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Col Barca hanno vinto anche i rom

di Redazione

«Gli abbiamo portato fortuna, magari ci invitassero anche per la finale a Madrid!». Così don Virginio Colmegna (nella foto), presidente della Fondazione Casa della Carità, ricorda quella sera del 20 aprile, quando 20 dei suoi bambini sono scesi in campo a San Siro, accanto ai calciatori dell’Inter e del Barcellona, nella semifinale di Champions. Un’idea di Moratti in persona, che ha pensato a don Colmegna quando la Mastercard ha deciso di dare, per la prima volta, un volto sociale a quella fugace quanto invidiatissima accoppiata sgambettante di bambini e campioni.
C’erano albanesi, ucraini e italiani, tutti ospiti della Casa della Carità di Milano. Ma soprattutto c’erano tanti rom, con alle spalle esperienze nei campi e poi di sgomberi: alcuni ora vivono in Casa della Carità, altri nei centri ad essa collegati, altri sono nel nuovo insediamento regolare di Pioltello. Sono scesi in campo come bambini, nessuna identità sbandierata. «Non voleva essere una vetrina, è stata una cosa bella, che dà dignità, una festa per i bambini», dice Fiorenzo De Molli, responsabile Area rom per la Casa della Carità, che li ha accompagnati. «Per una volta tutti li hanno additati, ma con invidia». Cosa fossero le luci di San Siro, i bambini neanche se lo immaginavano. Tantomeno le telecamere che gli hanno fatto rifare tre volte l’ingresso tra i tornelli. Pensavano a chi li guardava da casa, in Romania e in Ucraina, «tesissimi perché gli avevano tanto raccomandato di non disturbare in nessun modo i calciatori, sono stati bravissimi», dice De Molli. La partita poi se la sono bevuta tutta, seduti in tribuna. E chi è entrato tifando Barcellona, a notte fonda è uscita da San Siro facendo una concessione: «Vabbè, magari adesso tengo un po’ anche all’Inter».


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