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Famiglia & Minori

Quei 70mila bambini che la scuola non sa di avere

Il caso dimenticato degli allievi adottati o in affido

di Benedetta Verrini

Per stranieri e disabili c’è una normativa di riferimento.
Per loro invece si naviga a vista. Eppure hanno vissuti pesanti. Per questo l’Aibi ha lanciato delle Linee guida La matematica non aiuta. C’è una legge di maggioranza che rende i bambini adottati, i minori in affido e i ragazzi fuori famiglia un imbarazzante problema nelle aule scolastiche. Gli studenti italiani sono circa 9 milioni. “Loro”, il problema, sono circa 60-70mila. Hanno una fisionomia complessa: gli adottati sono italiani o – più spesso – stranieri, con una famiglia molto presente ma una pesante storia di abbandono da elaborare. Per i minori in affido o fuori dalla famiglia il dolore non è solo alle spalle, è una quotidianità precaria, vissuta attraverso l’isolamento o l’aggressività.
Sono ragazzi come Margherita, che non accetta il metodo di lavoro “a squadre” della prof di spagnolo perché è meglio una nota che far sapere ai compagni che vive in una comunità. O come il piccolo Santiago, le cui maestre non comprendono le difficoltà: «Adesso che è stato adottato dovrebbe aver superato tutto, no?». O come Emanuele, che l’anno scorso a scuola ripeteva: «Tanto qui non resto, torno da mamma e papà». Ma quest’estate, mentre era in una colonia estiva, il Tribunale ha deciso che i suoi non sono ancora pronti a fare i genitori.

Si naviga a vista
Mosche bianche «che è fin troppo facile escludere, punire, bocciare», confessa una preside vecchio stampo, Giovanna Rosa Pifferi, dirigente scolastico in una scuola media e docente di Pedagogia e didattica presso l’Istituto di scienze religiose di Siena. «Se per gli stranieri o per i bambini con disabilità abbiamo una normativa cui fare riferimento e siamo aiutati all’inclusione, per questi ragazzi si naviga a vista». Anche combattendo con insegnanti stremati o demotivati, che dicono di non potersi trasformare in assistenti sociali o di non poter ritardare il programma.
«Come dirigente spesso dico che noi, come scuola, non possiamo infilarci in quello stesso giro di abbandono che ha reso questi ragazzi così difficili», dice la Pifferi. «Dobbiamo dar loro obiettivi raggiungibili, anche se non sono allineati con gli standard comuni. Siamo educatori e dunque non dobbiamo riempire le teste, ma fare teste che ragionano. Tutto questo, però, non si può improvvisare. Abbiamo bisogno di punti di riferimento comuni, una formazione specifica per gli insegnanti, un progetto condiviso tra scuola, famiglia e servizi».

Fuori dalla porta
È di questo che il 24 e 25 agosto si è parlato al convegno internazionale di AiBi «Emergenza educativa. Adozione, affido e leaving care tra scuola e famiglia». Assente ingiustificato, forse proprio per la dittatura dei numeri, il ministero dell’Istruzione. «È vero e ci dispiace», spiega Marco Griffini, presidente di Amici dei Bambini. «Perché questo è un tema fondamentale per le famiglie e rappresenta un pilastro nella battaglia per i diritti di questi ragazzi. La scuola è un momento cruciale per l’inclusione nella società di un bambino dal vissuto difficile». Lo dice anche da genitore, Griffini, che ricorda ancora le difficoltà di uno dei suoi ragazzi, «che ha trascorso più tempo fuori dalla porta che in classe».
La più brutta delle punizioni, l’esclusione fisica dalla comunità dei compagni. «La non accoglienza della scuola è un costo che poi si paga in futuro a livello sociale», aggiunge Roberto Maurizio, educatore e psicologo, esperto dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, ricordando i rischi del drop out scolastico. «Questa tipologia di studenti si trova in una zona grigia, in cui i problemi cognitivi o psicologici non sono stati certificati, perciò la loro gestione ricade sul buon senso degli insegnanti e sulle buone pratiche del singolo istituto». Risposte troppo deboli, perché «la scuola è un’agenzia educativa e ha una responsabilità, fissata a livello costituzionale, di affrontare anche le situazioni più specifiche», avverte Maurizio. Come fare? «Bisogna abbandonare il totem del programma e saper rispondere alla solitudine di questi bambini».
Un’indicazione raccolta al convegno AiBi, dove è stato elaborato un documento di Linee guida per la scuola. Queste prevedono una concreta sinergia tra famiglie, sistema educativo e sistema di tutela dei ragazzi, oltre a un percorso che tenga conto di tempi e modi personalizzati nell’inserimento scolastico e nel passaggio di grado. Infine, un uso flessibile di strumenti già esistenti come il piano studi personalizzato, che tenga conto delle reali capacità di ogni studente e preveda particolari strategie d’apprendimento. Se recepite dal ministero, le Linee guida serviranno per valorizzare le capacità di tutti, ma proprio tutti, gli studenti italiani.


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