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Il prepensionamento? «Legge vecchia, ingiusta e inefficace»

Così Chiara Saraceno su lavoce.info commenta la recentissima legge sul prepensionamento per chi assiste disabili gravi

di Sara De Carli

Una proposta vecchia, ingiusta e inefficace. Così Chiara Saraceno su lavoce.info definisce la legge sul prepensionamento di chi assiste un familiare disabile grave appena approvata all’unanimità dalla Camera (leggi qui l’articolo di Vita). Per la sociologa esperta di famiglia, vista la finanziaria è molto probabile che questa legge «non arriverà mai in Senato», ma se lo fosse «occorrerebbe avere un atteggiamento meno dilettantesco».

La norma, dice, affronta due temi fin qui troppo trascurati nel sistema di welfare italiano e cioè le necessità di cura delle persone non autosufficienti e la conciliazione tra lavoro remunerato e cura dei familiari non autosufficienti. «La soluzione proposta, tuttavia, riesce a essere insieme vecchia, ingiusta e inefficace».

È vecchia perché «invece di promuovere la conciliazione favorisce l’uscita dal mercato del lavoro, con uno strumento, il pre-pensionamento, per altro in contrasto con tutti gli obiettivi di innalzamento dell’età del ritiro dal lavoro». Inoltre – e su questo sono d’accordo tutti a cominciare dal relatore Delfino – adotta un approccio non universalista, distinguendo tra dipendenti pubblici e privati ed escludendo alcune categorie di lavoratori, i dipendenti della scuola e degli enti locali.

È ingiusta perché «garantisce condizioni molto diverse, e più vantaggiose, ai lavoratori del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato. Anche la definizione di famigliare è più stringente: il beneficio spetta solo al coniuge, al genitore o al figlio della persona con disabilità; solo nel caso in cui questi famigliari siano impossibilitati a fornire cura, fratelli e sorelle possono usufruire del beneficio».

Infine, conclude la Saraceno, a norma proposta è inefficace perché «rischia di avviare a una vecchiaia di ristrettezze economiche chi si pre-pensiona per continuare ad accudire un familiare», «perché scarica ancora una volta sulle famiglie (di fatto sulle donne) l’onere del lavoro di cura, senza preoccuparsi né della appropriatezza delle cure né delle disuguali risorse presenti nelle famiglie». Inoltre «riconosce la necessità di cura solo quando è ormai estrema. Come se la non autosufficienza si desse sempre totalmente da subito, e non si sviluppasse per lo più nel tempo».

Da tempo si discute di «trasformare l’indennità di accompagnamento» per introdurre anche in Italia un sistema simile a quelli tedesco o francese, finanziati da una assicurazione obbligatoria», dove si combinano sostegno economico e servizi, privilegiando i servizi, su base universale e graduata a seconda del livello di dipendenza. «Ma non se ne fa mai nulla, salvo qualche sanatoria per le badanti». Per chi sta nel mercato del lavoro e insieme si fa carico di un familiare dipendente «sarebbero più utili, oltre ai servizi, congedi temporanei, con contributi figurativi per non perdere l’anzianità contributiva».


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