Vita.it condotto con intelligenza e con spirito costruttivo dalla nostra Lubna Ammoune, si era infiammato in quei giorni di reazioni appassionate e a volte segnate da una rabbia e da un risentimento profondo. Gaza era davvero arrivata qui.
Ma questi ragazzi volevano sottrarsi al diktat della guerra e nell’incontro hanno immediatamente colto l’occasione per rompere l’assedio. Il solo starci era un tirarsi fuori da quella logica senza sbocchi. Anche se magari a Gaza avevi perso un amico o un parente. Anche se il giorno prima qualcuno in piazza aveva bruciato la tua bandiera. Poi, una volta gli uni di fronte agli altri, ci si è accorti che si parlava la stessa lingua e che si desiderava in primo luogo la stessa cosa. Le differenze restavano, anche profonde; i punti di vista erano distanti. Ma il vedersi e il parlarsi non li facevano più sembrare differenze e distanze invincibili. L’altro non era nemico. Tant’è vero che da tutti è arrivata la stessa richiesta: che non finisca qui, che si vada avanti. Facciamo altri passi. Il prossimo numero di Yalla Italia darà spazio ai ragazzi ebrei, con interviste incrociate per andare al fondo delle rispettive ragioni.
Come dice Paolo Branca, che di questo incontro è il vero “padre”, è stata una cosa piccola. Ma così profonda da lasciare una scia grande. Perché ha dimostrato che si può partire da se stessi, senza “regalare” la propria vita ai fanatici di turno o ai generali dissennati. Partire da se stessi e quindi dalle relazioni con gli altri è già fare spazio alla pace. Questo non significa affatto rinunciare ai propri punti di vista e alla propria storia: partire da se stessi significa non censurare nulla di sé. Per questo ci si batte per il diritto di ciascuno, anche diverso da noi, a uscire allo scoperto, a raccontarsi, senza che la violenza soffochi la differenza. Se la pace oggi manca di leadership, possiamo dire che questi giovani si candidano a coprire questo vuoto.

Nella foto: un momento dell’incontro nella redazione di VitaRanda Ghazi, di Yalla Italia. Nella foto piccola, Randa Ghazy.


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