Famiglia & Minori

Porte aperte ai bimbi speciali

Aibi, prima in Italia, ha inaugurato un servizio ad hoc per gli "special needs"

di Redazione

Minori con problemi comportamentali, disabili, maggiori di sette anni o gruppi di fratelli. «I timori dei genitori spesso sono infondati», spiega Marco Griffini Nel mondo dell’adozione li chiamano «children with special needs», bambini con bisogni speciali. Di speciale hanno soprattutto il fatto che nessuno li vuole. Bambini traumatizzati o con problemi comportamentali, bambini con handicap fisici o mentali, bambini con più di 7 anni, gruppi di fratelli. Sono loro a rappresentare la parte più consistente dei minori inseriti nel circuito dell’adozione internazionale. Dovrebbero avere la priorità, eppure sono i paria del circuito adottivo. Ancora pochissime coppie sono disposte ad accoglierli. Il fenomeno è così macroscopico che il Bureau di diritto internazionale privato presso L’Aja vi ha dedicato un intero capitolo nella Guida alle buone prassi sull’applicazione della Convenzione dell’Aja. Le Linee guida sono state pubblicate a inizio estate e invitano tutti gli Stati firmatari a sensibilizzare le famiglie «per non alimentare una domanda non necessaria e irrealistica di bambini sani e molto piccoli».
«Raccomandazioni coerenti con l’attuale situazione dei minori abbandonati nel mondo e con lo spirito di sussidiarietà che l’adozione internazionale dovrebbe avere», commenta Marco Griffini, presidente di AiBi. La sua associazione, prima in Italia, ha dedicato un intero settore operativo, con uno staff appositamente formato, ai bambini con bisogni speciali. Le famiglie che si rivolgono ad AiBi vengono sensibilizzate. Sul sito (www.aibi.it) vengono pubblicati gli annunci dei casi difficili in attesa di abbinamento. Una frontiera che AiBi condivide col Ciai, come conferma Graziella Teti: «Questo già oggi è il presente dell’adozione internazionale, la maggior parte dei bambini per cui lavoriamo hanno bisogni speciali, in America Latina siamo specializzati su bambini dai 7 agli 11 anni e gruppi di fratelli».
Alcuni Paesi esteri, come Colombia e Cina, hanno iniziato a inviare schede individuali relative agli special needs. «Nei primi sei mesi del 2009 ne abbiamo ricevute 4.108, provenienti da soli 4 Paesi», dice Griffini. Il numero è così impressionante che la Commissione adozioni internazionali ha chiesto all’AiBi di illustrare la situazione. Per l’Italia è una nuova frontiera: «Dobbiamo lavorare per far capire alle coppie che sono quelli i loro figli. E che, come avviene nella filiazione biologica, non è possibile avere il pieno controllo sulla vita che si sta per accogliere», commenta Griffini.
La strada è ancora lunga, visto che gli italiani sembrano andare nella direzione opposta. Nei primi sei mesi del 2009 sono aumentati i decreti di idoneità “mirati”: il 26,5% dei futuri genitori ha ottenuto dal Tribunale di scegliere etnia, Paese di provenienza, sesso, stato di salute ed età (in genere 0-3 anni) del minore da adottare. Con tante coppie in attesa di un bimbo “su misura” è difficile fare politica di accoglienza. «Noi chiediamo a tutti di riflettere anche su questa possibilità, senza escluderla a priori. Molti special needs presentano situazioni risolvibili». In effetti, spesso esiste un drastico scarto tra ciò che è considerato handicap in un Pvs e ciò che quel problema diventa in un Paese occidentale. Le Linee guida dell’Aja parlano chiaro: i bambini con bisogni speciali non devono essere discriminati. Per questo gli Stati devono attivare forme di cooperazione perché ci sia una perfetta conoscenza delle schede sanitarie e della storia del minore. La collaborazione deve proseguire in fase di abbinamento, per valutare se le coppie hanno le risorse per accoglierli. L’impegno degli enti autorizzati nel settore degli special needs va premiato, soprattutto in termini di accreditamenti e autorizzazioni presso gli Stati d’origine.
Il percorso si completa con un servizio di post adozione particolarmente attento. «Abbiamo convenzioni con strutture sanitarie per aiutare le coppie a valutare la scheda medica del minore, oltre che per l’assistenza in caso di successiva adozione», spiega Griffini. «Anche per noi è quella la fase più delicata su cui investiamo maggiormente», conferta la Teti.


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