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Granata: «Meglio non farne nulla»

Alla vigilia della ripresa dei lavori parlamentari, l'uomo di Fini frena sul testamento biologico

di Sara De Carli

Martedì la Commissione Affari sociali della Camera riprende la discussione sulla legge sul testamento biologico. Ma mentre Silvio Berlusconi accelera i tempi, citando il testamento biologico come strada attraverso cui «consolidare» i già «eccellenti» rapporti con la Chiesa, l’uomo di Fini – l’onorevole Fabio Granata – rompe nuovamente le righe dicendo che, sul testamento biologico, «se si lasciassero le cose come stanno, non sarebbe una cattiva idea». Granata è l’uomo che ha firmato le due proposte di legge più discusse dell’estate: cittadinanza per gli immigrati, scritta a quattro mani con il deputato-giornalista del Pd, Andrea Sarubbi e quella, appunto, che autorizza la sospensione di alimentazione e idratazione artificiali, scritta con il deputato-filosofo Eugenio Mazzarella (Pd anch’esso).
In realtà non si tratta di una proposta di legge, ma di alcuni emendamenti al testo Calabrò che si propongono – recita il testo su cui Mazzarella sta lavorando per presentarli – di «garantire uno stato interpretativo aperto delle decisioni di fine vita, affidato all’alleanza terapeutica tra medico e paziente», poiché il dilemma etico «non può essere sciolto ex ante nella norma, ma va sciolto ogni volta nella situazione concreta».

Vita: Qual è la ratio della vostra proposta?
Fabio Granata: È una mediazione umanamente sostenibile tra il rispetto della volontà del paziente e la valorizzazione dell’alleanza terapeutica. Reintroduciamo la possibilità di autodeterminazione e del testamento biologico, però dentro la relazione fiduciaria tra medico e paziente.
Vita: Vuol dire che il testo Calabrò la toglie?
Granata: Mi sembra evidente.
Vita: Per voi alimentazione e idratazione sono forme di sostegno vitale, ma il paziente può rinunciarvi e il medico potrà disattendere tale volontà «solo nel caso di motivate prospettive di beneficio terapeutico».
Granata: Il beneficio reale prevale sul principio di autodeterminazione. Per questo dico che la nostra è una posizione pragmatica, per cui le dichiarazioni anticipate di trattamento perdono quel carattere rigidamente vincolante e anche legittimamente preoccupante della disposizione testamentaria scritta una volta per tutte e perennemente valida, in favore di una interpretazione aperta, che accetta l’inevitabile “work in progress” di una volontà che trova la sua concreta definizione al letto del malato, anche incosciente, in un rapporto continuo tra medico, familiari o fiduciario. Detto fra noi, questo è ciò che avviene abitualmente.

Per leggere l’intervista integrale clicca qui.


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