Dieci e lode ai bimbi rom. La scuola che non t'aspetti
12 Marzo Mar 2010 0100 12 marzo 2010Flaviana Robbiati, maestra di frontiera nella periferia milanese
Flaviana Robbiati, maestra di frontiera nella periferia milanese
È una delle insegnanti che nelle scorse settimane sono uscite pubblicamente per chiedere che gli sgomberi non impedissero ai bambini di continuare ad andare a scuola. «Di 36 ne sono rimasti 16. Alcuni per
venire qui attraversano la città. Ma averli in classe
è una fortuna»
I materassi, le bombole del gas, le coperte pesanti - insomma le cose più preziose - le avevano già portate via. Il 15 febbraio, il giorno prima dello sgombero, hanno messo al sicuro le cartelle dei bambini: sono rimaste a scuola. «Mi feriva l'idea che le ruspe passassero sopra i quaderni dei bambini, è un simbolo terribile di disprezzo per il loro impegno e di non riconoscimento del percorso fatto». A parlare così è una maestra. Si chiama Flaviana Robbiati e insegna alla scuola elementare di via Feltre, a Lambrate. La mattina dello sgombero del campo rom di Segrate, lei era lì. Insieme ad altre maestre e ad alcuni genitori italiani, papà e mamme dei compagni di classe dei 16 alunni rom romeni del campo. Da Lambrate a Segrate, primo comune dell'hinterland a nord-est di Milano, ci sono sì e no 5 chilometri. Di tanto si sono spostati i rom dopo lo sgombero in tenuta antisommossa che il 19 novembre 2009 ha cancellato il campo di via Rubattino: chissà di quanto si sposteranno ora, che un'ordinanza ha cancellato anche le nuove baracche. Quel che è certo è che gli sgomberi non stanno cancellando le relazioni: i bambini continuano tutti ad andare a scuola. E se nei giorni più critici hanno dormito a casa dei compagni italiani per necessità, ora capita che ci dormano per amicizia. Flaviana, insieme ad altre colleghe, è in prima linea in quella che non è una battaglia ma una storia d'amore. Come prova la lettera che il giorno prima dello sgombero hanno scritto ai loro alunni rom: «Vi insegneremo centomila parole, perché nessuno possa annientare chi come voi non ha voce. Ora la vostra voce siamo noi. Grazie per essere nostri scolari».
Vita: È la prima volta che a Milano c'è tanta mobilitazione per i rom. Perché?
Flaviana Robbiati: Ci siamo ritrovati dentro. Di fronte a un'ingiustizia così grande, come si fa a rimanerne fuori? Mi stupisce il contrario, che faccia notizia chi come noi difende i bambini e non chi ne calpesta i diritti. Quando ci sono in ballo bambini italiani non funziona così.
Vita: Quando è iniziata questa storia?
Robbiati: Nel settembre 2009, quando nove bambini rom si sono iscritti nelle scuole di via Feltre, via Pini e via Cima. Eravamo abituati a lavorare con i bambini stranieri, non ci sono stati problemi. Però abbiamo iniziato a conoscere un mondo.
Vita: Come è andata?
Robbiati: Erano alla prima esperienza scolastica, facevano la quarta ma sapevano appena riconoscere le lettere. Il vero problema però non è stato didattico, ma educativo: erano bambini che stavano sempre con gli occhi bassi, che non avevano desideri, che non dicevano mai di no. L'idea che avevano è che nel mondo gagè è inutile esprimersi, tanto si è ignorati. Abbiamo lavorato, senza fare miracoli: a settembre, quest'anno, i bambini del campo di via Rubattino iscritti alle nostre scuole erano 36.
Vita: Poi l'annuncio dello sgombero?
Robbiati: Sì, e abbiamo organizzato una raccolta di firme e una fiaccolata di solidarietà. Maestre e genitori. Però abbiamo dovuto mandare avanti qualcuno a spiegare che le fiaccole non erano per incendiare le tende.
Vita: Lo sgombero c'è stato comunque.
Robbiati: Sì, ma 16 ragazzi hanno continuato a frequentare la scuola: il grosso del gruppo vive a Segrate. C'è un ragazzo di 16 anni che tutte le mattine da Chiaravalle accompagna qui due fratelli e un cuginetto. Due vengono da via Padova. Due ragazzi ora studiano ad Affori: la loro famiglia ha trovato casa là.
Vita: Le famiglie italiane non si lamentano che i rom rallentano la didattica?
Robbiati: Ma non la rallentano!
Vita: Mi ha detto lei che alcuni non sanno quasi scrivere?
Robbiati: Una classe non è un plotoncino. Non dobbiamo rallentare per buonismo; per professionalità dobbiamo essere capaci di far sì che ciascuno abbia il suo massimo.
Vita: Come si fa?
Robbiati: Poche lezioni frontali, molto lavoro a gruppi, tanta cooperazione fra bambini. L'alunno bravo che aiuta quello meno bravo non sta facendo un'opera di bene: sta rielaborando ciò che ha appreso, in modo molto più efficace di quel che ti costringe a fare un'interrogazione.
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