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Google La grande rete

di Riccardo Bagnato

Ogni giorno sul suo motore di ricerca si effettuano un miliardo di richieste. Negli ultimi 9 anni ha acquisito 187 brevetti e oltre 30 società.
In Borsa ormai vale 180 miliardi di dollari. Eppure fornisce servizi gratuiti. Ma solo all’apparenza. Perché in fondo il prezzo da pagare è davvero alto Benvenuti, ecco a voi Google. BigG per gli amici. La società che ha come motto aziendale «Don’t be evil», non essere cattivo.
È il motore di ricerca online più famoso al mondo, su cui ogni giorno vengono effettuate un miliardo di richieste, utilizzando 450mila server accesi 24 ore su 24. Ma il colosso di Mountain View è molto di più di un semplice, potente, efficace motore di ricerca. Lo sa bene Andy Grove, ex numero uno del gigante Intel: «È un’azienda cresciuta a steroidi, che ha mani e piedi in ogni settore dell’industria».

Dal software alle rinnovabili
Negli ultimi nove anni BigG ha acquisito 187 brevetti e oltre 30 società tra cui DoubleClick, YouTube e Blogger. Nel 2009 ha lanciato un fondo venture di 100 milioni di dollari per investire in settori quali: software, energie rinnovabili, biotecnologie, genetica, spazio, sanità. Google è anche il maggior canale di distribuzione di notizie (Google News) e di video (YouTube). Parallelamente intende costruire la più grande biblioteca virtuale di tutti i tempi (Google Books). Per questo motivo sigla accordi con istituzioni di tutto il mondo, per ultimo con il ministero dei Beni culturali italiano non più tardi di qualche settimana fa. Sia per Google Books sia per Google News, però, l’azienda si è trovata ripetutamente al centro di azioni legali intentate da editori e giornali nei suoi confronti per violazione del copyright.
Google gestisce un volume inimmaginabile di “dati”: navigazione, email, documenti di chi utilizza gli strumenti offerti gratuitamente online da BigG. Su questi dati Google elabora analisi molto sofisticate. Analisi che naturalmente può vendere.
Ma non basta essere “il” motore di ricerca. Serve avere il controllo dell’intero ciclo di vita degli utenti. Google è infatti presente nel mercato della telefonia mobile (ha lanciato il suo smartphone “Nexus One” e il relativo sistema operativo “Android”); offre software gratuiti come Gmail (la posta elettronica); un sistema operativo e un browser (Chrome); chat o servizi voip per telefonare online (Wave, Google Talk e Google Voice). Insieme a una serie di applicazioni per le più svariate esigenze dell’utente medio: Picasa per la gestione delle foto online; un pacchetto office con cui scrivere o fare presentazioni (Google Docs); una piattaforma per creare blog (Blogger); YouTube per i filmati (oltre 25 ore di video caricati ogni minuto); il social network Orkut e il nuovo sistema Buzz per rimanere connessi con gli amici (quest’ultimo oggetto di una class action negli Usa per violazione della privacy). Qualsiasi cosa ci venga in mente di fare online, Google vuole essere la piattaforma su cui farlo.
Per questo, la società fondata nel 1998 da Larry Page e Sergey Brin vuole sapere dove si trova ogni cosa: da dove viviamo (Google Maps e Google Earth) fino a dove vivremo un giorno (Google Moon e Google Mars). Anche in questo caso, però, BigG è stata trascinata in tribunale per aver mostrato online immagini di minori e persone in atteggiamenti imbarazzanti senza autorizzazione e di aver quindi violato la privacy degli utenti. Ciononostante Google vuole sapere tutto di noi e conserva per 18 mesi le tracce dei percorsi che lasciamo durante le nostre navigazioni sul Web. Ma non solo. Vorrebbe avere accesso anche ai nostri dati sanitari (Google Health), e disporre dei dati del nostro Dna per cui ha investito in due società di genetica: la Navigenics e la 23andMe, quest’ultima fondata da Anne Wojcicki, moglie di Sergey Brin.
Google ha però bisogno di elettricità per far funzionare i propri server e scambiare un’enorme quantità di dati via Internet al costo minore. Ecco perché il colosso di Mountain View intende «costruire e testare una rete ad alta velocità a banda larga» tutta sua, come annunciato a febbraio 2010 sul blog ufficiale dell’azienda. Non basta. Google ha pianificato il suo ingresso anche nel mercato dell’elettricità e delle energie rinnovabili con cui intenderebbe alimentare la propria struttura e soprattutto essere autosufficiente a livello energetico.

Da paladino a minaccia
Da paladino delle libertà digitali e amico della comunità open source, l’azienda che oggi ha un valore in Borsa pari a circa 180 miliardi di dollari e che permette ai suoi 20mila dipendenti di dedicarsi a progetti personali durante l’orario di lavoro, è al centro di un serie di indagini in tutto il mondo per violazione della privacy o abuso di posizione dominante sul mercato. Basti pensare alla recente condanna in Italia di tre dirigenti di Google, colpevoli per un video pubblicato su YouTube nel 2006 che mostrava maltrattamenti ad un bambino disabile, il cosiddetto caso “ViviDown”. Occhi puntati su BigG anche in Europa, dove un’indagine della Commissione europea studierà il comportamento dell’azienda, accusata di aver penalizzato nei risultati di ricerca alcune società concorrenti che operano sul web. In America Latina, invece, il Superior Tribunal de Justica brasiliano ha sentenziato che Google è responsabile dei contenuti pubblicati sul proprio social network Orkut, dando ragione a due teenager “offesi” da scherzi pesanti messi su alcune pagine del sito. E negli stessi Stati Uniti, dove un possibile esame antitrust è stato preannunciato sull’acquisto di AdMob, società specializzata nella pubblicità su cellulari. Per finire, ma si fa per dire, ancora in Italia: qui l’Autorità per la concorrenza ha infatti deciso di estendere l’istruttoria per possibile abuso di posizione dominante, avviata l’estate scorsa, sulle condizioni imposte agli editori italiani dei siti web nei contratti di intermediazione per la raccolta pubblicitaria online.

Follow the money
Sullo sfondo la madre di tutte le accuse: l’assenza di trasparenza. Di Google infatti sappiamo solamente ciò che lo stesso Google ci ha voluto – bontà sua – comunicare. Eppure di noi vuol sapere tutto: le nostre abitudini, i nostri gusti, le nostre inclinazioni, mentre noi non siamo in grado di sapere altrettanto sul suo conto. Semplice: BigG ha un fatturato annuo di oltre 20 miliardi di dollari. Il 97% dei suoi ricavi proviene, però, dalla pubblicità online, settore di cui Google detiene oltre il 70% di market share. Google è insomma il numero uno in assoluto, per volume di affari ed efficacia. È capace di orientare i messaggi promozionali per settori, età, fasce sociali, posizione geografica, gusti e quant’altro possa venire in mente a Google di inventarsi. E per farlo ha bisogno di noi. In cambio ci offre servizi gratuiti. Essere il numero uno non è facile, il volume di dati che processa glielo permette, i numero di contatti pure, e le piattaforme per la gestione di campagne pubblicitarie come Adsense e Adwords – di cui nessuno conosce esattamente il funzionamento – fanno il resto. Sostituiscono cioè le classiche agenzie pubblicitarie: l’inserzionista sceglie cosa, dove, a chi, per quanto tempo e per quanti soldi intende mostrare il proprio spot online, in completa autonomia, e il gioco è fatto.
Ecco Google: sa chi sei, dove sei, cosa desideri, e chi sono i tuoi amici. E per questo, ovunque tu ti trovi, può darti consigli utili su cosa comprare o dove andare in vacanza. Tutto questo, bene inteso, cercando in tutti i modi di “non essere cattivo”.


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