Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Attivismo civico & Terzo settore

Sipario (con rivolta) sul modello Triboniano

Finisce tra gli scontri l'esperimento del Patto per la legalità

di Redazione

Una sconfitta. Doveva essere il campo rom modello d’Italia, ma è diventato, nelle ultime settimane, un luogo di rivolta e scontri tra rom, forze dell’ordine e gruppi di autonomi, con sassaiole, cariche e feriti: questa la triste parabola dell’insediamento di via Triboniano a Milano, divenuto regolare (ovvero autorizzato dal Comune) nel 2007 quando ai 600 abitanti senza precedenti penali pendenti, in gran parte famiglie di rom romeni e una minoranza bosniaca, è stato fatto firmare il Patto di legalità e socialità: una sorta di contratto con una serie di regole da seguire per non essere estromessi dal campo, ma soprattutto un documento oggetto di critiche di una parte dell’associazionismo vicino al mondo rom, rivolte in particolare a chi il Patto l’aveva ideato: la Fondazione Casa della Carità di don Virginio Colmegna.
La Casa della Carità oggi, a distanza di tre anni, è di nuovo nell’occhio del ciclone, tanto da decidere, durante gli scontri del 20 maggio scorso (nati dal tentativo dei rom di manifestare sotto Palazzo Marino, a Milano), di allontanare i propri quattro operatori dal campo, sancendo di fatto la fine del contratto. L’ultima sua applicazione, a inizio maggio, aveva sancito l’allontanamento di cinque famiglie trovate in possesso di case di proprietà altrove.
«Ma il Patto era solo un mezzo, il vero problema per gli abitanti del campo è la mancanza di prospettive», ribatte Fiorenzo De Molli, coordinatore per la Casa della Carità a Triboniano, che spiega così il precipitare degli eventi: «Lo spirito collaborativo iniziale dei rom è venuto meno alla luce di alcuni fatti: solo una delle 40 borse lavoro per adolescenti si è trasformata in un impiego stabile, e molti adulti con la crisi hanno perso i loro lavori, spesso già saltuari».
Malumore e mancanza di soldi, uniti alla notizia dell’imminente sgombero (sulla carta entro il 30 giugno prossimo, ma l’assessore alle Politiche sociali Mariolina Moioli l’ha posticipato a fine 2010) hanno aumentato il nervosismo. Gli operatori della Casa della Carità sono in mezzo a tre fuochi: i rom insoddisfatti, chi spinge allo sgombero in giunta comunale (soprattutto dopo l’effetto mediatico della rivolta), gruppi come il Comitato antirazzista che li definiscono “i tirapiedi di don Colmegna”. «Siamo disposti a metterci da parte, anche se ciò vorrebbe dire l’assenza di un mediatore tra gli abitanti e il Comune», spiega don Massimo Mapelli, responsabile della fondazione per i rapporti con i rom. Praticamente una resa, anche se non definitiva. «C’è chi ci telefona chiedendoci di tornare…».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA