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Sostenibilità sociale e ambientale

Benvenuti in Niger, il Paese radioattivo

«L'estrazione dell'uranio mette a rischio la popolazione». Dopo il Nigergate, la nazione africana torna alla ribalta. E sul banco degli imputati finiscono i francesi di Areva

di Chiara Caprio

Areva comincia a tremare. La più grande multinazionale nel settore energetico, posseduta in parte dallo Stato francese, è finita sul tavolo degli imputati dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, dopo una denuncia di Greenpeace, che accusa la compagnia di mettere a rischio la popolazione nigerina con rifiuti radioattivi e lacune nelle misure di sicurezza adottate nelle miniere di sua proprietà.
Il Niger però non è solo il principale luogo di estrazione di uranio della multinazionale, con una media di oltre 3mila tonnellate di uranio estratte per 200 milioni di euro in vendite all’anno. Questo Paese dell’Africa occidentale infatti non è nuovo agli scenari internazionali. Nel 2003 salì alla ribalta quando il New York Times pubblicò l’articolo di Joseph Wilson, ambasciatore degli Stati Uniti nell’Iraq dei primi anni 90 e poi nello Stato africano del Gabon, che smascherava le bugie del governo Bush. Wilson mise nero su bianco che il Niger non stava vendendo uranio all’Iraq per i piani militari di Saddam. Si trattò di un terremoto che investì anche la moglie del diplomatico, l’agente Cia sotto copertura Valerie Plame, cui oggi è dedicato Fair Game, film protagonista al Festival di Cannes.
A sette anni di distanza, però, le polveri che coprono lo Stato africano sono state nuovamente sollevate. All’inizio di maggio 2010 Greenpeace ha pubblicato il rapporto «Left in the dust – L’eredità radioattiva di Areva nelle città del deserto del Niger», inchiesta che denuncia le conseguenze negative delle attività minerarie nelle città di Arlit e Akokan, a 850 chilometri dalla capitale Niamey. Nel novembre 2009 Greenpeace, in collaborazione con il laboratorio francese Criirad e il network di ong nigerine Rotab, ha monitorato i livelli di radioattività di acqua, aria e terra, con risultati inquietanti: «In quattro campioni d’acqua su cinque nella regione di Arlit, la concentrazione di uranio è risultata al di sopra del limite raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità», recita il rapporto.
Per non parlare della concentrazione di materiali radioattivi nel terreno. I campioni raccolti nei pressi della miniera di Akokan «sono risultati circa 100 volte superiori ai livelli normali nella regione, e superiori ai limiti consentiti a livello internazionale», mentre «per le strade di Akokan, i livelli di radioattività sono fino a 500 volte superiori al fondo naturale. Una persona che passa meno di un’ora al giorno in quel luogo per un anno potrebbe essere esposta a un livello di radiazioni superiore al limite massimo consentito in un anno».
Nella zona sono stati documentati numerosi e controversi casi di morte per cancro, mentre il tasso di mortalità a causa di malattie respiratorie è doppio rispetto a quello nazionale. Ma la mancanza di dati certi gioca tutta a favore di Areva, che continua a negare ogni responsabilità. «Ad Arlit ci sono solo due ospedali, entrambi messi in piedi da Areva, che fa le diagnosi e le cure che crede senza alcun controllo», spiega Almoustapha Alhacen, presidente della ong locale Aghir In’Man, da anni impegnata nella denuncia dei problemi sanitari e della povertà della zona.


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