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La guerra esterna, per scongiurare la guerra interna

Andrea Olivero, presidente Acli, al rientro da Gerusalemme

di Giuseppe Frangi

L’attacco alla nave turca risponde a una strategia precisa di Netanyahu . «Spostare il conflitto all’esterno per evitare che esploda in casa quello con gli ultraortodossi» Ha impressioni fresche sulla situazione in Israele e Palestina, Andrea Olivero. Come presidente delle Acli infatti è stato da poco a Betlemme per presentare il progetto di una serie di corsi professionali, che prenderanno il via il 1° luglio. Ma tra il viaggio e quella data che suggerisce un piccolo percorso di speranza, si è inserito il drammatico eccidio dei militanti pacifisti, nelle acque internazionali, di fronte alla Striscia di Gaza. Così tutti gli indizi sulla deriva in cui rischia di scivolare Israele, che avevano già inquietato Olivero nel corso del viaggio, hanno preso una consistenza più precisa e più drammatica.
Vita: Perché è così preoccupato sulla situazione della società israeliana?
Andrea Olivero: Inutile nasconderselo. Oggi se giri per Gerusalemme, vedi una presenza sempre più massiccia di ebrei ortodossi. Si ha la sensazione che qualcosa stia mutando profondamente. E che l’anima laica che è stata il fondamento della nascita d’Israele, cioè del primo Stato democratico in Medio Oriente, sia stata sopraffatta da quella religiosa, con risvolti estremistici. Sono quelli che puntano al Grande Israele e alla modifica della Costituzione. Oltretutto i partiti religiosi sono decisivi negli equilibri politici, e quindi il loro potere di condizionamento è fortissimo.
Vita: Quindi anche la politica è sotto schiaffo?
Olivero: È così. E l’unica via di uscita che un leader debole come Netanyahu è in grado di percorrere è quella di spostare il conflitto all’esterno per evitare che esploda quello interno tra queste due anime di Israele. È un fatto drammatico, perché in genere erano sempre stati i politici di destra, in nome della real politik, a portare avanti dei processi di pace. Era la pace garantita, rispetto al Paese, dagli uomini di guerra: e questo era un fattore di unità per Israele. Oggi invece ci troviamo davanti a un leader di destra in balìa degli estremisti. La situazione più pericolosa che si possa immaginare.
Vita: Questo spiega anche l’espansione incontrollata delle colonie?
Olivero: Sì. Ed è un’espansione del tutto irrazionale. Perché sono insediamenti che non hanno nessuna ragione economica produttiva com’era per le prime colonizzazioni. Sono semplici occupazioni di terra in cui prevale l’aspetto simbolico e dimostrativo. Quando la motivazione è questa, le possibilità di trovare degli accordi sono minime.
Vita: Anche le pressioni internazionali sembrano avere sempre meno peso nelle decisioni di Israele. Come lo si spiega?
Olivero: Netanyahu ha fatto un passo gravissimo arrivando alla rottura diplomatica con la Turchia. Perché il rapporto con Ankara era prezioso, non solo in chiave antisiriana, ma come ponte aperto verso il mondo arabo. Oltretutto in Turchia vive una comunità ebraica di lunga storia, e questo motivava la necessità di tenere buone relazioni con quel Paese. La miopia politica del leader israeliano è inquietante: ha colpito in acque internazionali le navi di un Paese amico! Ma anche le segreterie occidentali ci hanno messo del loro?
Vita: In che senso?
Olivero: L’Europa ha spinto la Turchia ai margini. L’atteggiamento di chiusura ha favorito la crescita dei fondamentalisti. E il governo Erdogan ne è già condizionato. Ma l’amministrazione Obama ha fatto anche peggio. Non è riuscita a impedire che il congresso votasse una risoluzione sull’eccidio degli armeni definendolo “genocidio”. Non voglio discutere la legittimità di quel giudizio, ma questa è materia per un congresso di storici non per un’assemblea politica. E la politica deve tenere conto di tanti fattori: ad esempio che la laicità della Turchia, fondata sul mito di Ataturk, è una questione molto delicata. Minandola con l’accusa di genocidio la si spinge in direzione dell’egemonia dell’estremismo islamico. E pensare che la Turchia è anche un Paese Nato.
Vita: Un’ultima questione che le sta certamente a cuore. In una situazione così, che chance hanno i cristiani di non sparire dalla Terrasanta?
Olivero: I dati che abbiamo sono drammatici. Ogni anno 30/40 famiglie emigrano da Betlemme. Si va verso un’estinzione della presenza dei palestinesi cristiani. Ed è un fatto grave, perché se la presenza araba diventa monoreligiosa e monoculturale, le possibilità di dialogo si faranno sempre più remote. La piccola minoranza cristiana, in particolare cattolica, ha una rilevanza anche politica. Per questo va difesa nell’interesse di tutti.


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